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Del regime fiscale in zootecnia Sebastiano Samperi

Introduzione.

L'accrescimento dei consumi carnei ha portato alla inevitabile conseguenza dell'accrescimento delle aziende di allevamento al fine di fronteggiare la domanda ognora crescente, per qualche settore (bovini) in modo costante e più specialmente per i tagli pregiati, per qualche altro settore (pollami) in modo ciclico stagionale.

II fenomeno, oltre ai numerosi problemi relativi alla produzione (selezione e riproduzione dei sog-getti, struttura tecnica e razionalizzazione degli impianti, approvvigionamento di mangimi, misure sanitarie, ecc.), alla conservazione e distribuzione (stoccaggi, catene del freddo, trasporti), al

com-mercio interno (classificazione commerciale dei tipi

per unificare le voci di listino, marchi di qualità, regolamentazione di talune attività intermediarie) ed al commercio con l'estero (restituzione all'espor-tazione di LG.E., diritti compensativi, prelievi, ecc.) ne ha sollevato alcuni di natura fiscale, fra cui di particolare importanza quello della definizione del tipo di reddito delle aziende zootecniche.

Da anni su tale problema si acutizza la viva-cità di convegni e tavole rotonde fra tecnici, alle-vatori, stampa specializzata, studiosi, funzionari: la discussione verte sulla ricerca di una pratica possi-bilità di applicazione ad un allevamento, moderna-mente inteso, del combinato disposto dell'art. 2135 cod. civ. e dell'art. 65 T.U. delle leggi sulle imposte dirette, di cui al d.p.r. 29 gennaio 1958, n. 615.

Le principali disposizioni legislative.

A fini di sistematica e per la più pronta intelli-genza del lettore, si ritiene utile riportare i predetti due articoli, nella loro interezza:

Art. 2135 C.C. - Imprenditore agricolo.

« È imprenditore agricolo chi esercita una a t t i v i t à diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, al-l'allevamento del bestiame e a t t i v i t à connesse.

Si reputano connesse le a t t i v i t à dirette alla trasfor-mazione all'alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell'esercizio normale dell'agricoltura ». Art. 05 T.U. delle leggi sulle imposte dirette -

Deter-minazione del reddito agrario.

« Il reddito agrario è costituito dal reddito del capi-tale di esercizio e del lavoro direttivo impiegati nei limiti della potenzialità del fondo, nell'esercizio delle a t t i v i t à

dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura ed all'allevamento del bestiame nonché alla manipolazione, trasformazione o alienazione dei prodotti agricoli quando rientrano nell'esercizio normale dell'agricoltura secondo la tecnica che lo governa.

La determinazione del reddito agrario si effettua mediante l'applicazione, alle singole particelle catastali componenti il fondo, delle tariffe d'estimo stabilite secondo le norme della legge catastale ».

Il problema degli anni trascorsi, rimasto, pe-raltro, di piena attualità, in quanto non ancora risolto, è quello di definire se la tecnica che go-verna il normale esercizio dell'agricoltura può comprendere un allevamento del bestiame, condotto secondo moderni sistemi, indipendentemente dal-l'ampiezza e dalle dimensioni dell'azienda se piuttosto non si ponga la necessità o la convenienza di pervenire al riconoscimento della qualifica di agrario al reddito dell'allevatore secondo una gra-dualità che relazioni la specie e l'entità dell'alle-vamento alla dimensione agraria dell'azienda.

A tal uopo, da più parti, viene ritenuta inte-ressante la definizione di unità zootecniche o di allevamento nella ovvia indispensabile conside-razione dei riflessi di una indiscriminata legisla-zione agevolante sulle pubbliche finanze, anche per le implicazioni inevitabili alla stregua dell'am-pio contenuto del citato art. 2135, C.C.

Sostegni alle due tesi non sono mancati. Cosi, taluni, favorevoli ad una indiscriminata considerazione del reddito da allevamento quale reddito agrario, sostengono che tale regime sarebbe in vigore nei paesi membri della Comunità Econo-mica Europea (negligendo, tuttavia, valide prove) e, comunque, variamente argomentano a favore della tesi, mentre altri (anche perché privi di quelle prove che darebbero modo di invocare, quanto meno, un trattamento perequato a quello degli allevatori della CEE) rilevano (valendosi anche di esperienze professionali specifiche) che, insistendo in tesi oltranziste, si finisce per danneg-giare qualunque tipo di allevamento (rurale, in-dustriale o artigiano), mentre, per ognuno di questi tipi, potrebbero operare specifiche e non trascurabili agevolazioni di carattere finanziario e fiscale, oggi esistenti.

La breve rapida introduzione che precede rende evidente l'importanza dell'argomento delle inci-denze fiscali sui costi delle aziende agricole

zootec-niche, sia a fini di competitività con i costi realiz-zati dalla concorrenza straniera (ad esempio nel settore avicolo) sia a fini di incentivazione per il sorgere e lo svilupparsi della produzione nazionale, onde raggiungere l'auspicata autosufficienza per il consumo interno, specie nel settore bovino.

Dibattiti e problematica.

Appare opportuno e doveroso rappresentare che il problema, certo non nuovo in sede di stesura del-l'art. 21.35 C.C. ed affrontato in più specifica sede, quale il citato T.U. delle ii.dd. del 1958, andò focaliz-zandosi man mano che quest'ultimo venne a pro-durre in modo più generalizzato, ed in certo senso preoccupante, i suoi effetti sugli allevamenti avicoli da carne a ciclo intensivo, che specie in Romagna, per la esistenza di quell'immenso mercato di con-sumo che è la Riviera, ebbe il suo exploit verso il 1963.

Il fenomeno non poteva certo sfuggire all'at-tenta considerazione delle sfere responsabili del-l'azione pubblica sullo sviluppo economico e, con molto senso di responsabile solerzia, la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Forlì prese l'iniziativa di affrontare il problema, almeno per quanto riguarda il settore avicolo, dive-nendo ben presto, il centro nazionale di discussioni, dibattiti e studi, non solo in occasione delle an-nuali manifestazioni fieristiche, ma anche nel corso degli anni, attraverso l'organizzazione di incontri, oltre che nella sede provinciale, in quella regionale e soprattutto nazionale, con contatti continui presso i dicasteri più interessati al problema stesso, quali quelli delle finanze, dell'agricoltura e foreste e dell'industria, commercio e artigianato.

Questo brevissimo ricordo storico è stato rite-nuto doveroso per il riconoscimento che va tribu-tato alla tenacia ed alla passione con cui la predetta Camera, ha animato e tenuto desta tutta l'attività sopraccennata ed è stato ritenuto opportuno per rendere intelleggibili i motivi che hanno indotto i gruppi di studio ad occiqiarsi più specificamente delle questioni fiscali connesse agli allevamenti avicoli, i quali, anche per il loro caratteristico ciclo produttivo breve e intensivo, hanno subito e quindi offerto una tematica vasta ed interessante, nella quale si sono trovati altresì gli elementi della esten-sibilità agli altri tipi di allevamenti, specie bovini e suini.

Quali, dunque, i termini tecnici del problema in esame ?

Partendo dalla considerazione secondo cui « l'posta sui redditi agrari è una vera e propria im-posta di r.m. che si dice speciale unicamente perché si applica con una aliquota ridotta » (decisione n. 82074 del 15 maggio 1956 della Commissione centrale imposte - Sez. II) è apparso conseguente, in sede di compilazione del citato t.u. delle ii.dd. ap-provato con D.P.R. 29-1-1958 n. 645, assoggettare a questo tipo speciale di imposta i redditi derivanti dalle attività agricole, anche se derivanti da mani-polazione, trasformazione o alienazione dei pro-dotti, a condizione, tuttavia, che dette operazioni

« rientrino nell'esercizio normale dell'agricoltura se-condo la tecnica che lo governa » (art. 65).

Tale enunciato, in sede di pratica applicazione, ha fatto sorgere una serie di domande, che possono venire sintetizzate come segue:

a) la determinazione dell'aliquota impositiva

(ed in definitiva del tipo di reddito) deve avere ri-guardo al soggetto che io produce (agricoltore o no) ?

b) le attività di manipolazione,

trasformazio-ne o alienaziotrasformazio-ne dei prodotti agricoli fino a quando rientrano nel normale esercizio dell'agricoltura ? c) la considerazione di tale esercizio, come normalmente agricolo, deve avere come riferimento la determinazione (nel soggetto produttore del red-dito) di un'attività prevalentemente dedicata alla agricoltura ?

d) con quali criteri tecnici, e soprattutto con

quali parametri, verrebbe a determinarsi l'attività prevalente, al fine di considerare il reddito pro-dotto da un soggetto come agrario in tutto o in parte ?

e) il reddito considerato ai sensi del

richia-mato art. 65 del t.u. delle ii.dd., almeno nella sua specie di mobiliare non speciale (parte eccedente il normale esercizio dell'agricoltura secondo i cri-teri tecnici di cui al punto d) non dovrebbe fruire delle agevolazioni fiscali previste per i redditi pro-dotti dagli stabilimenti industriali tecnicamente organizzati operanti nelle zone depresse, ai sensi del d.l.c.p.s. 14-12-1947 n. 1598 e della legge 25-7-1957 il. 635?

/) esiste una tipologia di stabilimenti indu-striali tecnicamente organizzati, utilizzanti i pro-dotti della agricoltura in generale e quelli zootec-nici in particolare che possa essere presa a base dagli organismi fiscali per scindere, se non proprio esattamente, almeno in modo equo, il reddito pro-dotto in quota agraria e quota industriale ?

Il soggetto agricoltore.

Da alcune parti ed in diverse occasioni, par-tendo dal presupposto che l'allevamento del be-stiame è previsto dall'art. 2135 siccome attività del-l'imprenditore agricolo, si considera detto alleva-mento come fatto autonomo del ciclo produttivo agrario e, cioè non come attività connessa

all'agri-coltura: donde la sua collocazione nel ciclo

produt-tivo del soggetto agricoltore.

Non v'è dubbio che tale tesi risponde ad una realtà parziale, in quanto ove si consideri anche il solo senso etimologico del termine « agricoltura » non si può fare a meno di collegarne l'attività dedi-catavi all'esistenza dell'agro e quindi ad un rap-porto reale tra uomo e « fondo ».

Il richiamo sembra opportuno per cominciare a rendersi conto che mentre l'art. 2135 c.c. definisce l'imprenditore agricolo e le attività connesse al-l'agricoltura, l'art. 65 del t.u. delle ii.dd. considera superate tali definizioni e si preoccupa non già di definire i soggetti o le loro attività ma di deter-minare l'oggetto imponibile, cioè il reddito agrario, considerandovi incluso il reddito del capitale di

esercizio e dei lavoro direttivo impiegati nelle atti-vità agricole, come nell'allevamento del bestiame.

Questi due nuovi elementi o « fattori di produzio-ne », dunque, quali il capitale e l'organizzazioproduzio-ne sono ritenuti indici idonei per la determinazione dell'oggetto imponibile e non già per la indivi-duazione del soggetto produttore, che non è consi-derato fatto rilevante.

E la citata norma, fondatamente preoccupata della entità del capitale di esercizio impiegabile nel-l'allevamento (come nelle attività agricole) più o meno facilmente determinabile nonché del lavoro direttivo, (valore meno determinabile) ha rite-nuto indispensabile creare degli indici di riferi-mento e quindi dei limiti (ai fini della applicazione dell'aliquota ridotta) sia nella potenzialità del fondo sia nella tecnica che governa il normale esercizio dell'agricoltura.

Non solo ! Ma preoccupata di oggettivizzare al massimo l'imponibile, il detto articolo, al suo secondo comma, ne riferisce la determinazione alla applicazione delle tariffe d'estimo alle singole parti-celle catastali.

Norma questa, tanto oggettivizzante da poterla far sembrare, prima facie, vanificante degli sforzi che si intendono perseguire con il primo comma, mentre in realtà ne costituisce l'indispensabile completamento.

Ecco perché non sembra potere resistere ad una serena (e soprattutto severa) disamina la tesi fin troppo semplicistica secondo cui tutte le atti-vità riguardate nell'art. 21.35, indipendentemente dall'entità e dal tipo di lavoro applicato possano produrre esclusivamente un reddito da conside-rare agrario, perché riferibili all'agricoltura o ad un soggetto agricoltore.

Peraltro, accedere od anche indulgere ad una tanto generalizzante enunciazione non può non offrire elementi per sospettare l'orientamento verso una implicita violazione dei principi contenuti nel-l'art. 53 della Carta costituzionale, che vuole « tutti tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva » ed « il sistema tributario informato a criteri di progressività ».

Né la tesi che, potremmo chiamare

soggetti-vistica potrebbe trascurare la circostanza

dell'im-piego del proprio lavoro da parte dell'imprenditore agricolo, cosi come lo si può sviluppare dall'art. 2135 c.c., in attività di natura diversa da quella riferita all'agro; talché bisogna riconoscere che solo dei riferimenti oggettivi rimangono validi per la deter-minazione del reddito imponibile da considerare agrario, anche al fine di non creare la necessità di accertare la prevalenza nel soggetto dell'attività di natura agricola e la necessaria conseguente deter-minazione dei criteri per pervenire a quell'accer-tamento.

Imposte di consumo e I.G.E. riferite all'agri-coltura.

Non sembra, altresì, possano costituire valido conforto per la tesi che vuole l'imprenditore agri-colo il solo riferimento per la tipicizzazione del

reddito derivante dall'allevamento del bestiame menzionato nell'art. 2135 cc., talune soluzioni sor-tite per le imposte di consumo e per l'Imposta gene-rale sull'entrata.

a) Imposte di consumo.

Come è noto, con l'articolo 29 della legge 2 gennaio 1961 n. 451 (e. d. Piano Verde) ai mate-riali impiegati nella eostruzione di impianti e at-trezzature per l'allevamento del bestiame venne estesa l'esenzione dal pagamento dell'imposta di consumo, in analogia a quanto praticato per l'edi-ficio appartenente allo stesso proprietario del ter-reno e destinato alla abitazione di coloro che atten-dono, col proprio lavoro, alla normale coltivazione della terra, o al ricovero del bestiame necessario per quella coltivazione o alimentato da quei ter-reni.

La precitata norma ebbe a fruire di precisazione e completamento con la legge 18-6-1964 n. 486, che considera esenti dall'imposta di consumo anche i materiali impiegati nella costruzione o ripara-zione, da parte di agricoltori o allevatori, singoli o associati, degli impianti e delle attrezzature per la conservazione, lavorazione e trasformazione dei prodotti agricoli, degli allevamenti, ecc.

Tale soluzione, tuttavia, deve solo indurre a considerare che non il reddito dell'attività di alle-vamento è considerato soggetto all'applicazione di aliquota ridotta, ma solo un elemento del costo aziendale, prima che il reddito si produca; e sempre nel concetto limite di normale esercizio e non di un reddito assolutamente indipendente dal fondo, anche se aritmeticamente si perviene sempre ad un aumento del reddito aziendale, attraverso una diminuzione di costo fiscale.

b) I.G.E.

Analoghe alle considerazioni formulate sull'im-posta di consumo sono quelle che possono venire enunciate circa l'esclusione dall'applicazione del-l'addizionale del 20% sull'Ige, di cui alla legge 15 novembre 1964 n. 1162, a carico di fertilizzanti, sementi, foraggi e mangimi industriali, nonché di macchine agricole destinati alla coltivazione dei fondi ed all'allevamento del bestiame (compresi incubatrici, mangiatoie, abbeveratoi, allevatori au-tomatici, ecc.) come chiarito dal Ministero delle finanze con le note nn. 165.153 del 1-2-1965 e 33.867 del 13-2-1965, elle, peraltro, relativamente alle macchine agricole hanno previsto delle limi-tazioni riguardanti talune loro particolari utiliz-zazioni.

Fondo e tecnica - Organizzazione moderna e competitività.

Quanto precede, sembra, dunque, confermare, per molti versi, che il nocciolo della questione non può non venire individuato nel rapporto tra fondo e tecnica, intesa questa, comprensiva di una ragio-nevole tematica relativa agli ammodernamenti tecnologici che nel settore, in verità non difettano, anche se molto potrà ancora essere fatto.

a) Le interessanti considerazioni di uno studioso

te-desco nel 1964.

Lo studio di tale rapporto, peraltro, risulta seguito anche all'estero e da tempo; cosi, nel set-tembre del 1964, il dott. Zeltner, responsabile dell'Ufficio tributario della Deutscher Bauernver-band di Bonn, si è occupato del problema con con-siderazioni che si ritiene di riportare anche ad uso di coloro che con facilità fanno riferimento a pre-sunte legislazioni esistenti negli Stati aderenti al MEC.

Lo Zeltner, infatti, ponendosi la domanda: «Zootecnia agricola o industriale?» (« Landwirt-scliaftliche oder gewerbliche Tierhaltung ? ») scrive quanto segue:

Z O O T E C N I A A G R I C O L A O I N D U S T R I A L E ?

La differenza tra allevamenti zootecnici agri-coli o industriali è da vedersi, in Germania, in rap-porto alla legislazione tributaria.

1) Per la determinazione del reddito, si di-stingue tra entrate derivanti dall'agricoltura e foreste, da attività industriali, ecc. (parag. 2 della legge dell'imposta sul reddito).

2) Per la determinazione dei capitali, si distingue il patrimonio agricolo e forestale: in par-ticolare, il capitale fondiario (solo la terra), il capitale aziendale, ecc. (parag. 19 della Bewertungs-gesetz).

3) Per l'imposta sugli scambi (una imposta sui prodotti venduti, indicata in Germania con il termine Umsatzstener) non esistono distinzioni sul tipo di quelle previste dal paragrafo 12; c'è però una postilla secondo la quale « i conferimenti e l'autoconsumo, da parte diretta dell'agricoltore, di prodotti ottenuti dall'azienda » sono esenti dal-l'imposta (sugli scambi) (parag. 4, comma 19 della legge sulla imposta sugli scambi).

Un paragrafo della legge sull'imposta sul red-dito precisa che cosa deve intendersi per « entrate derivanti dall'agricoltura e foreste ». Si tratta di entrate che derivano alla azienda dalle colture erbacee, arboree, forestali e dagli allevamenti zoo-tecnici, a condizione (per questi ultimi) che i pro-dotti necessari per l'alimentazione del bestiame siano di origine prevalentemente aziendale. (Pa-rag. 13 - prima sezione, della legge sull'imposta sul reddito).

Da ciò risulta che i proventi della zootecnia non vengono considerati di natura agricola, (ma-lora i foraggi ed i mangimi necessari non siano prodotti prevalentemente nell'ambito dell'azienda. Ne deriva:

1 ) tali entrate (dalla zootecnia) vanno consi-derate derivanti da una attività a carattere indu-striale;

2) i capitali investiti (edifici capi di bestiame -scorte) si configurano come capitali di un'azienda industriale;

3) le vendite dei prodotti zootecnici (be-stiame e prodotti derivanti in genere) sono soggetti all'imposta sugli scambi, nella misura del 4%.

Riassumendo: un allevamento zootecnico, di qualunque genere, ma dimensionato alle capacità foraggere dell'azienda è considerato agricolo; qua-lora quelle capacità vengono superate, l'alleva-mento è, agli effetti tributari, industriale.

Indici opportuni — indicati e noti come « unità zootecniche » — stabiliscono il carico di bestiame che l'azienda può mantenere, conservando all'al-levamento il carattere agricolo.

Azienda fino a 10 ha - 6 VE (unità zootecniche)/ha; Azienda da 10-20 ha - 5 VE/ha;

Azienda oltre 20 ha - 4 VE/ha.

Per la riduzione dei capi di bestiame ad unità zootecnica valgono i seguenti coefficienti:

1 VE - Vacche da latte, bovini da ingrasso, vitelli;

1,2 VE - Tori e buoi;

1,1 VE - Cavalli sopra i 3 anni;

0,7 VE - Cavalli sotto i 3 anni, e bestiame bovino tra 1-2 anni;

0,3 VE - Bovini sotto l'anno;

Ancora 1 VE - 6 suini da ingrasso, 50 ovaiole o galline da riproduzione, 600 pulcini.

Come si è detto, se l'allevamento si mantiene entro i limiti indicati, esso fa parte di un'azienda agricola. È ovvio che l'agricoltore può allevare quanto bestiame vuole, passando, però, a un certo punto, nella categoria dell'allevamento industriale: il che comporta, ai fini tributari, la soggezione all'imposta sugli scambi che è del 4%.

Un principio analogo vale per gli allevamenti di qualunque genere praticati da aziende senza terreno agrario: essi vengono considerati attività industriali e comportano l'applicazione dell'imposta sugli scambi.

Questa legislazione ha fatto si che lo sviluppo numerico di grandi complessi zootecnici (soprat-tutto avicoli) indipendenti dall'azienda agricola è stato contenuto, conservando invece all'azienda agraria l'attività zootecnica. Anzi, come è evidente dall'esame dei coefficienti adottati, si prevede a favore delle aziende fino a 20 ha di ampiezza il maggior numero di unità zootecniche, in modo da offrire proprio a queste aziende (che corrispondono in linea di massima a imprese familiari) la possi-bilità di migliorare il proprio reddito con l'inte-grazione zootecnica.

È evidente, quindi, un chiaro fine di politica economica che ha condizionato le norme riguar-danti la struttura della legislazione fiscale. b) Le conclusioni di un comitato tecnico di studio

nel 1966.

Partendo da considerazioni analoghe a quelle contenute nello studio dello Zeltner (ma senza alcun riferimento ad esse, in quanto le stesse scaturiscono da una realtà innegabile) un gruppo di lavoro nominato dal Comitato di studio sui problemi fiscali dell'avicoltura nella seduta del 25-2-1966 presso la Camera di commercio di Forlì

ha sintetizzato nel modo seguente gli orientamenti emersi dallo svolgimento dei lavori del Comitato di studio:

I) Lo sviluppo assunto in Italia nel periodo più recente dagli allevamenti avicoli, i progressi conseguiti in tutti i settori delle tecniche eli alleva-mento. rendono possibile ed economicamente con-veniente l'allevamento di tutto il bestiame — e non solo del pollame — senza alcuna necessaria connessione con il possesso di un fondo rustico od una logica dipendenza dalla potenzialità del fondo espressa in mangimi.

Sono cosi sorti i cosiddetti allevamenti « senza terra » che vengono a costituire nel nostro ordina-mento legislativo una forma ibrida ed atipica di allevamento esposta, come tale, non solo ai cosid-detti « rigori del fisco » (concretatisi proprio di re-cente da parte degli Uffici distrettuali delle imposte in numerosi accertamenti per imposta di R.M. a carico di altrettanti allevatori) ma a contrastanti interpretazioni sia in materia di diritto di lavoro che in sede civilistica (con particolare riguardo ai