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Relatore:

dott. Paolo GIORDANO

sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania

Sommario: 1. Premessa. Cenni metodologici. Scopo della relazione. - 2. Dal codice del 1889 al codice del 1930. Svolgimento storico delle nozioni di pubblico uf-ficiale e di incaricato di pubblico servizio. Cenni. - 3. Dal codice del 1930 agli anni 70. Quarant’anni di dottrina e di interpretazione giurisprudenzia-le. Trasformazioni sociali e dell’organizzazione della P. A. Il ruolo del Giudice Penale. - 4. La qualificazione giuridica soggettiva degli operatori bancari.

Una vicenda esemplificativa: dal pubblico al privato. - 5. Le ragioni della riforma e i lavori parlamentari. - 6. Esegesi delle nuove disposizioni e pro-fili applicativi. - 7. Conclusioni.

1. Il tema è tra i più controversi pur nella sua apparente o ori-ginaria linearità perché ha rappresentato, storicamente, uno dei luoghi di elezione della interferenza delle dottrine economico-politiche nella cultura giuridica. Tale analisi merita di essere sviluppata soprattutto in un momento in cui il diritto penale va perdendo la sua funzione “pro-mozionale” (1), propria di certi regimi e di determinate situazioni, per riacquistare la dimensione di scienza recettiva dei valori espressi dalla coscienza sociale. A tal fine va anzitutto notato che non si compren-derebbero pienamente talune cruciali questioni interpretative, vecchie e nuove, se non si ricorresse alla prospettiva storico-normativa che è l’unica a dare contenuti concreti a clausole generali.

Giova prendere le mosse dai motivi delle scelte del legislatore del 1930, per ripercorrere gli itinerari logico-ermeneutici nei decenni suc-cessivi, della dottrina e della giurisprudenza, tenendo presente sia le

(1) BRICOLA F., Elementi di novità e linee di tendenza nella legislazione pe-nale in materia economica, in “Nuove forme di criminalità economica e finanziaria;

sanzioni e garanzie”, Città di Castello 1989, pagg.14 e segg.

trasformazioni della realtà economico-sociale del nostro Paese in ri-ferimento alla organizzazione della pubblica amministrazione e all’in-tervento pubblico nell’economia, sia le elaborazioni dogmatiche nel-la scienza amministrativistica e in quelnel-la penalistica dei concetti di

“pubblica funzione” e “pubblico servizio”. Più che mai in questo ar-gomento, la metodologia storicista si appalesa dunque di fondamen-tale ausilio, non soltanto per enucleare i modi di formazione del tes-suto normativo (2) e gli obiettivi di politica criminale perseguiti ma anche per analizzare e valutare gli argomenti e i risultati dell’attività interpretativa, dove si è anche inserita, almeno in un certo periodo, come variabile indipendente, la cd. “supplenza giudiziaria” (3). Il con-tenimento di quest’ultimo fenomeno oltreché il tentativo di elimina-re la vaghezza di talune fattispecie ha, com’è noto, costituito la ra-gione di fondo della riforma dei reati contro la P. A. (4).

L’approdo a cui tende questo scritto è di verificare se tali ragio-ni valgano anche in questa parte della disciplina e se le poche novazioni ivi registrate corrispondano a dette ragioni o abbiano in-vece ubbidito a una diversa logica, per es., di mero aggiustamento tecnico, con sostanziale mantenimento della situazione problemati-ca preesistente (5), e conseguente interrogativo cirproblemati-ca la consapevo-lezza, da parte del legislatore, di dare vita ad adeguate riforme au-tenticamente innovative.

2. L’art. 207 c.p. del 1889 considerava “pubblici ufficiali”:

1) coloro che sono investiti di pubbliche funzioni anche tempo-ranee, stipendiate o gratuite, a servizio dello Stato, della Provincia e dei Comuni, o di un istituto sottoposto per legge alla tutela dello Stato, di una Provincia o di un Comune;

2) i notai;

(2) MALINVERNI A., Pubblico Ufficiale e incaricato di pubblico servizio, in Noviss. Dig. it., vol. XIV. Torino, 1968, pag. 560

(3) Su tale fenomeno vari e significativi sono gli scritti e le pubblicazioni. V.

PULITANO’ D., Supplenza giudiziaria e poteri dello Stato, in Quaderni Cost., 1983, n. 1, pagg. 93 e segg.; MARIONDO E., La ideologia della magistratura italiana, Bari, 1967.

(4) Atti parlamentari. Resoconti della seduta del 24.1.1990 della Commissione Giustizia della Camera. Intervento dei deputati FRACCHIA e NICOTRA. Resoconto della seduta del 5.4.1990 del Senato. Intervento del Ministro Vassalli.

(5) La formulazione della norma sembrerebbe di contenuto interpretativo.

3) gli agenti della forza pubblica e gli uscieri addetti all’ordine giudiziario”. Inoltre, quel codice stabiliva l’equiparazione ai pp. uu.

delle seguenti categorie: “giurati, arbitri, periti, interpreti e testimo-ni, durante il tempo in cui sono chiamati ad esercitare le loro fun-zioni”. La nozione di “incaricato di pubblico servizio” era, poi, pres-soché sconosciuta, rientrando nell’alveo della rilevanza penale sol-tanto attraverso la previsione di un’aggravante speciale del reato di ingiuria (art. 396 c.p. del 1889).

La tecnica normativa che aveva dato vita a simili espressioni era alquanto rozza, giacché accanto a una definizione di carattere gene-rale, in cui predominava peraltro come criterio discriminante il “rap-porto di servizio” con lo Stato o con gli enti pubblici territoriali allo-ra esistenti ovvero con gli altri enti pubblici, questi ultimi individuati in virtù di un rapporto di controllo-sorveglianza-direzione, vi era una elencazione, peraltro incompleta, giacché venivano esclusi sia i titola-ri del rapporto di servizio con enti non sottoposti alla tutela dello Stato ma a semplice vigilanza, nonché i senatori e i deputati (6).

La disciplina appariva coerente con lo stato degli studi di dirit-to amministrativo, ove non si era ancora sviluppata la teoria forma-le dell’ente pubblico (7), sia con la concezione liberaforma-le dello Stato cui erano riservati, com’è noto, pochi ed essenziali compiti, quali la sicurezza pubblica, la difesa, l’amministrazione della giustizia, delle finanze, la istruzione pubblica, l’assistenza sanitaria ed economico-sociale dei bisognosi.

Il codice del 1930 segna certamente una evoluzione oltreché il passaggio per così dire dallo stato liberale allo stato sociale corpo-rativo giacché, da un lato abbandona la tecnica normativa precedente in favore di una definizione di carattere generale senza elencazioni né tassative né esemplificative tout court; dall’altro lato, rinvia al con-tenuto del diritto amministrativo, nella convinzione che in tale sede la linea di demarcazione tra pubblico ufficiale e incaricato di pub-blico servizio fosse ben chiara (8).

(6) MALIVERNI A. Pubblico Ufficiale e incaricato di pubblico servizio, cit., pag.

562.

(7) Che si deve a OTTAVIANO V., Ente pubblico in “Enc. del Dir.”, vol. XIV, Milano 1967, pagg. 863 e segg.

(8) Così si legge nella Relazione del Ministro Guardasigilli al progetto definiti-vo; Lavori parlamentari, vol. V, 1929, 2a parte, pagg. 28 e 118

Per la verità, gran parte degli studiosi di diritto penale dell’epo-ca riteneva che le dell’epo-categorie soggettive cennate avessero signifidell’epo-cati di-versi nel diritto amm.vo e nel diritto penale (9).

L’opposta tesi (10), dell’autonomia nella nozione penalistica de-stinata a prevalere col tempo si basava su due argomenti:

1) essere gli scopi, i metodi e l’oggetto della legge penale diver-si da quelli delle altre leggi;

2) l’esame di alcune norme del cod. pen. (specificamente gli artt.

317, 322, 324, 476, 479, 520, 606, 607, 608 e 609 c.p.) pongono un piccolo gruppo di reati i quali per la loro configurazione richiedono la qualifica di pubblico ufficiale, ricavabile, per coloro che sono in-cardinati in un pubblico ufficio, dalla importanza delle mansioni svol-te (in quanto concorrono a formare la volontà dell’ensvol-te) e, per tutti gli altri, che operano fuori dai rapporti di servizio, dall’esercizio di poteri di coazione o di attestazione.

Tali scelte, a loro volta, riflettono una concezione arcaica dello Stato (11), in cui pubblica funzione e pubblico servizio rappresen-tano due distinti rami dell’attività pubblica, l’una cd. “giuridica”, proiettata all’espletamento delle funzioni primarie ed essenziali del-lo Stato; l’altra cd. “sociale”, caratterizzata dalle finalità di migliora-mento economico dei consorziati. La dottrina penalistica meno re-cente sviluppa questi concetti laddove ricollega alla dicotomia atti di imperio-atti di gestione (12), la pubblica funzione avente carattere di supremazia e il pubblico servizio, consistente invece in un’attività di diritto privato.

Orbene, lo stato della dottrina amministrativistica, al momento dell’emanazione del Codice del 1930, era nel senso di assegnare al concetto di “pubblica funzione” il significato di un’attività consistente nell’esercizio di pubbliche potestà, attività che si identifica nella coer-cizione in quanto manifestazione della sovranità dello Stato, carat-teristica comune della funzione legislativa e giudiziaria, e di

inten-(9) GALLO M., Nozione del pubblico ufficiale, incaricato di pubblico servizio e dell’esercente il servizio di pubblica necessità, in Annali 1953.

(10) MALIVERNI A. Op. cit., pagg. 557-558.

(11) La distinzione è di ZANOBINI G., Pubblici Ufficiali e incaricati di pubbli-co servizio nel nuovo pubbli-codice penale, in “Scritti in onore del prof. V. Conti”, Città di Castello, 1932, pag. 271.

(12) COSTA S., Studio sulle nozioni di pubblico ufficiale, incaricato di pubblico servizio, esercente il servizio di pubblica necessità. Torino, 1935.

dere per “pubblico servizio” l’attività residuale (13), cioè quella cor-relata a mansioni di carattere preparatorio rispetto all’attività, pre-minente, dei pubblici funzionari, ovvero quella rivolta alla gestione dei vari servizi di interesse sociale (14), come le poste, le ferrovie ecc.; mentre l’attività del potere amministrativo è considerata pub-blica funzione solo quando riveste il carattere dell’autoritarietà (15), intendendo per questa l’attitudine a incidere unilateralmente sulla sfera privata.

E per ovviare alla obiezione che tale costruzione non era idonea a classificare i comportamenti materiali dei titolari degli organi del-la p.a., suscettibili di provocare danni e di far emergere responsabi-lità, si pervenne alla elaborazione del criterio della cd. “rappresen-tanza esterna” (16).

Nella visione dei compilatori del codice, inoltre, la pubblica am-ministrazione si presenta come un sistema uniforme e accentrato, nel quale ogni soggetto dipendente è investito di un frammento di quell’autorità che promana dal vertice e che è meritevole di una tu-tela particolare, nei confronti dei cittadini, per il rango che ha con-quistato. Da qui la sottolineatura, nell’ordinamento penale, di valori quali il prestigio della p. a. , la probità e la correttezza dei pubblici funzionari in quanto partecipi di un sistema particolare dotato di una specifica rilevanza. Da qui, ancora, la distinzione netta tra pub-blico e privato, distinzione che passava attraverso la qualificazione degli interessi tutelati (come pubblici o privati), in quanto riferibili all’apparato della p. a. o ai privati; i contenuti, gli scopi dell’azione

(13) MIELE G., Pubblica funzione e pubblico servizio, in “Arch. giurid.”, 1933, pag. 172 — ZANOBINI G., Corso di diritto amministrativo, Milano 1968, vol. III, pagg.

245-247.

(14) GIANNINI M.S., Dir. Ammin., Milano, 1970, pag. 450 al quale si deve il pe-sante giudizio secondo cui “la letteratura penalistica è ampia, ma poco centrata, la giurisprudenza dei magistrati è rozza, provenendo da giudici che normalmente igno-rano il diritto pubblico.

(15) CAMMEO F., Corso di diritto amministrativo, ristampa, Roma, 1960, pagg.

714 e segg., secondo cui sono pubblici funzionari le persone che sono preposte agli uffici direttivi e cioè quelli che formano la volontà dell’ente, mentre sono incaricati di pubblico servizio quelle persone che ricoprono uffici esecutivi, in specie con fun-zioni prevalentemente manuali.

(16) RANELLETTI O., Principi di diritto amministrativo. In Giurisprudenza, v.

Cass. 21.1.1981, in “Giust. pen.”, 1981, II, 449.

amministrativa ovvero la capacità di agire dei privati, le forme e gli strumenti organizzativi (17).

Ed, ancora, al di fuori del sistema accentrato, caratteri pubbli-cistici potevano cogliersi nell’attività privata soltanto nella qualità delle funzioni esercitate (per es. del curatore, del tutore ecc…) ov-vero allorché ricorrevano i moduli della “concessione”, che trasferi-sce la gestione e non la titolarità delle funzioni o del servizio, o del-la “autorizzazione” che rimuove un limite all’esercizio di un diritto già preesistente (in quest’ultimo caso si tratterebbe del servizio di pubblica necessità ex art. 359 n. 2 c.p.).

La distinzione tra p.u. e incaricato di pubblico servizio — sem-pre nella concezione originaria — portava a conseguenze assai rile-vanti; infatti, questi ultimi non erano contemplati nei reati di con-cussione (art. 317 c.p.), di corruzione impropria salva l’ipotesi che il soggetto rivestisse la qualità di “pubblico impiegato” (artt. 318 e 320, 1° comma c.p.) nonché nei reati di abuso innominato e inte-resse privato in atti di ufficio (323 e 324 c.p.), di eccitamento al vi-lipendio delle istituzioni (327 c.p.). E ciò perché l’incaricato di pub-blico servizio non poteva esercitare la coazione necessaria (neanche nella forma dell’induzione) a configurare il delitto di concussione per la impossibilità di emanare atti autoritativi che potessero inci-dere sulla sfera dei terzo ovvero, negli altri casi, per la “modestia delle sue funzioni” a fronte della considerazione che per configura-re inteconfigura-ressi privati o abusi innominati lesivi di beni giuridici tipi-camente protetti, fosse necessaria almeno una sia pur limitata sfe-ra di autonomia decisionale (18) incompatibile con la concezione originaria dell’incaricato di pubblico servizio come affidatario di mansioni trascurabili.

In conclusione, per il codice del 1930 è p.u. colui che esercita funzioni legislative, giudiziarie e, relativamente alle funzioni ammi-nistrative, il titolare di rapporti di servizio con attribuzioni

premi-(17) DEL CORSO S., Pubblica funzione e pubblico servizio di fronte alle tra-sformazioni dello Stato; i profili penalistici, in “Riv. It. Dir. proc. Pen.”, 1989, 1036 e segg. Per il tipo di sistema amministrativo vedi anche l’intervento del Sen. Casoli;

Resoconti della Seduta del Senato della Rep. del 4.4.1990, pagg. 45 e segg.

(18) La considerazione è tratta dalla Relazione del Ministro Guardasigilli al pro-getto definitivo, Atti prep., vol. I, pag. 93.

nenti ed essenziali per lo Stato-apparato (19) ovvero colui che, indi-pendentemente da un rapporto di servizio, ha poteri di coazione o di certificazione fidefacente. É incaricato di pubblico servizio colui che esercita funzioni non preminenti nell’ambito dei compiti essenziali at-tività culturali, sociali, economiche svolte da enti pubblici o affidate a privati con atto di concessione. Sono esercenti servizi di pubblica necessità coloro che esercitano professioni per il cui esercizio è ne-cessaria un’abilitazione ovvero i privati che svolgono mansioni di in-teresse pubblico loro conferite mediante atto di autorizzazione (20).

3. Il modello di organizzazione amministrativa adottato dal co-dice del 1930 quale contesto culturale, entra in crisi con l’avvento della Costituzione repubblicana ove si delineano più marcatamente i caratteri dello Stato sociale esplicitati nei doveri inderogabili di so-lidarietà, per i cittadini, nel policentrismo dei poteri e nel decentra-mento amministrativo, in una visione pluralistica della società e del-le istituzioni oltreché nell’intervento pubblico, per fini sociali, nell’eco-nomia (21). Ai tradizionali valori cui sembra ancorata la disciplina penalistica dei reati c. la P.A., vale a dire, il prestigio della P.A., la correttezza e la probità dei funzionari, sottentrano, a livello costitu-zionale, i nuovi valori (art. 97 Cost.) della imparzialità come dovere di ponderazione e comparazione degli interessi in gioco nell’azione amministrativa e del buon andamento, come dovere della P.A. di rea-lizzare gli interessi collettivi mediante la scelta più adeguata ed effi-ciente degli strumenti (22). Il che si traduce in un rovesciamento del-la gerarchia dei valori; non è più importante — anche ai fini deldel-la scelta delle tecniche di tutela penale — il sistema della P.A. come portatore di “autorità” in sé quanto il modo con cui la P.A. assolve ai suoi fini istituzionali.

(19) Infatti tale concetto è ricorrente nella giurisprudenza; v., ad es., Cass.

13.3.1979, Serafini, ove si afferma che il p.u. concorre a formare la volontà dell’ente, in quanto è partecipe della dichiarazione di volontà dell’organo, mentre l’incaricato di pubblico servizio non concorre a formare la volontà dell’ente “per la modestia del-le sue funzioni”.

(20) MALIVERNI A., Op. cit., pag. 583. MANZINI V., trattato di diritto penale, ristampa, Torino, 1983.

(21) SEMINARA S., Commentario breve al c.p. a cura di CRESPI STELLA - ZUC-CALA’, edizione in corso di stampa, sub art. 357 c.p.

(22) Fra gli altri studi v. BARONE G., L’intervento del privato nel procedimen-to amministrativo, Milano 1969, 79 e segg.

Parallelamente, la società industriale va evolvendosi e si trasfor-ma il ruolo della P.A., da mera esecutrice (o al trasfor-massimo integratri-ce) della legge a vero e proprio “soggetto dotato di autonomia poli-tica” perché chiamato a dirimere conflitti sociali, a incidere nella sua stessa organizzazione e soprattutto nella distribuzione delle risorse pubbliche oltreché nello sviluppo socio-economico (23). Senza dire che importanti riforme, quali l’ordinamento delle Regioni a statuto ordinario e la delega di funzioni in favore di enti locali, contribui-scono a formare un assetto istituzionale complesso, assai articolato e ormai lontano da quella riforma di governo che aveva dinanzi a sé il Codice Rocco. Inoltre, viene anche a cessare quel quadro omoge-neo di certezze e di valori, che avevano caratterizzato l’epoca prece-dente, attraverso il dilatarsi dello intervento pubblico nell’economia, sia nel momento della costituzione del rapporto negoziale fra priva-ti sia sul piano del concreto regolamento degli interessi, per quanto concerne l’attività imprenditoriale, con l’accentuazione degli stru-menti di indirizzo, coordinamento e direzione dell’attività economi-ca (art. 41, primo comma, Cost.) oltreché di sostegno e incentiva-zione (art. 3, secondo comma, Cost.) e disincentivaincentiva-zione, strumenti che implicano almeno controlli pubblici (25).

Il panorama della soggettività è divenuto via via assai frastaglia-to, rispetto all’epoca dei compilatori del codice. Accanto all’intervento pubblico in campo sociale ed economico, con ricorso allo schema dell’iniziativa privata anche da parte di enti pubblici (lo Stato-im-prenditore), si registrano nuove forme di assunzione di pubbliche fun-zioni o di servizi di interesse pubblico da parte di privati (art. 43 Cost.).

ed è poi sempre più diffuso anche nell’area pubblica, il fenomeno ti-picamente moderno che caratterizza il cd. “capitalismo maturo” cioè la separazione fra proprietà e controllo della ricchezza (26), fenome-no che ha fatto affiorare, nel settore dell’amministrazione delle

im-(23) La considerazione è di SEMINARA S., Op. cit., sub art. 357 c.p.

(24) Per questo aspetto appare essenziale BARCELLONA P., Intervento statale e autonomia privata nella disciplina dei rapporti economici, Padova, 1969.

(25) SARACENO P., Partecipazioni statali, in EdD, vol. XXXII, Milano 1982, pagg. 43 e segg. CASSESE S. ( ed altri), L’impresa pubblica, Milano 1977.

(26) Su questo aspetto v. GALGANO F., La società per azioni, Bologna 1973, pagg. 217 e segg. Ed. ancora BERLE-MEANS, Società per azioni e proprietà privata, Torino 1966

prese pubbliche, un nucleo di managers pubblici apparentemente e formalmente inquadrati come rappresentanti o dipendenti da sogget-ti privasogget-ti ma sostanzialmente arbitri della dessogget-tinazione di ingensogget-ti ri-sorse pubbliche, spesso al di fuori dai controlli classici previsti peral-tro per un ordinamento, ormai superato, che non conosceva l’orga-nizzazione indiretta della P.A. e sottoposti soltanto a logiche di sele-zione, incardinazione e revoca squisitamente politiche. Emblematiche al riguardo sono ad es. le “società di servizi” che erogano servizi pub-blici attraverso strumenti di diritto privato. (27)

L’intervento pubblico è poi diventato massiccio soprattutto dal lato delle domanda e del sostegno dell’occupazione (28). Con l’ulte-riore conseguenza della definitiva obsolescenza dei criteri discrimi-nanti fra pubblica funzione, pubblico servizio e attività privata, che avevano guidato gli interpreti negli anni 30 - 40.

Mentre la scienza amministrativa si evolve e si affina elaboran-do studi che razionalizzano e tipizzano l’ambito dei servizi pubblici (29), la dottrina e la giurisprudenza penalistica segnano il passo evi-denziando un evidente ritardo culturale e una netta cesura rispetto alla prima branca.

Si affacciano nel diritto penale all’attenzione degli interpreti nuo-ve e più ardue questioni che riguardano principalmente la qualifica-zione giuridica dei dirigenti di imprese a partecipaqualifica-zione statale o re-gionale, degli operatori bancari, dei dirigenti e funzionari di impre-se concessionarie di pubblici impre-servizi (RAI, SIP, società autostradali, ALITALIA e simili) ovvero di consorzi per la realizzazione di opere pubbliche costituiti fra società a partecipazione pubblica e società private, di enti economici cd. di gestione (30).

(27) Inizialmente furono previste nell’art. 18 L. Reg. Siciliana, 6.3.1986 n. 9.

(28) KEYNES, Teoria generale dell’occupazione, Torino 1971.

(29) Fra gli altri POTOTSCHNING U., I servizi pubblici, Milano 1964. Cass.

20.11.1969, in Riv. pen. 1971, II 776, sul concetto di concessionario di un pubblico servizio.

(30) Cass. 20.10.1980, in Riv. pen. 1981, 745 sui dipendenti di enti economici;

Cass. 16.6.1980, Riv. pen. 1981, 201 per i dipendenti della SIP; Cass. 15.5.1981, Riv.

pen. 1983, 78 sui dipendenti ACI; Cass. 2.5.84, in Riv. pen. 1985, 61 per i dipenden-ti ENEL. Per il rapporto privadipenden-tisdipenden-tico tra endipenden-ti pubblici di gesdipenden-tione e soc. per azioni, nel sistema delle partecipazioni statali (IRI-ENI-EGAM) v. Cass. 4.12.1986, Morgante; per quanto concerne gli amministratori della RAI, Cass. Sez. Un. 24.7.1989, Berti, che ha ritenuto la configurazione della qualifica di incaricato di pubblico servizio nel pre-supposto che si tratta di una società di interesse nazionale, concessionaria di un pub-blico servizio di prevalente interesse nazionale.

Ancora una volta autorevolmente sono espressi giudizi impieto-si, allorché si dice che “le norme del c.p. sugli incaricati di pubbli-co servizio non reggono più il caripubbli-co delle diverse normative, per cui la giurisprudenza ormai va a caso, la dottrina reclama una revisio-ne della legislaziorevisio-ne” (31).

Tale discrasia è forse dovuta alla originaria rinuncia, da parte

Tale discrasia è forse dovuta alla originaria rinuncia, da parte