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I figli del Nebbiolo

Emanuele Battistelli

Principe della viticoltura italiana, il Neb-biolo ha la disgrazia di vederne — come vino — storpiato il nome. Alcuni arbitrariamente ne etichettano le bottiglie eliminando dal nome una b, convertendolo perciò in Nebiolo, diffuso cognome piemontese. Dà perfino fastidio questa illogica alterazione patronimica.

Si chiama Nebbiolo il vitigno, in omaggio all'aspetto somatico delle uve, la cui buccia •— scrive il Carlone — è cosi abbondantemente pruinosa da sembrare annebbiata. Ancorché la pruina della buccia non fosse visibilmente grigia il nome potrebbe essergli di diritto attri-buito per il fatto che esso matura tardivamente il prodotto, la cui vendemmia coincide con « la nebbia (che) agli irti colli - piovigginando sale ». Veramente il Poeta allude al novembre, ma le condizioni climatiche degli autunni lutu-lenti in Piemonte e nell'alta Lombardia coin-cidono con la prima quindicina (IV epoca) di ottobre, periodo consacrato alla vendemmia e alla vinificazione.

Si chiama perciò Nebbiolo il vino, anzi un vino, che ne deriva.

Oltre che sotto questo nome conforme al colore ultimo delle uve, il vitigno in alcune plaghe che l'ospitano assume nomi dialettali:

— spanna, in provincia di Vercelli; — picoutener, in Val d'Aosta; — chiavennasca, in Valtellina.

F r a i diversi vitigni di elevate pretese esso è in testa alla graduatoria. Il suo luogo eco-nomico coincide perciò con le località più sacre alla vite.

Il suo luogo economico è principalmente nell'avampaese appenninico tipicamente mar-noso solcato dal Panaro (Langhe), e seconda-riamente nel piatto conoide del Sesia, nelle colline premoreniche e moreniche tra Sesia e Ticino, e nelle pendici reticlie della Valtellina. Altre sue isole economiche si individuano in Piemonte alla confluenza del Chisone nel Pellice (Campiglione), e nell'alto Canavese al-l'ingresso della Valle d'Aosta (Carema).

Di solito i vini ripetono i nomi dei vitigni dai quali derivano: Barbera, Grignolino, Freisa,

Brachetto, Bonarda, Dolcetto, Montepulciano, Pinot, Prosecco, Cortese, Verdicchio, tanto per citarne alcuni rossi e bianchi. Ma nel caso di cui stiamo parlando il nome di Nebbiolo vitigno è attribuito soltanto al vino che ne deriva in sinistra di Tanaro. In destra del fiume esso dà luogo a due famosissimi vini: Barolo a sud di Alba, Barbaresco a nord di quella città.

Ma la paternità del Nebbiolo non si limita ai tre tipi di vino in provincia di Cuneo. Si estende ad altri 16 tipi, come:

— Campiglione e Carema, in provincia di Torino;

— Gattinara, Lessona, Mottalciata, in pro-vincia di Vercelli;

— Boca, Fara, Ghemme, Sizzano, in pro-vincia di Novara;

— Grigioni, Grumello, Inferno, Marche-sana, Sassella, Valgella, Valtellina, in provincia di Sondrio.

Fuori dell'ambiente appenninico delle Lan-ghe, prealpino della Valsesia, alpino dell'Adda, il Nebbiolo perde le sue caratteristiche di vitigno d'alto lignaggio. La stessa sorte è peraltro riservata ad altri vitigni ancorché meno esi-genti. Ogni vitigno è figlio della propria tipica plaga, e non è pertanto sempre disposto ad essere spaesato. Deve essere ancora individuato o creato quello ubiquitario, di alto a d a t t a m e n t o a condizioni disparate di ambiente pedocli-matico.

A furia di ritenerla colonizzatrice, la vite è s t a t a insediata anche in terreni ad essa meno congeniali, perfino in quelli di pianure umide nelle quali anche il pioppo e il salice bianco — specie igrofile — si trovano a disagio.

La Francia ha a v u t o il coraggio civile di sradicarla dai terreni a scarsa o nulla voca-zione viticola. L'Italia non ha mai preso un cosi drastico provvedimento, ritenendolo impo-polare. Provvede però la defezione contadina e provvede anche la meccanizzazione a modi-ficare territorialmente il panorama viticolo nazionale; l'una obbligando la manodopera superstite a ripiegare su combinazioni coltu-rali scarne e poco impegnative; l'altra avendo

in odio la promiscuità colturale e la presenza nei campi di piantagioni arboree e arbustive, ancorché allineate.

Scompaiono i vigneti dai terreni meno propizi e disertati; ne compaiono di nuovi nei terreni più adatti delle aziende meno passibili di subire l'onta dell'abbandono.

Dunque, dicevamo, il Piemonte in prima posizione di importanza e la Lombardia in seconda hanno nel Nebbiolo il vitigno di fama sovrana. E che può essere se non degno d'essere iscritto nell'albo d'onore un vitigno le cui uve danno origine a ben 19 tipi di vino sovraneg-giati dal Barolo — il bardo della stirpe ? Vini degni tutti di essere considerati alla stregua dei celebri « chateaux » d'oltre Alpe.

Sebbene il vitigno sia delicato, perché sog-getto alla colatura dei fiori nelle primavere umide e fredde; all'oidio nelle stagioni estive afose; sebbene tema le gelate tardive e le infezioni botritiche di scena normalmente negli autunni umidi e caldi, tuttavia quello che ne condiziona maggiormente la produzione più che altro dal lato qualitativo è il terreno. Chi invece la condiziona più che altro dal lato quantitativo è il viticoltore che manovra le armi della concimazione e della difesa antipa-rassitaria.

I terreni ad esso congeniali sono di natura marnosa non privi tuttavia di calcare, sul tipo del loess che ammanta i grandi fronti e fianchi morenici. Ed è appunto sulle morene tra Sesia e Ticino che esso dà origine a una stirpe affol-lata cadetta di vini suoi figli. Diciamo cadetta rispetto alla dinastia principale costituita da una inimitabile trimurti: Barolo, Barbaresco e Nebbiolo stesso.

Le marne, come è noto, possono essere argil-lose e calcari, calcari e silicee. Quelle che danno corpo ai terreni ai grandi lati del corso medio del Tanaro (Langhe e colline dei Roeri) sono silicee, più o meno ricche di carbonato di calcio. Ed è appunto questo elemento che concorre alla produzione aristocratica del vitigno.

La somiglianza somatica delle sue uve con quelle degli altri coesistenti vitigni della regione non è spinta, per cui è facile distinguere i suoi vigneti in produzione da quelli di Barbera, Dolcetto, Grignolino, ecc.

Scrive il Carlone che il grappolo è general-mente lungo, alato, piramidale, mediageneral-mente serrato, piuttosto grande; ad acini piccoli o medi, quasi rotondi; a buccia fine di color grigio azzurrino cupo abbondantemente coperta di pruina; a polpa molle, succosa, di sapore vinoso molto marcato.

I vini che se ne ricavano hanno nel periodo primo di vita — quello dell'adolescenza — un

sapore asprigno, ruvido, che non invita certo al consumo. Di qui la ragione per cui vengono assoggettati all'invecchiamento in botte e in bottiglia. In botte essi assumono la superiorità e la originalità indiscussa del gusto; in bottiglia l'inimitabile squisitezza del profumo.

Sebbene vi siano in Piemonte località, come Mombaruzzo nell'Astigiano, nelle quali il vino Barbera invecchiato assume il tono organo-lettico del Barolo (e un Barbera baroleggiante è il « Castello di Gabiano »), tuttavia altro è il Barbera, il Grignolino, il Freisa, ecc., altro è il Barolo e i suoi numerosi fratelli d'elezione piemontese e lombarda.

Le guide gastronomiche riconoscono al Ba-rolo — la cui produzione proviene da una limitata e circoscritta zona lan ghigi ana com-prendente i comuni di Barolo, Castiglion Fal-letto, Grinzane, La Morra, Monforte, Perno, Serralunga, Verduno — il ruolo di primo espo-nente dell'enoteca nazionale. Gli riconoscono un sapore asciutto, morbido o vellutato, ricco, d'estratto secco e pertanto di corpo pieno e rotondo; un profumo superbo, superficialmente di viola e profondamente di catrame; un colore rosso granato. Riconoscono al Barbaresco — che si produce nel comune omonimo e nei comuni di Neive e Treiso — una leggermente minore austerità di sapore e fragranza di profumo, pur non cedendo in rinomanza al più illustre fratello.

Al Nebbiolo viene assegnato da alcuni il predicato territoriale di Alba, e da altri l'ag-gettivo «piemontese», sebbene non ce ne sia di bisogno, non essendocene altre importanti pro-duzioni sia in Piemonte che fuori. Se anche fuori ce ne sono non possono essere quantita-tivi conformi al tipo e apprezzabili, tali co-munque da rappresentare una voce non tra-scurabile nel patrimonio vinicolo nazionale. La sua produzione è perciò preminentemente in sinistra di Tanaro, in quel territorio che va sotto il nome di colline di Roeri in provincia di Cuneo. Esso comunque si presenta con tutte le sue carte in regola per essere inserito al 3° posto nella dinastia vinicola che ne ripete il nome. Differisce dal Barolo e dal Barbaresco non solo nella tonalità più debole del colore, del sapore e del profumo, ma anche perché dà luogo a tre edizioni caratteristiche, a seconda del grado di invecchiamento e di durata della fermentazione. Giovane, è un seducente vino da pasto e da arrosto, di gradevole tonalità; invecchiato, è un vino superiore da arrosto, quasi alla stregua degli altri due maggiori fratelli e dei vini della stirpe vercellese, novarese, lombarda; frizzante lo è quante volte se ne interrompe la fermentazione in tino e in botte

per lasciarla ultimare in bottiglia, secóndo un antico e tuttavia corrente sistema di elabora-zione di vini vivaci. Sistema piuttosto artigiano o domestico. Oltre che frizzante, esso è amabile o abboccato. E questa amabilità di gusto è pre-ferita da coloro che non hanno in simpatia i vini asciutti, decisamente austeri. Poiché però le bottiglie non subiscono il processo dello sboc-camento (o dégorgement) il sedimento feccioso si deposita sul fondo delle medesime, lo scuo-timento inevitabile delle quali può provocare l'intorbidamento del vino e può, di conseguenza, alterarne il sapore. A questo empirico sistema di elaborazione dei vini frizzanti sarebbe perciò da preferire quello moderno della gassificazione o della saturazione carbonica con il quale si ottengono i vini spumeggianti che altre deno-mina spumanti artificiali. Meglio ancora ne sarebbe la elaborazione in grande nel chiuso dell'autoclave, nell'interno della quale avviene la fermentazione secondaria. Alludiamo al si-stema Charmat che appunto — previa filtra-zione — imbottiglia sotto pressione il vino proveniente dalle autoclavi.

In questa fugace rassegna di vini degni della bottiglia, elegantemente confezionata, e degni d'essere catalogati al di sopra della serie vini-cola regionale e nazionale, e al di sopra — di-rebbe il Dalmasso — anche delle possibilità economiche della massa dei consumatori, ora è il caso di spingere l'obiettivo al nord per fotografare organoletticamente gli altri vini della medesima stirpe dei quali le singole zone vanno orgogliose, mantenendoli sul piedistallo della superiorità e della fama meritatamente acquisita e conservata lungo la successione dei secoli. Ognuna di quelle zone — pari a quelle del cuneese — è orgogliosa della propria tipica produzione nella quale si riconosce, e grazie alla quale si fa conoscere sia nel resto dell'Italia

che all'estero. Bisognerebbe però che non ricor-resse al pur tecnico e permesso taglio con le uve pugliesi o meridionali allo scopo di poter aggiu-stare la produzione al consumo. Se ne snatura il tipo. Meglio è lasciare inassecondate le ri-chieste piuttosto che meticciarne le disponi-bilità con la produzione del Salento o di altre plaghe meridionali.

Ora, per ultimare la rassegna diremo che in solennità di profumo, in gagliardia di sapore, e in tonalità granata di colore, competono con i tre maggiori tanto il Carema quanto il Cam-piglione: l'uno — come s'è già detto — nella zona canavesana del torinese e l'altro nel pine-rolese. Ma le due tipiche produzioni sono quan-titativamente limitate.

Nella serie vercellese o biellese emerge il Gattinara, il cui gusto asciutto, aristocratico, armonico, generoso, ha sfumature originali di lampone. C'è chi lo ritiene perfino superiore al Barolo, rispetto al quale però la sua importanza e la sua rinomanza sono inferiori data l'angusta e circoscritta zona di produzione.

A questo punto se descrivessimo i rimanenti vini fratelli di cittadinanza vercellese, novarese, valtellinese, non faremmo che ripetere gli ag-gettivi usati per dare una fotografia organo-lettica del Barolo, del Barbaresco, del Nebbiolo e del Gattinara. Tanto più che i vini figli del prolifico Nebbiolo sono fondamentalmente ugua-li, ricordando ciascuno il profumo di viola misto a quello di catrame o goudron.

Grazie alla loro identica estrazione viticola, e grazie anche alle affinità pedoclimatiche delle zone di produzione, la loro è ovviamente una assomiglianza spinta; tanto spinta da non sfug-gire nemmeno al consumatore meno ... fisio-nomista o meno esperto, o che non si soffermi ad apprezzare d'ogni tipo sia il profumo che il gusto e il retrogusto.