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LA MALVERSAZIONE AI DANNI DELLO STATO

Relatore:

dott. Francesco DE LEO

sostituto procuratore della Repubblica presso la il Tribunale di Roma

L’inserimento della malversazione ai danni dello Stato nella leg-ge 86/90 modificativa dei delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione è un singolare lapsus legislativo essendo evidente che la norma riguarda un reato non proprio. Peraltro tale collocazione — che ha finito poi col portare la norma nel capo I del titolo codicistico che tratta dei delitti contro la P.A. — non fa che ereditare quella contenuta nel disegno di legge governativo; vicever-sa la prima proposta di legge di origine parlamentare, di Violante e altri, ne prospettava correttamente l’inserimento nel capo II, quello dei delitti dei privati, sotto forma di un art. 356 bis.

Questo inserimento non solo ha posto la nuova fattispecie ac-canto a norme alla cui problematica era completamente estranea, ma sopratutto ha fatto sì che nel nostro ordinamento entrasse separata da un’altra norma alla quale invece era strettamente collegata, quell’art. 640 bis introdotto dalla legge 55/90 che prevedeva la truf-fa per il conseguimento di erogazioni pubbliche.

Infatti la discussione dottrinale si è sviluppata di pari passo per entrambe le norme e nell’ambito del diritto penale dell’economia il quale, sul finire degli anni ‘70, anche sotto la spinta di modelli le-gislativi tedeschi che da poco avevano visto la luce, veniva chiama-to a confrontarsi con le problematiche relative alla crisi del Welfare State e in particolare del suo degenerare verso forme assistenziali-stiche che divoravano la spesa pubblica e che costituivano, e costi-tuiscono, una delle caratteristiche di maggior rilievo del nostro go-verno dell’economia.

L’interesse dei penalisti si concentrava sul fenomeno dell’abuso dei finanziamenti pubblici, cioè sulle condotte di captazione

abusi-va di quelle erogazioni caratterizzate dall’assenza di una contropre-stazione economica e finalizzate a rendere il comportamento di par-ticolari categorie di imprese conforme agli obiettivi della politica eco-nomica.

Alla ricerca di un sistema sanzionatorio ancorabile al diritto po-sitivo la principale norma incriminatrice sulla quale fare perno ap-pariva quella relativa alla truffa che tuttavia suscitava una serie di perplessità. In primo luogo si sottolineava, subendo il fascino del mo-dello tedesco ma senza soppesarne il contesto economico affatto di-verso, che da essa restavano fuori i comportamenti contigui alla fro-de ma non dolosi, e solo gravemente colposi.

In secondo luogo veniva a pesare la circostanza che la truffa è un reato di danno per cui non vi si riusciva a ricondurre l’intera gamma delle condotte fraudolente che non rivestissero neppure il re-quisito minimo della idoneità a ingannare necessario a integrare al-meno la truffa tentata.

Ma soprattutto era il concetto di danno a creare le maggiori dif-ficoltà essendo legato, nella tradizionale costruzione della truffa, all’idea del patrimonio della vittima, tanto che — di fronte all’eve-nienza che la vittima sia lo Stato — il legislatore del ‘30 si era limi-tato ad assicurare la tutela solo sotto forma circostanziale, lascian-do quindi completamente inalterato il nucleo concettuale della fatti-specie e ignorando ulteriori precipui aspetti del danno allo Stato con-sistenti nella vanificazione degli interessi pubblici sottostanti. Aspetti che, in materia di sovvenzione, assumono una caratterizzazione pre-cisa poiché la finalità pubblica è in fondo l’unica ragione che giu-stifica il contributo.

Si sosteneva quindi che per poter munire l’ordinamento di una tutela adeguata l’unica soluzione era predisporre una normativa spe-cifica che superasse quelle obiezioni soprattutto arretrando la soglia di tutela e colpendo quei comportamenti che consistessero nel for-nire alla P.A. quei falsi presupposti mediante i quali si avrebbe avu-to diritavu-to alla sovvenzione.

Questo modello di tutela ha nel diritto vigente un concreto rife-rimento nel cd. mendacio bancario previsto dall’art. 95 della legge bancaria. Tuttavia la norma — tra la sua scarsa conoscenza, la riot-tosità delle banche a denunciarla, l’irrisorietà della sanzione — ha sempre trovato scarsissima applicazione e per di più non si presta a tutelare il fenomeno delle sovvenzioni perché strutturalmente

rivol-ta alle operazioni di credito, rivol-tanto è vero che destinarivol-tari delle false comunicazioni possono essere solo le banche.

Un’altra fattispecie di diritto positivo che muove nella stessa di-rezione è il delitto di false comunicazioni sociali (art. 2621 c.c.) del quale però lasciava perplessi lo stravolgimento da forma di tutela ticipata di soci creditori visti non uti singuli a forma di tutela an-ticipata di soggetti ben determinati; per di più esso non potrebbe mai riguardare l’imprenditore individuale né vi si potrebbe far rien-trare tutta quella documentazione che si riferisce a dati diversi dal-la “costituzione o condizioni economiche deldal-la società”.

Il modello di tutela anticipata aveva il suo vero punto di riferi-mento nella fattispecie di truffa nelle sovvenzioni introdotta nel co-dice penale tedesco nel 1976 e che, trovando un concreto presuppo-sto normativo nella legge sulle sovvenzioni entrata contemporanea-mente in vigore, sanzionava il comportamento di chi fornisce dati falsi o incompleti o tace fatti rilevanti ai fini di una sovvenzione. ed era infatti quel modello a ispirare la proposta di legge Minervini-Spaventa del 1980 che, all’art. 5, delegava il governo a introdurre il delitto di “frode in pubblici ausili finanziari a imprese”.

Questa direzione normativa trovava infine una quasi-attuazione allorché con il D.L. 701/1986 in materia di produzione agricola si puniva il comportamento di chi “espone scientemente dati o notizie inesatti” con la reclusione fino a 4 anni e la multa (la reclusione ar-rivava a 5 anni se si ottenevano le sovvenzioni). Poi in sede di con-versione la l. 898/86 ha sostituito il reato di pericolo con uno (me-no grave) articolato sotto forma di truffa.

Il modello di tutela mediante una fattispecie specifica sganciata dagli elementi del danno ha incontrato una serrata critica che ri-chiamava l’incompatibilità di esso sia con il nostro sistema giuri-dico, privo di una chiara e precisa disciplina di riferimento in ma-teria di sovvenzioni, sia soprattutto con il nostro sistema politico-economico. Infatti la norma tedesca si inserisce in un sistema ispi-rato alla libera concorrenza al cui rispetto sono tenuti tutti i sog-getti economici e rispetto al quale la stessa sovvenzione intanto può essere accettata in quanto non alteri tale equilibrio e si adat-ti quindi al rispetto di rigorose regole di comportamento. In tale contesto l’abuso delle sovvenzioni pubbliche rappresenta un com-portamento lesivo di notevole gravità, tale dunque da tollerare una tutela anticipata.

Viceversa nel sistema economico italiano il finanziamento pub-blico svolge una funzione politica che alimenta e in un certo senso giustifica il fenomeno, diminuendo il disvalore delle condotte capta-tive e legittimando quindi la punizione solo dei comportamenti aper-tamente fraudolenti.

Essendo queste le fondamentali coordinate teoriche di un possi-bile intervento normativo sul fenomeno delle frodi nel finanziamen-to agevolafinanziamen-to delle imprese, il legislafinanziamen-tore ha tendenzialmente distinfinanziamen-to le condotte precedenti al provvedimento di erogazione da quelle suc-cessive.

In relazione alle prime egli si è orientato nel senso di utilizza-re il collaudatissimo strumento della truffa. Tuttavia l’intervento le-gislativo non si è limitato a riscrivere superficialmente l’articolo 640 disegnando la truffa nelle sovvenzioni come una semplice circo-stanza aggravante, ma ha creato un reato autonomo come dimo-stra sia la sua collocazione sia la determinazione della pena svin-colata dal doppio parametro (pena detentiva + pena pecuniaria) del-la truffa prevista dall’art. 640 e autonomamente individuata neldel-la sola reclusione. La novità è di notevole importanza e sembra di-mostrare che il legislatore abbia tenuto conto dei risultati cui era pervenuta l’elaborazione dottrinale. Infatti la costruzione della truf-fa nelle sovvenzioni come reato a sé impone, stante il truf-fatto che gli elementi costitutivi della nuova fattispecie sono rimasti inalterati rispetto alla truffa classica, una riconsiderazione della loro valenza e quindi non può che portare alla conclusione che è il danno ad aver assunto un nuovo peso specifico, tale da giustificare la escur-sione edittale del nuovo reato, non solo più ampia ma anche non soggetta a rocamboleschi giochi di equivalenza tra circostanze. La nuova nozione di danno si ricollega dunque a un diverso concetto di patrimonio dove entra in gioco lo scopo perseguito dall’organo pubblico sì che è il suo sviamento a caratterizzarsi come evento dannoso.

Come corollario di questa operazione normativa può annoverar-si anche il fatto che per questa via cade il dubbio, che annoverar-si andava pro-filando, che la truffa incominciasse a coprire una gamma troppo am-pia di comportamenti oltre tutto caratterizzati da un’enorme diffe-renza di disvalore, tale da far seriamente pensare che incominciasse a perdersi la determinatezza della fattispecie incriminatrice e a pren-dere corpo profili di incostituzionalità.

Le riserve che possono avanzarsi dopo la nascita della nuova nor-ma sono tutto somnor-mato modeste. Ci si può ramnor-maricare per la col-locazione, anch’essa poco felice come quella della norma consorella dell’art. 316 bis, perché sarebbe stato più opportuno che trovasse po-sto tra i delitti contro l’economia pubblica. Si è persa l’occasione di sciogliere la duplicazione che si è venuta a creare tra il 640 bis e la cd. truffa AIMA prevista dalla citata legge 898/86; per cui quest’ulti-ma, che è norma speciale, rimane in vigore dando luogo così ad una disparità di trattamento assolutamente ingiustificata. Infine rimane il dubbio che paralleli fenomeni normativi, come quello che ha ri-scritto la frode fiscale, possano favorire il formarsi di una giuri-sprudenza sugli artifizi e raggiri più decorosa di quella sviluppatasi finora, e che quindi per questa via si possa pervenire alla conclu-sione che un qualunque comportamento menzognero non è suffi-ciente a integrare la truffa nelle sovvenzioni; e questo avrebbe evi-denti conseguenze sulla tutela assicurata dall’art. 640 bis.

Per la fase successiva al provvedimento di concessione del fi-nanziamento ai più appariva particolarmente necessaria la predi-sposizione di una fattispecie incriminatrice ad hoc poiché la truffa avrebbe potuto coprire i comportamenti più eclatanti ma non quel-li che si quel-limitassero, dopo una erogazione ottenuta regolarmente, a darle poi una destinazione diversa.

Per contro anche qui si ripresentavano quelle perplessità che tro-vavano alimento nelle caratteristiche della politica economica italia-na, e che con maggiore intensità, perché la pratica delle sovvenzio-ni spesso è una semplice modalità per attuare un trasferimento di risorse pubbliche a imprese in difficoltà. Sì che mancherebbero i pre-supposti criminologici per una qualsivoglia tutela.

A non voler aderire a questa posizione radicale potevano pro-spettarsi due tipi di interventi, tecnicamente antinomici. Il primo, modellato sulla fattispecie tedesca, che sanzionasse la condotta dell’imprenditore che venisse meno agli obblighi di corretta infor-mazione su di lui gravanti nella fase successiva al provvedimento di erogazione. Il secondo, contenuto in una “Proposta per il riordina-mento delle agevolazioni finanziarie alle imprese” elaborata da stu-diosi di formazione extrapenale, che sanzionava chi “non realizza le iniziative agevolate in conformità alle finalità”.

Entrambe le proposte tuttavia — pur con tecniche diverse, dise-gnando rispettivamente un reato di mera condotta e un reato di

even-to — conducevano a un irrigidimeneven-to del sistema di sovvenzione; la seconda anche più della prima perché costringeva il giudice a sin-dacare la realizzazione del fine e a occuparsi di ogni ipotesi di man-cato conseguimento da parte dell’imprenditore degli obblighi pro-grammatici perseguiti.

Il legislatore ha seguito una terza strada, intermedia, che sem-bra sfuggire alle opposte insidie di un reato dalla tutela troppo an-ticipata e di un reato “di risultato”. Egli, sanzionando la omessa de-stinazione dei finanziamenti alle finalità pubbliche predeterminate, ha costruito una fattispecie che, pur ancorando il reato al danno, non lo collega irrimediabilmente al mancato conseguimento degli obiettivi. Potrebbe definirsi, dal punto di vista del danno, come un reato di “danno strumentale” (rispetto al danno finale rappresentato dal mancato scopo), oppure, dal punto di vista della condotta, come un reato di condotta dannosa.

Il testo varato dal Parlamento non ha accolto una formulazione contenuta nel disegno di legge governativo che intendeva introdurre una condizione oggettiva di punibilità e un termine entro il quale la finalità doveva essere attuata. Intendimento del Governo era sia in-dividuare per questa via il momento consumativo del reato, sia evi-tare incriminazioni di comportamenti volti a un impiego difforme non precario.

La proposta non è passata e se, per quanto riguarda il tempo del commesso reato, si può comunque arrivare alla sua sicura indivi-duazione, il secondo problema presenta qualche difficoltà in più al-la quale si può ovviare solo interpretando il reato alal-la luce delal-la con-cezione realistica e quindi della effettiva messa in pericolo del bene protetto; e a tal fine torna utile la precedente ricostruzione che in-dividua il delitto come un reato di danno strumentale rispetto al dan-no finale rappresentato dal mancato conseguimento della finalità.

Peraltro il ripudio della condizione oggettiva di punibilità con-sente la punibilità di condotte distrattive che si siano verificate pur in presenza dell’“inadempimento terminale”, il che può avvenire se ad esempio la P.A. non si avvale dei suoi poteri di revoca, nonostante gravi comportamenti del beneficiario penalmente rilevanti, ritenen-do di dare prevalenza ad altri interessi pubblici.

Il reato viene descritto dalla norma incriminatrice come omissi-vo proprio (non destina), il che presenta dei vantaggi rispetto all’al-ternativa, patrocinata dal Governo, di configurarlo come

commissi-vo (distrae): sia per l’individuazione del locus commissi delicti, che sarà il luogo dell’omissione, cioè il luogo in cui l’azione del tempus commissis delicti, che permarrà fino a quando sarà possibile ot-temperare.

Sotto un profilo sostanziale invece la condotta di “omessa desti-nazione” è meno pregnante di quella di “distrazione a profitto pro-prio e altrui” prospettata nel d.d.l. governativo ed evidenzia che non sono necessari fatti di appropriazione e che punibile è qualunque de-stinazione che tradisca lo scopo per il quale il contributo è stato ero-gato: quindi anche una destinazione pubblica diversa da quella ori-ginaria.

La conclusione, che avrebbe potuto suscitare una problematica analoga a quella sviluppatasi in tema di peculato per distrazione, sembra essere scongiurata dal legislatore in relazione a quei sogget-ti per i quali sarebbe potuta sorgere, quelli cioè che operano al li-mite tra regime pubblico e privato. Infatti la norma, descrivendo il soggetto attivo del reato, non si limita a definirlo “chiunque” ma ag-giunge “estraneo alla Pubblica Amministrazione”, escludendo quindi tutti i soggetti comunque inquadrabili nei modelli sia organizzativi che funzionali della P.A., come ad es. gli amministratori delle im-prese pubbliche, per i quali come si sa è dubbia la loro qualità di incaricati di pubblico servizio; sì che, ove questa venisse negata e non potendosi applicare il 316 bis, dovrebbe pervenirsi alla conclu-sione che i loro comportamenti non sono considerati dall’ordina-mento come penalmente rilevanti.

Per ultimo può evidenziarsi che, benché la norma non includa i mutui agevolati tra le erogazioni che possono venire in rilievo ai fi-ni del reato (a differenza del 640 bis che invece li menziona accan-to ai finanziamenti), si deve ritenere che essi vi siano ricompresi per-ché il mutuo agevolato è tecnicamente sia un contributo sugli inte-ressi sia un finanziamento.

I DELITTI DI CONCUSSIONE E CORRUZIONE