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SITUAZIONE E PROSPETTIVE

Nel documento Sisifo 25 (pagine 33-38)

di Giampaolo Vitali

X

La crisi economica che ha colpito l'industria

piemontese nei primi anni novanta comprende una componente di origine strutturale che si sovrappone ad alcuni fattori meramente congiunturali. In un quadro di generale pessimismo sulle sorti dell'economia piemontese, che spinge taluni a dichiarare il sistema ormai avviato sul sentiero della deindustrializzazione, ci sembra importante esaminare parte delle cause strutturali della crisi, al fine di effettuare alcune proposte di politica industriale volte a rimuoverle.

Più in particolare, all'interno dei numerosi aspetti trattabili, in questa nota vorremmo esaminare il ruolo degli investimenti produttivi dall'estero, nella convinzione che il futuro rilancio dell'industria regionale non possa fare a meno del contributo del capitale straniero. Del resto, il rapporto tra crisi economica, disoccupazione ed investimenti produttivi è quantomai stretto e non può essere ignorato da chi ha a cuore le sorti del sistema economico: per ridurre la disoccupazione (o, in una visione più pessimistica, per ridurre l'aumento di disoccupazione che la ristrutturazione del sistema produrrà nei prossimi anni) occorrono nuovi capitali da investire in attività produttive, e parte di tali risorse potrebbero provenire dall'estero'.

Tra le cause che limitano l'accesso di investitori esteri sul nostro territorio possiamo distinguere tra fattori esogeni e endogeni al contesto locale: affronteremo l'esame di questi ultimi, in quanto è solo su di essi che potrà intervenire una politica per l'industria regionale2. Anticipando parte delle conclusioni, possiamo sottolineare come nonostante il diffuso pessimismo degli operatori economici, vi siano ancora alcuni spazi di manovra per migliorare l'attrattività industriale del territorio, soprattutto indirizzando lo sviluppo futuro verso le cosiddette «attività innovative». Con tale termine si considerano i comparti ad elevato valore aggiunto e potenzialità di crescita presenti sia in settori ad alta tecnologia, che all'interno di settori considerati «tradizionali». Tali possibilità di rilancio cercano, da una parte, di sviluppare ulteriormente i punti di forza della regione (ed eventualmente di f a m e sorgere di nuovi), dall'altra, di attenuare le debolezze e le zone d'ombra presenti.

La presenza di investitori stranieri in Piemonte, nasce con l'origine stessa del capitalismo piemontese ed è stata studiata ampiamente nella sua evoluzione3. La struttura degli investimenti esteri ricalca fedelmente la struttura del sistema industriale piemontese: sono prevalenti gli investimenti nella filiera dell'auto,

dell'elettromeccanica e degli alimentari, effettuati con dimensioni generalmente mediograndi, concentrati territorialmente nelle province di più antica industrializzazione. Negli anni ottanta, a differenza dei decenni precedenti, gli investitori stranieri hanno incominciato a privilegiare l'acquisizione di imprese locali, anziché la costruzione ex-novo di nuovi impianti («greenfield plant»). Ciò ha ridotto in parte l'impatto occupazionale generato dal capitale straniero. In questi casi la strategia di acquisizioni dall'estero si è focalizzata generalmente sulle caratteristiche dell'impresa acquisita (e soprattutto del mercato ad essa legato) piuttosto che sui fattori di localizzazione industriale che il territorio offriva (analisi del rapporto

incentivi/ostacoli

all'investimento dall'estero). Ciò comporta maggiori difficoltà nell'intervenire sulle decisioni di investimento e di disinvestimento del management straniero, in quanto si tratta di decisioni legate più agli obiettivi strategici dell'azienda, che all'evoluzione del contesto locale in cui l'investimento è inserito.

Comunque, dalle analisi condotte tanto sugli investimenti «greenfield», quanto sulle acquisizioni di imprese locali, sembra che gli obiettivi tradizionali — diversificazione produttiva, minori costi di produzione, vicinanza con il mercato — si riducano tendenzialmente di importanza a vantaggio di nuove determinanti: acquisizione di know-how, rapporti con i fornitori, decentramento tecnologico, ricerca di esternalità positive nella R&S. Come si vedrà, è proprio su queste ultime caratteristiche che dovrà far perno una politica per l'industria straniera. Per quanto riguarda l'evoluzione più recente delle iniziative produttive a capitale estero, in assenza di una rilevazione sistematica del fenomeno, è preferibile riferirsi all'esame di alcuni casi aziendali dai quali

inferire il trend attuale del fenomeno4.

L'attuale crisi economica ha colpito le imprese a capitale straniero nelle diverse fasi del loro coinvolgimento con il territorio. In primo luogo, abbiamo imprese che stanno comunque incrementando la propria presenza in regione, come la Scott che ha raddoppiato lo stabilimento di Romagnano o la Union Carbide che ha costruito un nuovo impianto a Novi Ligure. In secondo luogo, si notano nuovi capitali in ingresso, sia sotto forma di partecipazioni finanziarie in imprese eccellenti o posizionate in settori ad alta tecnologia, come i

giapponesi della Amada nella Prima Industrie (tomi a controllo numerico), i tedeschi della Maho nella Graziano (macchine utensili), i giapponesi della Canon nella joint-venture con l'Olivetti (fotocopiatrici), sia sotto forma di investimenti «greenfield» come la Nestlè a Moretta (Cn), o la tedesca Stabilus (produzione di ammortizzatori) a Tortona. Infine, si nota il progressivo defilarsi di grandi investitori tradizionali, quali la SKF (con nuovi impianti in Malesia e negli USA), la Bull (che sposta la R&S nel Sud Italia), la Michelin, l'Aspera, la Tecnamotor, la Philips, ed altre imprese in crisi produttiva o in ristrutturazione.

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Le principali caratteristiche degli investimenti dall'estero sono influenzate da fattori riconducibili a specificità nazionali, settoriali e d'impresa. L'analisi di tali caratteristiche permette di individuare alcune opportunità di crescita per il sistema industriale piemontese.

Per quanto riguarda le tipicità nazionali affrontiamo molto sinteticamente alcune problematiche legate ai principali investitori stranieri.

L'industria inglese, per tradizione mercantile e coloniale, si è intemazionalizzata nei lontani bacini asiatici o dell'America del Nord, e non in Europa. Ma con l'evoluzione (in positivo) del mercato unico europeo la necessità di un maggior grado di

internazionalizzazione «continentale» che tale sistema industriale dovrà avere, rappresenta un'opportunità per la nostra regione. A tale riguardo tra i fattori a cui gli investitori inglesi risultano più sensibili,

si individuano i rapporti burocratici con l'operatore pubblico (per semplificarli si potrebbe creare

un'interfaccia tra investitore estero e la miriade di enti pubblici con i quali occorre entrare in contatto per espletare tutte le pratiche legate alla produzione). Nel caso degli investimenti giapponesi, a fattori linguistici e culturali si aggiunge il timore che alcuni investimenti produttivi in settori marginali possano divenire una sorta di «cavallo di troia» per una

colonizzazione giapponese estesa anche ai settori chiave dell'economia piemontese (auto e computer). In realtà la penetrazione giapponese in Europa è stata molto rapida negli ultimi anni (soprattutto nel Regno Unito) e si incominciano ad importare prodotti giapponesi «made in EEC». Ciò significa che poiché il fenomeno giapponese è ormai una realtà «europea» con cui si è costretti a convivere occorre sfrattarne la notevole disponibilità di capitali, a tutto vantaggio di un possibile trasferimento tecnologico a favore delle PMI piemontesi. Ci sembra ormai necessario collaborare con tali investitori pilotando le caratteristiche delle loro iniziative: facilitare e richiedere investimenti che non siano «fabbriche cacciavite» ma che rappresentino una evoluzione tecnologico-organizzativa dei fornitori piemontesi. La felice esperienza Olivetti-Canon e quella Prima Industrie-Amada confermano che lo strumento ideale per l'investitore giapponese è rappresentato dalla joint-venture, che permetterebbe di eliminare le difficoltà di comunicazione con il contesto locale e di sfrattare 10 spirito collaborativo del capitale giapponese. Pertanto una struttura che possa fornire adeguate informazioni ai nostri imprenditori su come impostare le alleanze intemazionali (e ridurre così le paure di comportamenti opportunistici dei partner) favorirebbe soprattutto le joint-venture con partner particolarmente distanti per cultura aziendale, come sono i partner giapponesi. 11 management svedese, e dei paesi del Nord Europa in generale, che si deve trasferire in Piemonte è molto attento ai fattori concementi la qualità della vita, con riguardo sia all'attività professionale (qualità dell'ambiente di lavoro, buona mobilità cittadina, limitati orari dì lavoro), che alle attività 34

private (parchi per il tempo libero, controllo della micro-delinquenza, ecc.), che a quelle culturali (scuole per figli del management straniero).

Gli investitori tedeschi, pur con una presenza tradizionale in Piemonte, avranno meno interesse a posizionarsi sul nostro territorio nelle forme usate in passato sia per i sempre più ridotti differenziali del costo del lavoro, sia per i forti incentivi ed opportunità che presenta il territorio della ex-DDR. Infine, sembra che gli

investitori statunitensi siano i meno affetti da tipicità nazionali: in definitiva l'imprenditore americano si adatta alle diverse condizioni di lavoro, pur di avere la possibilità di produrre e fare profitti. Tra i fattori di maggiore sensibilità merita ricordare la mobilità personale, e quindi la necessità di attivare un collegamento diretto con l'aeroporto intercontinentale della Malpensa.

Per quanto riguarda i fattori settoriali che influenzano le caratteristiche degli investimenti dall'estero si sottolinea soprattutto il rapporto tra tipologia industriale e localizzazione geografica: le industrie con maggior grado di decentramento produttivo sono localizzate dove esiste un forte substrato di fornitori idonei o dove i sistemi di trasporto sono molto integrati tra loro (è accaduto a Tecnamotor nell'indotto dei mezzi di trasporto o nei casi di Bull e Canon

nell'informatica); i settori a maggiore integrazione verticale o a ciclo chiuso (come per la Rivoira che produce gas industriali) si inseriscono nelle aree della «periferia economica», e cioè laddove le infrastrutture, in generale, sono carenti e non è possibile organizzare (magari per la scarsa qualità delle PMI) una efficiente rete di imprese; i settori ad alta tecnologia, con scarsa necessità di spazio fisico e di materie prime, ma con alte componenti «immateriali», necessitano di continui contatti con gli istituti di ricerca e con i fornitori di servizi avanzati e pertanto si

localizzano nell'area metropolitana (si tratta degli esempi della IRCI e della Prima Industrie). In un'ottica di

programmazione razionale dello sviluppo bisognerà individuare l'area geografica più idonea per ciascuna tipologia di investitori, evitando che la distribuzione casuale possa generare una allocazione delle risorse inefficiente o, peggio ancora, controproducente per lo sviluppo futuro.

Per quanto riguarda i fattori d'impresa occorre precisare che molte condotte aziendali risentono di decisioni prese al di fuori del contesto piemontese e sulle quali è ben difficile intervenire: si tratta di strategie di riallocazione internazionale delle risorse che seguono i dettami dell'evoluzione tecnologico-produttiva di molti paesi in corso di industrializzazione (NIEs) e sulle quali non si può porre alcun contrasto con politiche regionali (ad esempio la SKF che è interessata alla Malesia).

Un modo di contrastare tali decisioni aziendali può essere individuato nel favorire produzioni che non hanno convenienza a spostarsi nei NIEs e che sono quindi legate alle regioni europee da fattori di mercato e di produzione (in alcune industrie è molto importante essere vicini ai fornitori e ai consumatori finali) o di tecnologia (nei settori ad alta tecnologia si ottengono delle economie esterne se si è in un contesto territoriale profondamente «impegnato» di R&S, come nel famoso caso della Silicon Valley ' SagWwumi«.

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statunitense). Soprattutto su queste utlime andrà focalizzata ogni speranza di rivitalizzare il tessuto produttivo piemontese. af Per individuare l'evoluzione relativa ^ ^ ^ dei fattori localizzativi di attrazione piemontesi, occorre esaminare l'effetto «spiazzamento» generato da altri comprensori europei e nazionali che promuovono l'afflusso di investitori stranieri.

Le relazioni tra

caratteristiche del territorio, strumento dell'incentivo e tipologia delle industrie da attrarre sono piuttosto precise: da una parte, abbiamo il caso del Mezzogiorno che con incentivi monetari tende ad attrarre i settori più sensibili ad una riduzione del costo dei fattori produttivi, dall'altra, abbiamo il caso delle Rhone-Alpes francesi che puntando sulla cessione di servizi reali attraggono le imprese più sensibili alla qualità dei fattori produttivi (per esempio sfruttando l'interazione tra impresa e contesto tecnologico locale). Per quanto riguarda il Sud Italia, non sembra che gli incentivi monetari siano sufficienti ad attrarre attività che necessitano di un elevato grado di coinvolgimento del territorio, tramite

decentramento produttivo e reti di imprese, e che siano nel contempo ad elevata tecnologia. Il caso di Tecnopolis, polo di R&S sicuramente attrattivo per gli investitori internazionali, è considerato di difficile ripetizione nel contesto meridionale e viene circoscritto alla condizione di parco scientifico ma non di distretto tecnologico. Anche le iniziative di Bull e di IBM in centri di R&S nel Mezzogiorno

confermerebbero che l'aspetto monetario è un fattore necessario ma non sufficiente a stimolare un certo tipo di sviluppo (nella fattispecie il successo dell'iniziativa è legato alla elevata disponibilità di laureati disoccupati che il Sud Italia possiede). Al contrario, il caso delle Rhone Alpes francesi rappresenta uno dei più convincenti poli attrattivi della medesima tipologia di investimenti di cui necessita l'area piemontese. Non solo tale area assorbe risorse che potrebbero essere a noi destinate, ma si individuano anche alcuni segnali di interesse da parte degli stessi imprenditori piemontesi a trasferirsi al di là delle Alpi5.

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Le caratteristiche della struttura industriale piemontese, del mercato del lavoro e delle infrastrutture locali ci inducono a ritenere che solamente gli investimenti ad alto contenuto tecnologico possano avere buone potenzialità di crescita sul territorio.

In particolare, l'elevato costo del lavoro rappresenta ormai una caratteristica strutturale del nostro sistema

economico: da una parte, non si può ipotizzare un continuo recupero di produttività agendo su innovazioni di processo, dall'altra, non si può richiedere una dinamica dei salari dell'industria in controtendenza rispetto all'evoluzione dei bisogni materiali delle società avanzate. Nell'ipotesi in cui il costo del lavoro rimane elevato rispetto ai concorrenti europei occorrerebbe continuare a ridurre l'incidenza di tale componente sui costi totali, ma anche spostare la produzione su segmenti più innovativi, in cui ci sia una maggiore libertà di prezzo finale. Il problema dell'individuare tali produzioni viene risolto nei confronti dei settori ad alta tecnologia, quali telecomunicazioni,

elettronica e nuovi materiali. In realtà è una soluzione semplicistica che, pur essendo valida nella maggioranza dei casi, non considera la possibilità di elevare il contenuto delle produzioni «tradizionali» grazie ad innovazioni di prodotto e/o di processo che possano fornire un vantaggio competitivo alle imprese coinvolte. Nella prima soluzione si potrebbe anche correre il rischio di avere imprese che, pur posizionate in settori «high-tech», non siano abbastanza competitive a livello internazionale da resistere alle crisi congiunturali.

Per quanto riguarda i noti vincoli imposti dalla carenza di infrastrutture, occorre tener presente che l'aumento dell'attrattività dei capitali internazionali del Piemonte dovrebbe essere perseguito senza attendere che i grandi lavori infrastnitturali da tutti reclamati (TAV, rete telematica, aree industriali attrezzate, recupero rifiuti industriali, deficit energetico, ecc.) giungano a termine. Infatti, poiché i tempi di attesa necessari per riequilibrare la situazione infrastrutturale sono piuttosto lunghi (una decina d'anni) si dovrebbe agire in primo luogo nel breve periodo cercando di privilegiare le

produzioni compatibili con i vincoli esistenti, e cioè favorendo /' insediamento di

imprese innovative a basso impatto ambientale, a basso consumo energetico, a stretto legame con il territorio. Meglio ancora se si puntasse direttamente su attività di ricerca, cioè su iniziative che abbisognano di infrastrutture «immateriali» e pertanto di più facile reperimento. Con tali infrastrutture ambientali intendiamo quelle che favoriscono una diffusione delle informazioni e dei contatti tra PMI, grandi assemblatori finali e i centri di R&S, al fine di rilanciare le economie esterne di carattere tecnologico presenti sul territorio. Tali economie facilitano lo sviluppo della «cultura innovativa» negli imprenditori già presenti e sono un fattore attrattivo decisivo per quelli che già avrebbero un minimo interesse a stabilirsi nell'area.

Merita aggiungere che si possono sfruttare le diffuse crisi aziendali per favorire l'insediamento di centri di R&S in parziale sostituzione delle iniziative

manifatturiere, al fine non solo di migliorare qualitativamente l'occupazione locale, ma anche per porre solide basi (tecnologiche) che evitino (o attenuino) le future crisi congiunturali.

^ ^ Ritagliare una politica industriale m W per gli investitori

esteri che possa tener conto delle differenze nazionali (i giapponesi hanno esigenze strutturalmente diverse da quelle degli europei, per esempio), settoriali (non si deve evidenziare la dicotomia settori tradizionali/settori high-tech, quanto industrie a basso/alto impatto ambientale, consumo energetico, specializzazione della manodopera, grado di coinvolgimento del territorio, ecc.) e di impresa

(accentramento/decentramento attività R&S, strategie di espansione/ristrutturazione nei paesi extra-europei, ecc.) consente anche di

massimizzare le possibilità di recupero dell'area. Infatti, la politica espressamente indirizzata a favorire l'afflusso di investimenti esteri dovrà essere coordinata con la politica per l'industria «tout-court» a livello locale, finalizzata a trasformare il triangolo di Tecnocity in un vero e proprio distretto tecnologico (favorendo un mercato regionale dei capitali di rischio, la qualificazione e la mobilità della

m a n o d o p e r a , la d i f f u s i o n e d e l l ' i n n o v a z i o n e , ecc.). In q u e s t ' o t t i c a si i n d i v i d u a n o azioni da s v o l g e r e nel m e d i o -l u n g o p e r i o d o e a z i o n i di b r e v e t e r m i n e . L e p r i m e s o n o f i n a l i z z a t e allo s v i l u p p o d e l l a « c u l t u r a di i m p r e s a » e a l l ' a p e r t u r a i n t e r n a z i o n a l e del s i s t e m a : s o n o a z i o n i d a c o n d u r r e c o n g i u n t a m e n t e c o n la politica p e r l ' i n d u s t r i a «tout-court» in q u a n t o a t t r a g g o n o i n v e s t i m e n t i t a n t o n a z i o n a l i q u a n t o i n t e r n a z i o n a l i . Al c o n t r a r i o , le p r o p o s t e di b r e v e p e r i o d o si r i f e r i s c o n o s o p r a t t u t t o alla c i r c o l a z i o n e d e l l e i n f o r m a z i o n i di c a r a t t e r e t e c n o l o g i c o o r g a n i z z a t i v o tra c o n t e s t o locale, a r e e e s t e r e , istituti di ricerca, P M I , e s o n o f i n a l i z z a t e al r e c u p e r o di q u e g l i i n v e s t i m e n t i c h e si b a s a n o s o p r a t t u t t o su « f a t t o r i i m m a t e r i a l i » ( i n n o v a z i o n e t e c n o l o g i c a e o r g a n i z z a t i v a ) . T r a q u e s t e p r o p o s t e m e r i t a la m a s s i m a a t t e n z i o n e q u e l l a di c r e a r e u n a « a g e n z i a » p e r la p r o m o z i o n e degli i n v e s t i m e n t i esteri in P i e m o n t e , c o n c o m p i t i s o p r a t t u t t o di c o o r d i n a m e n t o tra le istituzioni r e g i o n a l i c o i n v o l t e . A n c h e s e si tratta di iniziative c h e p o t r a n n o m o d i f i c a r e s o l o in p a r t e le realtà di crisi a c u i f a n n o riferimento, r a p p r e s e n t a n o c o m u n q u e u n n e c e s s a r i o p a s s o a v a n t i p e r il s u p e r a m e n t o degli attuali v i n c o l i strutturali c h e l i m i t a n o in v a r i o m o d o le p o s s i b i l i t à di s v i l u p p o del territorio p i e m o n t e s e . 1 Ci s e m b r a che l ' e f f i c a c i a del controLlo «politico» sugli investi-tori nazionali, svolto tradizional-m e n t e in u n ' o t t i c a anticiclica, tenda a ridursi con l'evoluzione del sistema capitalistico italiano: da una parte, vengono meno le ri-sorse pubbliche a disposizione (soprattutto per le politiche assi-stenziali), dall'altra, aumentano i vincoli europei in tema di politi-ca industriale. Inoltre, se consi-deriamo il fatto che la possibilità di «influenzare» il capitale nazio-nale non può evitare nè il proces-so di riequilibrio territoriale na-zionale (con il flusso di capitali dalla nostra regione verso il Mez-zogiorno), né la necessità di in-ternazionalizzazione delle impre-se piemontesi (con flussi verso l'estero) ci sembrano ormai ana-cronistiche le opposizioni, più o meno giustificate nel passato, che sindacati, politici ed imprenditori hanno avuto nei confronti del ca-pitale straniero.

2 Per quanto riguarda i fattori eso-geni al contesto locale si rimanda agli studi di politica industriale

tout court, sia a carattere

nazio-nale (CER-IRS, La politica

indu-striale tra Europa e regioni, Il

Mulino, 1990 e G. Peruzio, «Ap-punti su politica industriale, crisi

e trasformazione del capitalismo italiano», Quaderni di ricerca

IRES Lucia Morosi ni, n. 4

Gen-n a i o 1993) c h e l o c a l e ( G . M . Gros-Pietro (a cura di), Dalla

po-litica industriale ad una popo-litica per l'industria, Associazione per

Tecnocity, 1989).

3 Per quanto riguarda il molo del capitale estero nella prima rivo-luzione industriale si veda V. Ca-stronovo, Il Piemonte, Storia

del-le regioni, Einaudi, 1977.

L'ana-lisi degli investimenti esteri in Piemonte può essere effettuata utilizzando le statistiche elabora-te a livello nazionale da Ricerche & Progetti (Ricerche & Progetti,

Italia Multinazionale 1992, Etas

Libri, 1992), nonché grazie alcu-ne analisi locali (Soris, Piemonte

area forte del Sud Europa,

Bo-ringhieri, 1971 e IRES, I

collega-menti internazionali dell'indu-stria piemontese. S e t t e m b r e

1990). Per confrontare le caratte-ristiche di tali investimenti con la struttura del sistema produttivo vedi G. Vitali, Il sistema

indu-striale del Piemonte, Il Mulino,

1989.

4 La problematica degli investi-menti esteri, tanto a carattere na-zionale, quanto piemontese, è al centro di un vivace dibattito re-centemente emerso sulla stampa e in alcuni convegni. Si veda a questo propositi: C C I A A , Una

alternativa al declino, M a r z o

1993; La Stampa, «Una Torino da vendere», 5 Dicembre 1991;

Mondo economico, «Investimenti

esteri: al capitale estero l'Italia non piace», 19 Settembre 1992;

Mondo Economico,

«Investimen-ti esteri: inizia«Investimen-tive ad ostacoli», 3 O t t o b r e 1 9 9 2 ; Mondo

economico, «Investimenti esteri:

la calamita delle privatizzazio-ni», 31 Ottobre 1992; Sole 24

Ore, «LI Piemonte non attira più

i n v e s t i m e n t i stranieri», 6 No-vembre 1991; Sole 24 Ore, «Se lo straniero passa il Piave», 25 Marzo 1993; «Avanti in Savoia»,

Nuova Rassegna Sindacale, n. 9

15 Marzo 1993).

5 Potenzialmente anche il territo-rio svizzero, grazie alla sua vici-nanza geografica, potrebbe pro-porsi come un altro forte concor-rente del Piemonte per le localizz a localizz i o n i «HighTech» ( c h i a r a -mente nell'ipotesi di una mag-giore integrazione con la CEE). Occorre infine aggiungere che poiché alla tradizionale competi-tività tra «singole» imprese posi-zionate sul mercato, si affianca la concorrenza tra aree-sistema (di

Nel documento Sisifo 25 (pagine 33-38)

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