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I DELITTI DI CONCUSSIONE E CORRUZIONE NELLA LEGGE 26 APRILE ‘90 N. 86

Relatore:

dott. Adalberto ALBAMONTE

consigliere della Suprema Corte di Cassazione

SOMMARIO: 1. L’oggetto giuridico - 2. La nozione di abuso dell’ufficio nei delitti con-tro la pubblica amministrazione - 3. I soggetti - 4. Il delitto di concus-sione - 5. Il delitto di corruzione - 6. La corruzione in atti giudiziari - 7.

L’istigazione alla corruzione - 8. La circostanza attenuante.

1. L’oggetto giuridico

Con la Costituzione repubblicana, fondata sulla sovranità po-polare ed ispirata ad un ordinamento democratico pluralista, si è avviata la compenetrazione tra Stato-comunità e Stato-apparato, ed in virtù di essa sono stati enunciati i principi di democraticità dell’ordinamento, di autonomia, e — per quanto interessa questa sede — di imparzialità, buon andamento e legalità dell’azione del-la pubblica amministrazione. Tali principi non solo hanno imposto una rivisitazione interpretativa dei delitti contro la pubblica am-ministrazione, in passato incentrati sulla tutela di interessi propri dello Stato-apparato, quali il prestigio e l’intangibilità della potestà autoritativa, ma hanno ispirato la nuova formulazione di tali de-litti nella legge n. 86 del 1990, soprattutto con riguardo alla figu-ra dei soggetti attivi.

I suddetti principi sono andati così a costituire l’oggetto giuridi-co dei delitti in esame, cioè quei valori giuridi-costituzionalmente

significa-tivi ai quali va riferita l’offensività dei reati contro la pubblica am-ministrazione, e lo scopo stesso della norma punitiva.

Il principio di legalità consiste nell’esigenza che ogni esplicazio-ne di pubblico potere trovi il proprio fondamento positivo in norme di legge, che disciplinano i suoi fondamentali attributi quali la com-petenza, la forma, il procedimento di formazione, i contenuti, gli ef-fetti, etc. Poiché tale principio non è sufficiente a garantire il sod-disfacimento delle finalità di pubblico interesse, di cui è attributaria la p.a., l’ordinamento giuridico ha previsto due principi costituzio-nali, quali il principio di imparzialità e il principio di buon anda-mento della p.a. (art. 97 comma 1° Cost.).

Il principio di imparzialità esprime l’esigenza che la p.a., nell’esercizio dei suoi poteri, valuti ed attui gli interessi pubblici senza subire deviazioni per interessi personali del soggetto agente o per interessi particolari di soggetti o gruppi. Ma, tale principio va inteso non solo secondo una connotazione positiva, nel senso che l’esercizio della potestà pubblica deve essere ispirata alla pre-ventiva valutazione ed all’armonica composizione degli interessi pubblici e privati, attraverso l’osservanza della disciplina del pro-cedimento, del contraddittorio, dell’introduzione degli interessi da valutare.

Il principio di buon andamento consiste in tutte quelle regole di buona amministrazione alle quali si deve ispirare l’azione pubblica.

Tale principio esige che l’azione della p.a. venga svolta secondo re-gole che concretizzano efficienza, semplicità, tempestività, efficacia, in modo che l’attività pubblica sia quanto più aderente alla norma che ha conferito il potere in vista del soddisfacimento dell’interesse pubblico.

Una specificazione della suddetta regola, che trova un referente anch’esso nell’art. 97 Cost., è costituita dal principio della continuità dell’azione pubblica. Tale principio vuole assicurare che nella con-dotta della p.a. non si verifichino ritardi o interruzioni che si risol-verebbero nella lesione degli interessi pubblici. Con la conseguenza che l’inerzia impedirebbe la realizzazione dei pubblici interessi, e quindi il funzionamento della istituzione pubblica.

Tutti i suddetti principi, cumulativamente o singolarmente, tal-volta risultano lesi talaltra esposti a pericolo — secondo le varie fat-tispecie — dai reati contro la p.a., e vanno a costituire il parametro cui commisurare la portata criminosa del fatto illecito.

2. La nozione di abuso dell’ufficio

L’abuso dell’ufficio costituisce in talune fattispecie la modalità dell’azione, come relativamente ai delitti di cui agli artt. 314, 317, 318, 319, talaltra esaurisce la condotta medesima, come nel delitto di cui all’art. 323, ovvero caratterizza implicitamente la condotta, co-me nel delitto di cui all’art. 328 c.p. Tuttavia, sempre l’abuso dell’uf-ficio si propone come elemento della condotta e ne esprime la por-tata offensiva in funzione dell’interesse tutelato. Di qui la necessità di chiarire la relativa nozione, individuando l’abuso dell’ufficio l’og-getto delle indagini e delle valutazioni del giudice penale al fine del-la formazione del giudizio di colpevolezza.

L’ufficio consiste in un’unità organizzativa della p.a., costituita da elementi materiali e da persone, per l’esercizio di attività volte a fini giuridicamente predeterminati (1). L’ufficio costituisce la base strumentale ed ordinamentale per l’esercizio di un potere, che rap-presenta il mezzo necessario e sufficiente per il conseguimento del fine costituente lo scopo tipico dell’ufficio. In altri termini, il titola-re di un ufficio esercitando il potetitola-re adempie alla funzione cui è ptitola-re- pre-posto e realizza la finalità dell’ufficio medesimo, alla quale lo vin-cola un dovere.

Il potere si può così definire come quella particolare situazione giuridica soggettiva necessariamente collegata ad un ufficio, che si concreta in una vis modificativa della realtà giuridica, e che viene esercitato in vista di uno scopo, ed in forza del dovere di soddisfa-re il pubblico intesoddisfa-resse. Il dovesoddisfa-re va così a costituisoddisfa-re il parametro cui va commisurato l’esercizio del potere, definendosi antidoveroso quell’esercizio del potere che non si adegui alla regola normativa po-sta a base dell’ufficio medesimo.

Il titolare dell’ufficio agisce, pertanto, per l’adempimento di un dovere mediante l’esercizio di un potere attribuitogli dall’ordinamento per soddisfare un interesse pubblico (2). Pertanto, l’antidoverosità consiste nell’esercizio di un potere pubblico in violazione di quelle regole che si incentrano principalmente nella realizzazione di

prin-(1) GALATERIA-STIPO, Manuale di diritto amministrativo, Torino, 1990, p. 150.

(2) STIPO, Osservazioni in tema di poteri ed interessi pubblici, in Arch. giur. 1985, p. 231 ss.

cipi di legalità, imparzialità e buon andamento della p.a. Sicché l’abu-so dell’ufficio consiste nell’antidoverosità della condotta del titolare del potere, e su di essa si incentra l’accertamento del giudice pena-le, ai fini del giudizio di colpevolezza.

L’esercizio del potere va quindi a costituire l’oggetto dell’accer-tamento e quindi del sindacato del giudice penale, ovvero tale og-getto è costituito dalla manifestazione di tale esercizio, che può con-sistere in un’attività giuridica, cioè in una manifestazione formale della potestà amministrativa, o in un’attività materiale, che in quan-to tale pur costituendo lo sbocco dell’esercizio del potere è diretta-mente riconducibile alla sfera individuale ed egoistica del suo auto-re e dei fini essenzialmente personali che si ripropone di consegui-re con la condotta stessa.

Appare evidente che, in presenza di una manifestazione tipica del potere amministrativo, l’antidoverosità si concretizzi nella ille-gittimità dell’atto, costituente manifestazione del potere medesimo, e nel sindacare tale atto il giudice penale non incontra alcun divie-to costituendo esso l’elemendivie-to integrativo della fattispecie criminosa sulla quale è chiamato a pronunciarsi (3).

Tutte le volte che elemento essenziale di una fattispecie crimi-nosa — relativa ai delitti contro la p.a., per restare al tema di que-sto studio — sia costituito da un atto o provvedimento amministra-tivo, il giudice penale è chiamato ad accertare se tale manifestazio-ne sia illegittima o meno, entro l’ambito dei vizi che tale organo può sindacare, ovvero che può sindacare senza pregiudicare o compri-mere la sfera squisitamente discrezionale della p.a.

Quanto ai vizi dell’atto amministrativo, sono completamente da escludere dal sindacato del giudice penale quelli attinenti al merito amministrativo, che si sostanziano nella non conformità dell’atto a regole di opportunità e di convenienza sottratte, in assenza di pre-cisi parametri normativi di riscontro, alla conoscenza del giudice.

Possono essere invece conosciuti dal giudice ordinario tutti i vi-zi di legittimità quali l’incompetenza, la violavi-zione di legge e l’ec-cesso di potere. Si configura l’incompetenza quando un’autorità

ab-(3) Cass. sez. 6, 16 dicembre 1989, n. 17330, Greco, in Mass. uff. n. 182831; in sen-so conforme la dottrina: CONTENTO, Giudice penale e pubblica amministrazione, 1979, p. 45-47.

bia emanato un atto al di fuori dei poteri ad essa assegnati, sconfi-nando nell’ambito dei poteri conferiti ad un’altra autorità. Si ha ec-cesso di potere in caso di inosservanza sia dei fini istituzionali da perseguire nell’esercizio del potere (cd. sviamento di potere), sia del principio di conformità ai fatti ed agli atti della p.a., privi del valo-re di fonti del diritto (disposizioni normative interne proprie dell’or-ganizzazione amministrativa). Si devono invece ritenere sottratti al-la conoscenza del giudice ordinario quei vizi sintomatici dell’ecces-so di potere che attengono ad una incisiva valutazione della discre-zionalità amministrativa, e quindi costituiscono una ingerenza nella sfera della p.a. La violazione di legge consiste in una violazione pun-tuale delle norme giuridiche riguardanti l’atto emanato, quali i vizi di forma, la mancanza di motivazione, vizi del procedimento, etc.

É del tutto evidente che l’illegittimità dell’atto costituisce ele-mento della fattispecie, ma non è di per sé sola sufficiente per rite-nere sussistente l’ipotesi di reato contro la p.a., ciò necessitando del-la presenza degli altri elementi oggettivi e soggettivi (4).

In presenza di una situazione dell’atto dalla quale discenda quel-lo stato patoquel-logico definito di inesistenza dell’atto si deve conclude-re per la idoneità della condotta a dar luogo alla fattispecie crimi-nosa dei reati contro la p.a. (5). Tale grave anormalità si riscontra allorché un atto venga emanato da un soggetto od organo della p.a.

sulla base di un potere che l’ordinamento non ha assolutamente at-tribuito alla p.a. stessa; allorché l’autorità amministrativa emani un atto in materia completamente estranea al suo settore o agli interessi ad essa pertinenti (6).

Il sindacato in esame assume un rilievo importante nei delitti in cui l’esercizio del potere si manifesti esclusivamente mediante un’at-tività giuridica quali quelli previsti dall’art. 323 c.p. (7), o nella vio-lazione di un dovere di condotta quale quello di cui all’art. 328 c.p.

— nel quale il sindacato investe il presupposto stesso della

antigiu-(4) Cass. sez. 6, 2 agosto 1988, n. 8573, Macrì, in Mass. uff. n. 178994.

(5) Cass.sez. 6, 1 febbraio 1990, n. 1467, Papale, in Mass. uff. n. 183189.

(6) GALATERIA-STIPO, op.cit., p. 367.

(7) In senso conforme: Cass. sez. Un., 27 luglio 1990, n. 10893, Cascini, in Mass.

uff. n. 185020; Cass. sez. 6, 21 agosto 1990, n. 1572, Di Bilio (inedita); in senso contra-rio: Cass. sez. 6, 24 settembre 1990, n. 2405, Cataldo (Mass. provv.), secondo la quale non è necessario che l’abuso si concretizzi in un atto.

ridicità dell’inerzia, del ritardo, del rifiuto —, o in quelle ipotesi de-littuose in cui l’illegittimità assume un significato caratterizzante an-che se non essenziale quali quelle previste dagli artt. 317, 318 e 319 c.p. (8).

Qualora invece l’esercizio del potere non abbia come sbocco la formazione di un atto amministrativo ancorché viziato, ma un’attività materiale, la quale importi di quello una deviazione verso interessi esclusivamente personali ed egoistici del soggetto, il sindacato del giu-dice concernerà il presupposto stesso di tale esercizio, cioè la titola-rità dell’ufficio, e l’apprezzamento come pubblico del potere esercita-to antidoverosamente. Tale ipotesi ricorre nelle fattispecie di pecula-to ex artt. 314 e 316 c.p., ed in quella di cui all’art. 317 c.p. tutte le volte che la modalità della condotta si concretizzi nell’abuso della lità, cioè nell’uso indebito della situazione personale dell’agente qua-le gli deriva dalla sua preposizione all’ufficio, e non nell’abuso dei teri, che si configura quando il soggetto eserciti in modo viziato i po-teri dell’ufficio. É stato difatti osservato al riguardo (9) che l’abuso previsto dall’art. 317 c.p. consiste nella strumentalizzazione da parte dell’agente della propria qualifica soggettiva o dei poteri esercitati, mentre nel primo caso egli si avvale della sua qualità indipendente-mente dalla correlazione con gli atti del proprio ufficio e l’abuso con-siste nell’esercizio della potestà di cui il soggetto è investito in diffor-mità dallo scopo previsto dalla legge, nell’altro il soggetto esercita in modo illegittimo i poteri atribuitigli dalla legge.

3. I soggetti attivi dei delitti contro la p.a.: pubblico ufficiale ed incaricato di pubblico servizio

Nel trattare dei delitti di concussione e di corruzione è oppor-tuno occuparci brevemente delle modifiche introdotte dalla legge n.

86 del 1990 in materia di qualità dei soggetti attivi di tali delitti. La legge è pervenuta ad una nuova definizione delle due figure del pub-blico ufficiale e dell’incaricato di pubpub-blico servizio, finendo così per caratterizzare oggettivamente anche l’ufficio al quale detti soggetti devono essere preposti.

(8) Cass. sez. Un., 18 marzo 1983, 2388, Dessi, in Mass.uff. n. 157960.

(9) Cass. sez. 6, 16 novembre 1987, n. 11662, MARINARO, in Mass. uff. n. 177064.

Il comma 1° dell’art. 357 c.p. riferisce la qualità di pubblico uf-ficiale all’esercizio delle funzioni legislative, giurisdizionali ed am-ministrative, con esclusione quindi dell’esercizio delle funzioni di go-verno, che, attenendo alla c.d. discrezionalità politica, si concretiz-zano nella predisposizione o nella determinazione dell’indirizzo po-litico ossia delle linee direttive e fondamentali dell’azione comples-siva statale, nonché dell’attuazione diretta ed immediata di tale in-dirizzo.

Il comma 2° dell’art. 357 identifica e definisce la funzione am-ministrativa sotto tre aspetti concorrenti: quanto alla fonte, essa è

“disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi”; quan-to al contenuquan-to, essa è caratterizzata “dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi e certificativi” (10). Va rilevato che, per conferire un esatto significato alla norma del comma 2° dell’art. 357 cit. in senso letterale, logico ed in linea con il vigente ordinamento, la par-ticella “e”, posta tra le locuzioni: norme di diritto pubblico-atti au-toritativi, formazione-manifestazione, poteri autoritativi-poteri certi-ficativi, non può assumere un significato lessicale di congiunzione dei termini di ciascuna delle locuzioni citate, risultando tale unione di difficile comprensione (come nel caso: poteri autoritativi-poteri certificativi, o formazione-manifestazione della volontà dalla p.a.) e talvolta di inutile previsione (come nel caso: norme di diritto pub-blico-atti autoritativi), ma assume un significato con valore avversa-tivo, coprendo ciascuna locuzione nei termini antitetici espressioni alternative di pubblica potestà, a fini esclusivamente descrittivi del-la redel-lativa nozione, da trarre dal diritto amministrativo, aldel-la cui di-sciplina la norma implicitamente rinvia.

Venendo alla definizione di incaricato di pubblico servizio, l’art.

358 c.p., dopo aver enunciato che “sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico ser-vizio”, offre la nozione di pubblico servizio sotto tre aspetti concor-renti: quanto alla fonte, la norma richiama “le stesse forme della pub-blica funzione”, e cioè norme di diritto pubblico ed atti autoritativi;

quanto alla effettività, essa deve essere caratterizzata “dalla mancanza di poteri tipici”della pubblica funzione, di natura autoritativa e cer-tificativa; quanto al contenuto, essa deve essere intellettiva, e non

de-(10) ALBAMONTE, Modifiche ai delitti contro la p.a., in Cons. St. 1990, p. 763 ss;

ve attenere allo svolgimento “di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale”. Si deve trattare di atti-vità produttive, gestite da enti pubblici e quindi disciplinate da nor-me e da atti amministrativi, contrassegnate dalla presenza di fini so-ciali, che importino “per l’imprenditore una sottrazione della libera disponibilità dei fini operativi e l’impostazione di obiettivi che va-dano oltre l’ambito degli interessi individuali” (11).

Va ricordato che l’art. 320 c.p. riferisce il reato di corruzione im-propria ex art. 318 c.p. solo all’incaricato di pubblico servizio che ri-vesta la qualità di pubblico impiegato, e quindi si trovi in un rap-porto giuridico con la p.a. avente ad oggetto prestazioni a titolo pro-fessionale.

4. Il delitto di concussione

L’art. 4 della legge n. 86 del 1990 in materia di delitto di con-cussione non si discosta dalla collaudata previsione dell’art. 317 c.p., che individua la condotta punibile alternativamente nella costrizio-ne o costrizio-nell’induziocostrizio-ne, se non per l’estensiocostrizio-ne della responsabilità agli incaricati di pubblici servizi, e per l’esclusione dalla pena edittale del-la componente pecuniaria, modifica questa che viene apportata an-che a tutti gli altri delitti contro la p.a. per una semplificazione del sistema punitivo.

É stata anche sostituita la locuzione “abusando della sua qualità o delle sue funzioni” con quella “abusando della sua qualità o dei suoi poteri”, e ciò per adeguarla all’estensione della responsabilità agli incaricati di pubblico servizio.

Contrariamente al disegno governativo e ad un certo orientamento parlamentare, non è stata inclusa nel delitto in esame la c.d. con-cussione ambientale, che sarebbe dovuta ricorrere quando la presta-zione del privato era conseguente ad una soggepresta-zione di carattere ge-nerale determinata dalle condizioni in cui questi viene ad instaurare il rapporto con il pubblico ufficiale, e delle quali si avvantaggia.

D’altra parte, già la giurisprudenza ha ritenuto che la concus-sione è integrata dalla preminenza intimidatrice del p.u. rispetto

al-(11) GIANNINI, Diritto pubblico dell’economia, Bologna, 1977, p. 139-140.

la volontà del privato senza che sia necessaria una coartazione as-soluta (12); che è sufficiente che tale volontà non si sia liberamen-te formata a cagione diretta od indiretta della condotta del sogget-to; che è sufficiente che il soggetto attivo abbia creato od insinua-to nel soggetinsinua-to passivo uno stainsinua-to idoneo ad elidere o viziare la vo-lontà di quest’ultimo, anche soltanto inducendolo ad esaudire l’ille-cita pretesa onde evitare pregiudizio o danno maggiore; che è con-figurabile anche quando sia il privato ad offrire al soggetto pubbli-co denaro od altra utilità, qualora l’offerta rappresenti non già l’at-to iniziale dell’azione criminosa bensì il logico sbocco di una situa-zione gradatamente creatasi attraverso allusioni o maliziose pro-spettazioni di futuri danni a causa delle quali il privato si determi-ni ad aderire alla richiesta, implicita od esplicita, al fine di evitare il danno (13).

Rimane, infine, fermo il carattere differenziale del delitto di con-cussione rispetto a quello di corruzione, che va desunto dalla volontà dei soggetti, che nella corruzione agiscono su un piano di parità e di libera determinazione, e nella concussione sulla base della coar-tazione della volontà del privato, non più libera di determinarsi, an-che se alla ricerca del minor danno (14).

5. I delitti di corruzione

Gli articoli dal 6 al 12 della legge n. 86 non prevedono innova-zioni sostanziali ai delitti di corruzione, ma soltanto modifiche di ca-rattere prevalentemente tecnico.

Viene così confermata la differenza tra le ipotesi criminose pre-viste dagli art. 318 e 319 c.p., la quale sta nel fatto che nella prima ipotesi, tramite il collegamento con il privato, determinato dal pac-tum sceleris, si realizza una violazione del principio di correttezza e in qualche modo di imparzialità che è a fondamento del dovere di ufficio, senza però che l’atto, segnandolo di connotazioni di

illegitti-(12) Cass. sez. Un., 18 marzo 1983, Dessì, in Mass. uff. n. 157961.

(13) Cass. sez. 6, 27 gennaio 1987, n. 833, Grimaudo, Mass. uff. n. 174933; idem, 27 febbraio 1988, n. 2720, Cannone, in Mass. uff. n. 177722; idem, 9 febbraio 1990, Squeo ed altri (inedita).

(14) Cass. sez. 6, 17 febbraio 1989, n. 2681, Reggi, in Mass. uff. n. 180572.

mità, il quale rimane caratterizzato dalla antidoverosità (15).

Venendo alle modifiche apportate dalla legge in esame, va rile-vato che, relativamente all’art. 318, viene determinato il minimo del-la pena edittale e viene espunta da essa del-la componente pecuniaria.

Relativamente al delitto di corruzione propria, la legge n. 86 ha trasfuso in un’autonoma fattispecie l’ipotesi di corruzione in atti giudiziari (art. 319 ter), ed ha incluso le aggravanti di cui all’ori-ginario art. 319 cpv. n. 1 in autonomo articolo (art. 319 bis). Le aggravanti di cui alla norma da ultimo citata si configurano solo per il fatto che la corruzione abbia per oggetto il conferimento di pubblici impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di con-tratti nei quali sia interessata l’amministrazione alla quale il pub-blico ufficiale appartiene, non essendo più limitate le fattispecie al conseguimento del beneficio o del vantaggio come prevedeva la pas-sata disposizione normativa. Tali fattispecie infine vanno ad ag-gravare il delitto di cui all’art. 319 solo nei casi in cui il soggetto attivo sia un pubblico ufficiale, e non anche ove esso s’identifichi in un incaricato di pubblico servizio, conformemente alla previsio-ne passata, ed alla previsioprevisio-ne dell’attuale art. 320 c.p. Inoltre, la

Relativamente al delitto di corruzione propria, la legge n. 86 ha trasfuso in un’autonoma fattispecie l’ipotesi di corruzione in atti giudiziari (art. 319 ter), ed ha incluso le aggravanti di cui all’ori-ginario art. 319 cpv. n. 1 in autonomo articolo (art. 319 bis). Le aggravanti di cui alla norma da ultimo citata si configurano solo per il fatto che la corruzione abbia per oggetto il conferimento di pubblici impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di con-tratti nei quali sia interessata l’amministrazione alla quale il pub-blico ufficiale appartiene, non essendo più limitate le fattispecie al conseguimento del beneficio o del vantaggio come prevedeva la pas-sata disposizione normativa. Tali fattispecie infine vanno ad ag-gravare il delitto di cui all’art. 319 solo nei casi in cui il soggetto attivo sia un pubblico ufficiale, e non anche ove esso s’identifichi in un incaricato di pubblico servizio, conformemente alla previsio-ne passata, ed alla previsioprevisio-ne dell’attuale art. 320 c.p. Inoltre, la