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IL PRIMO DIO

IL DESERTO DELLA PAROLA

Dice Carnevali tirando le somme della sua terribile vicenda:

«Questa mia divinità fu per me una liberazione da molte cose: questo dio, benché fasullo, fu un gran conforto, una gran trovata, una scoperta valida per tutto il tempo che durò»444. Come se avesse recitato una parte, Carnevali sembra liquidare con poche parole l’accaduto. Ma tutto ciò che accadde dopo risulta legato a filo doppio all’incontro col divino. Il fatto che egli racconti nel suo romanzo le varie fasi del suo viaggio mentale, ai confini fra realtà e allucinazione, potrebbe far pensare ad uno sguardo obiettivo, da fuori: Carnevali autore non sarebbe lo stesso Carnevali della notte di follia. Egli racconterebbe dall’esterno questo nuovo personaggio, se stesso, come se fosse diverso, un altro. E’ veramente così oppure l’effetto di quella “orfica notte” si spinge fino all’oggi in cui Carnevali scrive?

In realtà il Carnevali scrittore altro non è che il prodotto di quella vicenda e la scelta dell’autobiografia lo dichiara: Carnevali non può che parlare di se stesso e del suo fatale incontro. “Per tutto il tempo che durò” significa allora che l’effetto dell’indiarsi persiste ancora nel momento in cui lo scrittore racconta e lo accompagnerà fino al limite estremo quando l’occasione epifanica si trasformerà definitivamente in deciduo occaso.

La narrazione di se stesso é il pegno da pagare per essere stato nella “terra dei morti” e il ritorno nel regno dei vivi porta con sé una perdita irrecuperabile, un lutto: la salute mentale. Il suo nuovo stato gli consentirà di vivere ed assaporare con purezza

Bellezza e Assoluto: concetti che, in una normale condizione psichica, sarebbero

inconcepibili. È il deserto che permette a Carnevali quest’ultima esperienza. Mitchell Dawson, nella già citata lettera a Waldo Frank racconta:

«Pregò d’essere mandato alle Dune. Trascorse là tutta l’estate vivendo di fagioli e ciliege selvatiche, mendicando rimasugli di cibo, nuotando lontano dalla riva del lago e chiamando aiuto: “l’uomo matto vede più chiaramente”- diceva»445.

Sono le dune dell’Indiana l’ultima vera esperienza prima che Carnevali sia definitivamente esiliato dal suo esilio:

«Qui cominciarono gli ultimi bei giorni della mia vita! Oh voi, mio vero amore, giorni indimenticabili, indimenticabili mesi di primavera e d’estate»446.

444 Emanuel Carnevali, Il primo dio, op. cit., p. 136.

445 Lettera inedita di Mitchell Dawson a Waldo Frank, ora in E. Carnevali, Diario bazzanese, op. cit.,

pp. 55- 57

446

Un deserto accoglie alla fine lo straniero e si tratta forse del primo vero accoglimento:

«Pensavo alle dune come ai seni di sabbia di un’invisibile divinità e più volte mi chinai a baciarle. C’era sulle dune di mattina, un soffuso sorriso al quale rispondevano le acque del lago. Le dune erano il mio bianco paradiso […]»447.

In questo luogo-non luogo dove termine e principio si confondono, che non è paesaggio, ma assenza di paesaggio, l’uomo rinuncia a se stesso, cancella uniformemente corpo e anima ed è finalmente nessuno. Dice lo straniero di Jabès: «Sentivo che il deserto era il mio universo, prima ancora di conoscerlo. Solo la sabbia può condurre una parola muta fino all’orizzonte»448. La parola muta è la parola della natura: il sole, la notte, il cielo sono questi gli oggetti poetici assoluti dello straniero:

«Nessuno si è mai alzato all’alba per tuffarsi nel lago come facevo io. Nessuno ha mai provato sulla sabbia l’estasi che provavo io. Conoscevo l’odore di ogni foglia, la fragranza di ogni frutto. Gran Dio, era tutto un profumo che entrava a viva forza nelle narici. Quando uscivo dall’acqua cantavo anche più forte. Urlavo di gioia e di ebbrezza. Per dio, queste dune erano mie, perché io non ero un turista della domenica. Non le amavo soltanto perché presto le avrei lasciate, ma perché pareva che ricambiassero il mio amore. Ero divenuto finalmente il pazzo delle dune. Camminavo nudo come Dio mi ha fatto sul verde delle dune e sul giallo della sabbia»449.

Dio ricompare come creatore del deserto nel quale ha gettato il suo nuovo Adamo. Carnevali scopre nel deserto che Dio esiste, ma come irrecusabile Niente. E, proprio in questo Nulla, è nascosta la parola solitaria di Dio, parola di nessun luogo, essendo quella oscura del deserto.

Carnevali trascorre molto tempo nelle dune dell’Indiana e spesso si tuffa nelle acque del vicino lago. La natura viva e spontanea regala allo straniero un’appartenenza senza confini, né costrizioni e dal deserto della parola, rinnovato dalle acque del lago, egli riemerge purificato.

Carl Sandburg, nel suo emozionato ricordo di Carnevali, ne sintetizza bene la duplice anima («È della tribù di quelli che camminano nel sole ed anche un viandante nelle ombre oscure. Talvolta sembrò gettarsi contro il sole»450) aveva scritto a Carnevali dopo un suo invito a recarsi presso di lui alle dune. Sandburg lo saluta come un nuovo profeta, poeta della natura capace di dominarla attraverso il genio e la poesia:

447 Ibidem.

448 E. Jabès, Uno straniero con, sotto il braccio, un libro di piccolo formato, SE, Milano, 2001, p. 30. 449

E. Carnevali, Il primo dio, op. cit., p. 147.

450

«Dear Emanuel:

Thank you forty ways for a living and vivid letter filled with as good laughter as you or anybody else ever laughed. Touches here and there too with a high spot of song. One with such a capacity of throwing the golden rings of the moon into the lake and hauling them up on the sands ought to go slow about doing anything except a few steady things of a set program of doing nothing in particular on odd days and nothing special on even days::$$1234567890- and a cuppa of coffee. That is my advice to you. Melt the golden rings of the moon into a shield and write this advice on it.

If you ever learn to eat loneliness and like it half the time- and if you ever learn to be so deliberate that you capture so much as one half of the dreams running across the disc of your consciousness - you will outrun and outdo any and all Latin artists I know of in these latter days.

I shall pray for feet and hours to make the dune journey. Just now all roads to the dunes are blind alleys with ash barrells and rat carcasses so far as I am concerned.

Go to it, kid. Eat your heart out and make youself like it. Harden all that is brass in you and forget all that is not brass. The logs, swivel, and protective case of the apparatus that enabled you to throw golden moon rings into the lake - all brass.

Pope of the Lake, emperor of the Sand, for the Mass sung to my coming, I am going to write a Bible of requiem, I am going to execute a composition of music, a series of hosannah notations to be shouted with the throwing of the moon rings of gold into the lake, the length of each hosannah to be based on the diameter of each ring thrown.

And I shall tell the people that just now you are more than happy - happiness being only a negation of misery - that you are close to discovering mockerings and secrets of the earth - how when one has flown all of life flyable in a day it is time to drop down to place as next- of-kin with all things that know nothing, say nothing, and wait.

Yours for the grey gateways, Carl Sandburg»451.

Dopo il trauma dell’esperienza del divino il deserto restituisce al poeta/straniero la sua anima solare e muta. La sua voce smette di gridare e, mentre impara l’espressione semplice e piena, la parola sembra percorsa da una nuova sobrietà. La fiducia in questo rinnovato panteismo dona conforto all’animo del poeta e la parola travagliata accoglie finalmente la speranza:

Tomorrow will be beautiful,

For tomorrow comes out of the lake452.

[«Il domani sarà bello, / perchè il domani sorge dal lago»].

451

The letters of Carl Sandburg, a cura di Herbert Mitgang, Harcourt, New York, 1968, pp. 173 –

174.

452

Capitolo IV