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Un tema di attualità, e non solo per gli addetti ai lavori, mi pare sia quello relativo al rapporto tra chi abita e il suo ambiente, inteso non solo come aggregato di persone e spazi, ma anche come sistema di regole di funzionamento, proposte, sollecitazioni, stimoli, politiche, che complessivamente rendono più o meno vivibile, più 0 meno «amichevole», friendly, come si usa dire, larelazione del cittadino con la propria città1.
Per quanto riguarda Torino, non sono poche le indagini su di essa, su alcuni suoi problemi, su atteggiamenti e comportamenti della sua popolazione 0 di sue fasce significative^. Questo ampio materiale, che rende disponibile un profilo sociologico sufficientemente delineato3, potrebbe forse prestarsi anche a una lettura «dalla parte dei cittadini», in cui il quadro sociale emerso funga da indicatore del senso di appartenenza posseduto dai suoi abitanti e, rispettivamente, del grado di fi-iendliness della città, e
permetta inoltre di valutare come queste due dimensioni siano eventualmente variate nell'arco degli ultimi anni. Questo tipo di lettura potrebbe essere tentato con una recente ricerca, molto circoscritta, la quale, se non è nata esclusivamente con questo scopo4, si presta tuttavia ad esso attraverso la verifica della congruenza tra i bisogni, più 0 meno esplicitamente espressi, della popolazione e le opportunità offerte dalla città.
Prima di procedere nell'analisi sono tuttavia necessarie alcune precisazioni. In primo luogo le riflessioni che seguiranno prescindono volutamente dall'analisi delle forme di non integrazione 0 emarginazione manifeste, su cui la ricerca non fornisce dati. Al contrario ci si riferirà esclusivamente alla popolazione formalmente integrata nella città e che formalmente gode di tutti i diritti.
In secondo luogo si intende muovere dai dati relativi a una singola circoscrizione per porre alcune domande di carattere più complessivo sulla città.
È indubbio che una circoscrizione non ha alcuna rappresentatività statistica a livello cittadino'. Tuttavia la circoscrizione analizzata, la sesta, (che comprende gli ex quartieri Barriera di Milano, Regio Parco-Barca-Bertolla,
Villaretto) costituisce, a mio parere, un buon esempio di modi di vivere e di abitare in Torino.
La popolazione che ne fa parte (120.000 abitanti) non presenta caratteristiche di provvisorietà insediativa e si può considerare stabilmente inserita nel quartiere e nella città. Benché infatti l'origine di molte famiglie non sia piemontese, tuttavia più della metà degli individui intervistati (adulti) risultano nati in Piemonte, mentre circa l'80% di essi risiede da più di vent'anni a Torino e da più di dieci nel quartiere. Si tratta dunque di una popolazione che, o per nascita o per lunga assuefazione, ha avuto modo di assimilare stili di vita e stili organizzativi presenti nella città. La sua connotazione sociale inoltre può considerarsi tipica nella città: operai o impiegati esecutivi, per lo più con istruzione media inferiore o diploma professionale. Metà degli abitanti non sono occupati, o lo sono solo saltuariamente, soprattutto perché pensionati (18%) o casalinghe (18%).
Da parte sua la circoscrizione è in grado di offrire un discreto standard di servizi e strutture che permettono alle famiglie un'accettabile organizzazione quotidiana: la distribuzione commerciale è buona, come pure la rete dei trasporti; sono presenti le strutture sanitarie essenziali (consultorio familiare, consultorio pediatrico, ambulatori medici specialistici e di base, oltre a un ospedale pubblico cittadino). Inoltre, se è vero che, come in tutte le periferie cittadine, la rete dei più comuni servizi di tempo libero e di consumo culturale (cinematografi, teatri, librerie, ecc.) può considerarsi assente, esiste tuttavia una struttura polivalente, la Cascina Marchesa, che funge da centro assistenziale-formativo-di promozione culturale. Infine la presenza di due piccoli parchi cittadini (Colletta e Sempione) e la vicinanza di uno dei parchi più belli e facilmente accessibili dalla città (La Mandria) ne fanno un'area sotto questo profilo privilegiata.
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Le caratteristiche indicate in precedenza indicano in linea di massima un soddisfacente livello di vivibilità; del resto, come si è detto in precedenza, si tratta di una situazione non estrema né in senso negativoné in senso positivo. Scopo di questa breve analisi non è tuttavia solo quello di rilevare strutture, ma di individuare, nel rapporto tra una città (o una parte di essa) e i suoi abitanti, eventuali dimensioni che facciano supporre la realizzazione di un rapporto formativo, che oltrepassi la mera
appartenenza burocratica, la semplice presenza su un territorio e l'organizzazione privatistica delle routines quotidiane. Se si siano create cioè le condizioni per lo sviluppo di una cultura che si allontani da una concezione minimale, passiva dell'essere cittadini, appagata
dall'assenza di disfunzioni macroscopiche e dall'esercizio dei bisogni essenziali, verso una concezione più critica e attenta, in cui la cittadinanza si esercita come ricerca di opportunità paritarie e spinta a processi innovativi e di emancipazione ed in cui si manifesta fiducia nel sistema di cui si fa parte.
Dirò subito che, sotto questo profilo, il quadro della qualità della vita appare molto meno rassicurante di quanto non risulti dalle prime osservazioni. Non sembra infatti che i dati emersi dalla ricerca mettano in luce significativi processi innovativi in atto né rapporti con la città particolarménte friendly.
A tale proposito occorre richiamare l'attenzione su alcuni aspetti relativi sia all'interiorizzazione del concetto di cittadinanza sia all'uso della città da parte dei cittadini.
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Un buon indicatore della presenza di processi innovativi, deducibile dai comportamenti quotidiani, può essere considerata la possibilità di accesso paritario alle risorse. Una di queste, rappresentata dal lavoro per il mercato, in assenza di determinate condizioni (flessibilità negli orari di lavoro, presenza di servizi, culturadell'interscambiabilità dei ruoli), entra necessariamente in conflitto e in concorrenza con l'organizzazione familiare. Le strategie organizzative adottate dalla famiglia saranno dunque in relazione alle risorse non solo economiche ma anche culturali, di cui la famiglia stessa dispone.
Come è noto, infatti, la famiglia è un'organizzazione complessa che richiede, per la sua gestione, un notevole consumo di tempo, distribuito lungo tutto l'arco
della settimana, come appare anche nel caso esaminato (tab. 1) (v. pagina a lato). Vediamo allora brevemente quali soluzioni vengono adottate rispetto a questo problema.
Un primo elemento si evidenzia nel fatto che la rete delle solidarietà esterne al nucleo di residenza, di tipo sia familiare sia estraneo, appare debole, quantomeno priva di un carattere di continuità tale da poter essere percepita come una risorsa. In caso di necessità, ma molto limitatamente (9% dei casi), la famiglia fa di preferenza ricorso a lavoro salariato esterno (vicini 2.8%, parenti non conviventi 14.3%, colf 82.9%). La logica che prevale è dunque di tipo privatistico e individualistico, e le razionalizzazioni operate sembrano dipendere soprattutto dalle disponibilità economiche delle singole unità familiari.
Inoltre la famiglia si orienta in modo stabile verso una scelta di ripartizione non egualitaria dei compiti: ciò costituisce un grave vincolo per la donna adulta su cui grava principalmente la responsabilità del lavoro domestico e di cura (tab. 2) (v. pagina a fianco), rendendola nella maggior parte dei casi indisponibile per il mercato del lavoro (la percentuale delle donne attive rilevata è pari al 33%). Ciò che colpisce soprattutto nel modello organizzativo adottato è la sua persistenza e staticità negli anni, nonché la sua contraddittorietà rispetto ai valori espressi dagli stessi intervistati. Un confronto con indagini torinesi di circa quindici anni fa' mette in luce come questo tipo di organizzazione familiare sia rimasta sostanzialmente identica, come pure è rimasta sostanzialmente immutata la quota di popolazione femminile attiva sul mercato. D'altra parte esistono alcuni indizi che inducono a credere si tratti non tanto di una scelta totalmente condivisa quanto piuttosto di una necessità, dettata
dall'impossibilità strutturale di trovare altre soluzioni e probabilmente anche dall'incapacità culturale di sperimentare nuovi modelli (il modello tende infatti ad essere più flessibile al crescere del livello di istruzione). Le necessità organizzative familiari risultano infatti le principali cause, tra le donne intervistate, di rinuncia al lavoro per il mercato (50% delle casalinghe adduce motivi familiari) o di ritiro da esso (67% dei casi). 52
Tab. 1
Tempo dedicato ai lavori domestici
Feriali Sabato Domenica
N % N % N % Fino a 1 h 111 29.9 81 21.8 116 35.7 1-3 h 131 35.2 117 31.7 92 28.2 oltre 3 h 99 26.6 128 34.6 66 20.4 non saprei 31 8.3 44 11.9 51 15.7 Totale 371 100 369 100 325 100 Tab. 2
Attività domestiche svolte
Moglie Marito Figlio Figlia Tutti N % N % N % N % N % Lavare piatti 234 59.5 37 9.3 7 1.7 18 4.5 19 4.8 Cucinare 244 61.6 34 8.7 5 1.2 17 4.3 6 1.5 Spesa quotidiana 187 48.9 68 17,8 10 2.6 7 1.9 16 4.1 Spesa settimanale 155 40.4 98 25.5 11 2.8 11 2.8 25 6.4 Cura bambini 99 63.9 25 16.2 4 2.7 3 1.8 2 1.3 Tab. 3
È giusto che ui!:i donna lavori?
N %
Sì, in ogni caso 169 42.8 Si, ma solo se può seguire la famiglia 98 24.8 Sì, ma solo se necessario contributo economico 92 23.2 Sì, ma solo se non ha famiglia 21 5.3 No, in nessun caso 15 3.9
Totale 396 100
Tab. 4
Luoghi frequentati negli ultimi 12 mesi
Totale Maschio Femmina
N % N % N Vo Piazza Statuto 303 76 166 84 138 69 Castello di Rivoli 63 16 42 21 22 11 La Mandria 177 45 105 53 72 36 Via Roma 350 88 175 89 175 87 Cascina Marchesa 106 27 64 32 42 21 Tuttavia è significativo il fatto che soltanto un quinto delle donne si dichiara totalmente soddisfatta della scelta effettuata.
Indipendentemente dalle scelte organizzative realizzate, non esistono peraltro opposizioni preconcette al lavoro femminile extradomestico (fa eccezione un piccolo gruppo di maschi, intorno al 4%, decisamente contrari). Il modello teorico è dunque generalmente paritario. Tuttavia si dimostra debole rispetto alla capacità di tradursi in scelte operative e risulta comunque subordinato, anche nei giudizi espressi, alla realizzazione dei compiti rigidamente definiti dai ruoli di genere (tab. 3).
Queste caratteristiche dell'organizzazione ^ W familiare mettono in
luce come, a fronte di una indiscutibile condivisione generalizzata di valori paritari, i modelli organizzativi e le scelte familiari non si appellano di fatto a principi innovativi. Ciò dà luogo a una serie di conseguenze non trascurabili
anche rispetto alla relazione cittadino-città.
In primo luogo perché una parte consistente di popolazione viene a trovarsi nella condizione di cittadino-dimezzato, o per il fatto che la dimensione privatistica risulta prevalente e selettiva rispetto a quella pubblica, o per il fatto che la saturazione del tempo tra i soggetti interessati è tale da limitarne di fatto l'accesso pienp alla vita della città stessa. È pertanto significativo il fatto che le donne siano soggette a minore mobilità spaziale e a un uso meno qualificato degli spazi cittadini rispetto agli uomini, che abbiano minore autonomia di movimento (uso prevalente del mezzo pubblico, maggiore propensione a non uscire la sera), che manifestino una netta preferenza per i luoghi commerciali e un minore interesse per gli spazi culturali o destinati alla pratica sportiva e al tempo libero (tab. 4).
In secondo luogo perché l'assuefazione a modelli di separatezza condiziona le scelte, rafforza la credibilità del modello stesso e dà luogo a un circolo vizioso dal quale diventa difficile uscire sia in
quanto mancano le spinte pubbliche sia in quanto non si mettono in atto sollecitazioni ad esse da parte dei soggetti interessati. Ed ancora occorre
sottolineare come, anche rispetto alla mobilità sul territorio e alle scelte di tempo libero, questo modello di separatezza, nella nostra città, sia rimasto sostanzialmente immutato nell'ultimo quindicennio. ^ ^ C'è infine un altro terreno dì verifica m W della relazione ^ ^ amichevole tra il cittadino e la città, su cui vorrei richiamare brevemente l'attenzione.
Una delle dimensioni attraverso cui i soggetti sono in grado di cogliere più direttamente il tipo di rapporto instaurato con l'ambiente sociale in cui vivono, e quindi con il governo della città, è quella in cui ha luogo quel complesso di atti quotidiani che esulano sìa dall'attività strettamente lavorativa sia dall'ambito strettamente privato, domestico. E il campo in genere definito dei servizi, a cui la persona accede direttamente e attraverso cui è in grado di valutare la sua confidenza con la dimensione pubblica e il suo grado di soddisfazione rispetto ad essa.
La precedente riflessione sulla persistenza di una cultura della non parità, di cui la condizione femminile è un esempio, ha già toccato questo campo. Si tratta dunque soltanto di estendere il discorso ad un ambito più generale, che interessa anche altre fasce di popolazione. Il modo di trascorrere il tempo libero può essere inteso come un indicatore non solo delle scelte personali, ma anche degli orientamenti culturali di un determinato contesto. 11 quadro delle attività svolte in una domenica pomeriggio7
evidenzia, nella ricerca, come i comportamenti siano direttamente collegabili alle risorse personali, mentre non sembra si possano mettere in relazione con un'offerta forte da parte della città (tab. 5) (v. pagina seguente). L'unica eccezione sembra
rappresentata dall'accesso ai parchi o alla collina (stabile rispetto a tutte le fasce sociali), che soddisfa il bisogno di natura e di verde anche per chi non può fuggire dalla città (la soluzione adottata dalla classe superiore). Per contro il rapporto dimostrato con alcuni spazi cittadini — scelti nella ricerca come indicatori di specifiche funzioni urbane
Tab. 5
Attività domenicali
Totale elementare Licenza inferiore Media Scuola
professionale superiore Media Laurea
N % N % N °7o N % N % N % Guardare TV 187 47 54 57 64 52 29 41 31 40 9 29 Ascoltare musica 163 41 26 27 45 37 25 35 46 60 21 66 Visite 218 55 50 52 72 59 40 55 39 51 17 54 Passeggiare in città 75 19 18 19 20 17 15 21 16 21 6 19 Passeggiare in un parco 68 17 17 18 19 16 8 11 17 22 7 22
Gita fuori città 120 30 21 22 33 27 25 35 25 33 15 48
Fare sport 54 14 8 3 17 14 9 12 12 15 9 28
Lavori domestici 118 30 29 30 41 34 19 27 22 28 8 24
Tab. 6
Luoghi frequentati negli ultimi 12 mesi
Luogo Totale ,elementare inferiore professionale superiore ™ L i c e nfa . Scuola Media N % N % N % N °7o N % N % Piazza Statuto 303 76 51 54 93 76 61 85 69 90 30 94 Castello di Rivoli 63 16 10 11 16 13 10 14 20 26 8 25 La Mandria 177 45 25 26 57 47 33 46 40 52 21 68 Via Roma 350 88 77 81 105 86 64 89 74 96 31 97 Cascina Marchesa 106 27 14 15 27 22 17 24 30 39 18 57 Tab. 7
Mezzi di trasporto utilizzati durante il giorno
Totale Operaio artigiano Comm. Impiegato Dirigente Non attivo Lav.
irregolare Pensionato N % N % N % N % N % N % N % N % A piedi 24 6 1 1 1 3 5 6 7 7 2 8 8 11 Mezzo pubblico 225 57 43 54 9 29 37 45 1 12 69 70 20 81 46 65 Mezzo privato 146 37 36 45 21 68 39 49 7 88 23 23 3 12 17 24 Totale 395 100 79 100 31 100 81 100 8 100 99 100 25 100 71 100 Tab. 8
Utilizzo visite specialistiche private
Totale Operaio artigiano Impiegato Dirigente Non attivo Comm. irregolare Pensionato Lav. N % N % N % N % N % N % N % N % Sì 217 74 48 80 18 86 49 84 8 100 54 73 7 51 32 56 No 76 26 12 20 3 14 9 16 20 27 7 49 25 44 Totale 293 100 60 100 21 100 58 100 8 100 74 100 14 100 57 100 (commerciale, culturale, ecologica, consumistica, partecipativa) — conferma l'importanza delle risorse individuali, ed in particolare culturali, la possibile debolezza delle proposte, nonché la scarsa capacità attrattiva da parte dell'offerta che non sia di tipo
commerciale-consumistico (tab. 6).
Un altro campo da cui mi pare si possa individuare il grado di confidenza del cittadino con la propria città e il suo livello di soddisfazione è quello relativo all'accesso e all'uso dei servizi di uso quotidiano o di emergenza. Limitandoci solo a due indicatori, parziali ma significativi, come il ricorso al sistema di trasporti pubblico e alle prestazioni sanitarie specializzate pubbliche, si ricava un complessivo giudizio di scarsa fiducia, quando non addirittura un atteggiamento di vero e proprio rifiuto. Sembra infatti che l'utilizzazione del mezzo di trasporto pubblico rappresenti non tanto una scelta quanto piuttosto una necessità a cui
fa ricorso soprattutto la parte di popolazione con minori risorse (categorie
professionali a minor reddito, popolazione non attiva, donne) (tab. 7). Quando poi si tratta della tutela della salute la diffidenza (o insoddisfazione, o sfiducia) nei confronti dell'offerta pubblica risulta ancora più evidente. Fanno ricorso a servizi privati infatti, in misura ampiamente maggioritaria, tutte le fasce di popolazione che direttamente o indirettamente possano contare su un reddito da lavoro, mentre si rivolgono al servizio pubblico — sarebbe il caso di dire si adattano, supponendo il senso di deprivazione che
probabilmente si accompagna a questa «scelta» — soprattutto quanti (lavoratori saltuari, pensionati) hanno risorse economiche fortemente limitate (tab. 8).
7
Le considerazioniesposte non sono certo esaustive del rapporto cittadino-città. Tuttavia penso possano
aprire uno squarcio su alcuni meccanismi attraverso cui questa relazione si viene a costruire. E probabile che per i gruppi che, pur nella formale parità, sono sottoposti a maggiori vincoli, la città appaia, se non ostile, quantomeno come un'entità astratta, verso cui non si nutrono curiosità, e da cui non provengono stimoli. Se questa è una possibile interpretazione dei comportamenti rilevati, rimane purtuttavia un interrogativo non del tutto risolto. La situazione esaminata non è quella di una periferia isolata, priva di servizi e di iniziative. Anzi, al suo interno operano centri sociali e vengono promosse attività culturali, in particolare rivolte alle donne. Per contro proprio il luogo in cui si realizzano queste attività risulta scarsamente frequentato, soprattutto dalle donne. Come si è visto, inoltre, la popolazione non adotta in genere
comportamenti
particolarmente innovativi. Nasce allora il dubbio che il messaggio, pur inviato con 54
j f
tanta fatica e impegno personale da un piccolo gruppo, risulti una voce troppo debole nel vuoto generale e finisca per essere raccolto soltanto da chi è già in possesso di sue risorse personali.
' Il concetto di friendliness nella vita quotidiana e le motivazioni teoriche che ne giustificano la ri-levanza ai fini dell'analisi socia-le sono espressi in modo sempli-ce e piasempli-cevole in Friendly 193. Almanacco della vita italiana,
(progetto di L. Balbo), Anabasi, Milano 1993.
2 Tra le varie ricerche su Torino, basti citare: G. Martinotti (a cura di), La città difficile. Angeli, Mi-lano 1982, F. Barbano (a cura dì). Le frontiere della città.
An-geli, Milano 1982, M.L. Bianco, A. Luciano, La sindrome di
Ar-chimede, Il M u l i n o , B o l o g n a 1982, M . C . B e l l o n i , 11 tempo
della città. Angeli, Milano 1984,
F. Garelli, La generazione della vita quotidiana. Il Mulino, Bolo-gna 1985, F. Barbano (a cura di),
L'ombra del lavoro. Angeli, Mi-lano 1987, L. R i c o l f i . S. Sca-muzzi, L. Sciolla, Essere giovani
a Torino, Rosenberg & Sellier, Torino 1988, A. Baldissera, La
marcia dei quarantamila,
Comu-n i t à , M i l a Comu-n o 1 9 8 8 , A A V V . ,
Componenti culturali della qua-lità urbana, Etas, Milano 1989, IRES, Uguali e diversi,
Rosen-berg & Sellier, Torino 1991, G.
Lazzarini, Invecchiare in città,
Angeli, Milano 1991, IRES,
Ru-more, Rosenberg & Sellier,
To-rino 1992.
3 cfr. A. Bagnasco, Torino. Un
profilo sociologico, Einaudi,
To-rino 1986.
J La ricerca, la cui fase di
rileva-zione è stata condotta nel 1992, mi era stata a f f i d a t a dalla VI Circoscrizione e d a l l ' A s s o c i a
-zione Bariera 'di E m m e con lo scopo di individuare essenzial-mente i motivi della scarsa
pre-senza sul mercato del lavoro
del-le donne ivi residenti. Per mag-giori informazioni sulla ricerca
cff. il fascicoletto La condizione
femminile nella VI Circoscrizio-ne, Comune di Torino, 1993. 5 L a rappresentatività è ovvia-mente rispettata all'interno della c i r c o s c r i z i o n e , in cui è s t a t o e s t r a t t o un c a m p i o n e c a s u a l e stratificato di 400 casi. 6 cfr. G. Martinotti (a cura di), op. cit. e M.C. Belloni, op. cit. (Le rilevazioni, in entrambe le ricerche, sono state effettuate nel 1979).
7 Le attività: assistere a spettaco-li, a manifestazioni sportive, an-d a r e a b a l l a r e o in an-d i s c o t e c a , svolgere lavoro per il mercato, p u r p r e s e n t i nel q u e s t i o n a r i o , non sono state riportate in tabel-la a causa del basso numero di risposte positive ottenute.
In alto: disegno di Viktor Kundysev ritratto, qui a lato, nel suo studio da Mario Cresci.