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Capitolo II. I public participation rights nell’ordinamento giuridico comunitario

2. I diritti di partecipazione del pubblico nell'ordinamento giuridico comunitario

2.1 Il diritto di accesso all'informazione

2.2.2 La democrazia partecipativa

Strumenti di partecipazione diretta dei cittadini, delle associazioni e delle imprese all’assunzione delle decisioni, in questi anni sono stati sperimentati in più sedi. Si è iniziato così a parlare di democrazia diretta, o partecipativa, termine che, come la governance, è diventato “un ombrello abbastanza largo che copre pratiche e intenzioni di svariatissima natura”137, ma con il quale vogliamo qui intendere “un relazionamento della società con le istituzioni” che comporta “un intervento di espressioni dirette della prima nei processi di azione delle seconde”138.

In primo luogo, è necessario distinguere fra democrazia partecipativa e democrazia deliberativa, poiché i due termini, che a volte vengono usati come sinonimi, hanno un origine geografica e presupposti teorici affatto differenti. Il termine “democrazia partecipativa” arriva dall'America Latina139 e indica le esperienze di rapporto e dialogo diretto fra i cittadini e le istituzioni. In realtà, la democrazia partecipativa ha all'interno due anime, l'approccio può essere basato sulla procedura o sui risultati che si vogliono ottenere, ovvero la “positività” che si riconduce al fenomeno partecipativo può risiedere nei risultati che si raggiungono (decisioni più lontane dalle logiche delle élite al potere e più vicine alle esigenze della collettività o, meglio, dei gruppi sociali coinvolti), o nel processo inclusivo attraverso il quale si arriva alla decisione (partendo dalla petizione di principio che una decisione è di per sé migliore per il fatto di essere stata assunta in

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Su cui V. cap 1 e in dottrina Gunther Teubner, Substantive and reflexive elements in modern law, Law and society review, Vol. 17, 1983, pp 239-286

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V. Luigi Bobbio, Dilemmi della democrazia partecipativa, "Democrazia e diritto", 2007, n.1. Sul tema della democrazia partecipativa V anche U. Allegretti., “Verso una nuova forma di democrazia: la democrazia partecipativa”, in Democrazia e diritto, n. 3/2006, pp. 7-13; ID., “Basi giuridiche della democrazia partecipativa, n. 3/2006, pp. 151-166.

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La definizione è di Allegretti, “Basi giuridiche della democrazia partecipativa, cit. p. 156.

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Probabilmente il termine è stato forgiato in occasione del “bilancio partecipativo” della città di Porto Alegre in Brasile, dove, dal 1989, i cittadini possono decidere direttamente la destinazione di una parte del bilancio municipale. Per ulteriori informazioni V. Giovanni Allegretti, Bilancio partecipativo e gestione urbana: l’esperienza brasiliana di Porto Alegre, in: M. Carli (a cura di), Il ruolo delle Assemblee elettive. Giappichelli Editore, Torino, 2001,vol. I, pp. 551- 579

modo aperto e inclusivo). In ogni caso essa nasce da un'aspettativa politica radicale (il popolo contro le élites) che da un lato alimenta la partecipazione, ma dall'altro è disposto a forzarne i processi e gli esiti.

La “democrazia deliberativa” proviene, invece, dal mondo anglo-germanico e nasce su basi più filosofiche e meno politiche. Essa si fonda sul presupposto che l'essenza della democrazia non consista nella conta dei voti tra posizioni precostituite, secondo il principio di maggioranza, o nella negoziazione tra interessi dati: perchè le decisioni siano assunte in modo realmente democratico, è necessario che scaturiscano dalla discussione (“deliberation”) costruttiva fra i portatori dei vari interessi coinvolti dal tema sul tappeto.

La democrazia deliberativa appare quindi come una forma di democrazia partecipativa più “democratica”, perchè esclude la pressione pura e semplice dei movimenti sulle istituzioni e richiede il confronto fra tutti gli interessi in gioco. Per quanto riguarda il problema rappresentato dal come garantire l'effettiva rappresentazione di tutti gli interessi in gioco, si affrontano varie teorie, oltre che vari metodi per conseguire il risultato. Il problema da risolvere a monte riguarda però il chi deve partecipare. Le risposte a questo quesito sono spesso dettate da poco realistiche posizioni di principio. Così si sostiene spesso che devono partecipare “tutti i cittadini”, o “la cittadinanza attiva”, o i “cittadini deboli”140. In realtà è facile capire che ottenere la partecipazione di tutti i cittadini è inverosimile e, ove la si ottenesse, sarebbe pressochè impossibile organizzarla al fine di pervenire a risultati concreti (in fin dei conti, è questo il motivo per cui i sistemi politici hanno selezionato il modello della democrazia rappresentativa!). L'unica scelta è quindi quella di strutturare la partecipazione di una parte della cittadinanza, in modo tale da approssimarsi quanto più possibile al principio di inclusività. Senza alcuna pretesa di esaustività, i metodi elaborati, e ormai ampiamente testati nella pratica, sono riconducibili a tre modelli e vai ibridi: innanzitutto il “metodo della porta aperta”, che consiste nell'aprire il forum partecipativo a chiunque lo desideri, scardinando la normale segretezza dei processi decisionali. Il vero problema è che lasciando la porta aperta, non è detto che i cittadini vogliano entrare: l'esperienza dimostra che la partecipazione è abitualmente molto modesta e, soprattutto, il campione che partecipa non è rappresentativo della collettività

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Per una facile confutazione di tali argomenti V. L. Bobbio, op. cit.: la partecipazione di tutti i cittadini è inverosimile, quella dei cittadini attivi è discriminatoria nei confronti di coloro che normalmente non riescono a esprimersi, quanto al coinvolgimento dei cittadini più deboli, esso rappresenta senz'altro la sfida fondamentale per la democrazia partecipativa, ma è anche il risultato in assoluto più difficile da conseguire.

(esiste cioè un problema di autoselezione dei partecipanti) e ciò crea un problema di legittimazione dei decisori e, di conseguenza, della decisione. L'alternativa è il c.d. metodo del microcosmo141, in cui chi organizza la partecipazione (il decisore politico che intende appoggiarsi alla democrazia partecipativa) costruisce artificialmente uno spazio circoscritto che rispecchi il più ampiamente possibile gli interessi e i punti di vista presenti nella società di riferimento. Tale risultato può essere raggiunto vuoi con il supporto di un soggetto esterno che costruisce certosinamente il campione, vuoi con il metodo casuale del sorteggio142. Nel primo caso il campione sarà estremamente rappresentativo, ma sarà richiesto un notevole sforzo di organizzazione. Nel secondo caso l'organizzazione del campione sarà relativamente facile, ma gli studiosi143 sollevano riserve sulla capacità di cittadini comuni di affrontare i problemi senza banalizzarli e di resistere alle pressioni, o al timore reverenziale, nei confronti degli interlocutori politici o dei portatori di interesse organizzati.

Dover aver illustrato brevemente in cosa consista la democrazia partecipativa, resta sul tappeto la domanda circa la sua funzione, le sue finalità: resta cioè da capire se forme di democrazia diretta possano costituire il presupposto per l’assunzione di decisioni vincolanti condivise, ovvero se tali esperimenti debbano servire a far pervenire ai decisori politici il “sentimento popolare” o a costruire una coscienza sociale dei problemi.

È convinzione pressochè condivisa che la democrazia partecipativa non possa sostituirsi alla democrazia rappresentativa. Non può esservi fra le due alcuna confusione: la democrazia rappresentativa si basa sul consenso debole (in termini di coinvolgimento) di tutti i cittadini, ossia sul voto, la democrazia partecipativa sul contributo attivo di pochi144. D'altra parte, ove si volesse attribuire efficacia vincolante alle decisioni assunte in modo partecipato, sarebbe necessario imbrigliare il processo con regole procedurali e di legittimazione dei partecipanti, poiché dove c'è potere decisionale ci devono essere garanzie. E così facendo si trasformerebbe il fenomeno partecipativo in una replica, con altri protagonisti, della democrazia rappresentativa, eliminandone i caratteri peculiari di informalità e libertà di interazione. Le posizioni manifestate dalla

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Sintomer, Y. Le pouvoir au peuple. Jurys citoyens, tirage au sort et démocratie participative, Paris, La découverte, 2007

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Per una panoramica su esperienze di applicazione dei due metodi V. L. Bobbio, cit. pagg. 5 e ss.

143

P. Ginsborg, La democrazia che non c’è, Torino, Einaudi, 2006; G.. Regonini, “Paradossi della democrazia deliberativa”, in Stato e mercato, n. 73/2005, pp. 3-31.

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V. L. Bobbio, cit. pag. 10 e s. “Tra democrazia partecipativa e democrazia rappresentativa esiste una tensione ineliminabile. [...] Non è possibile, né augurabile, ricondurle ad unità. Devono piuttosto continuare a convivere in una situazione di diffidenza reciproca permanente.”

cittadinanza avranno al limite una funzione consultiva per il decisore politico legittimato dal voto: la misura in cui il decisore le fa proprie, e quindi l'influenza esercitata dall'opinione pubblica, dipende da considerazioni che prescindono da vincoli giuridici.

Ciò non significa che la partecipazione sia inutile145. Dal punto di vista dei cittadini, ha essenzialmente una funzione di “empowerment”, inteso non come attribuzione di potere, ma come acquisizione di capacità: i cittadini coinvolti in un processo partecipativo vengono messi in condizione di capire le posizioni di interesse messe in gioco da un qualsivoglia tema, di acquisire conoscenza e soprattutto consapevolezza della loro possibilità di influenza146. Dal punto di vista del decisore rappresenta uno strumento per acquisire informazioni e punti di vista differenti147, oltre che, a onor del vero, uno strumento per l’acquisizione del consenso.