X
ln queste note si presenta un breve resoconto di una ricerca sugli atteggiamenti dei torinesi verso gli immigrati stranieri'. I dati considerati sono stati raccolti dall'ottobre al dicembre del 1990. È possibile che da allora la situazione sia mutata. Tuttavia, le analisi di cui si dirà hanno cercato di mettere a fuoco anche alcune «ragioni» della formazione degli atteggiamenti rilevati, della loro tenuta o cambiamento nel tempo. Da questo punto di vista, il significato dei risultati dell'indagine sembra ancora rilevante. Sulla loro base è possibile avviare un discorso sulle caratteristiche anche mentali dei meccanismi che regolano, nella società locale torinese, i processi di esclusione e inclusione sociale. Non sottovalutare queste caratteristiche è essenziale per la definizione delle politiche orientate a riprendere la lotta contro l'esclusione e rivitalizzare i circuiti di integrazione sociale nella città.Tav. 1
Risposte alla domanda 17: Accanto a lei sul lavoro, in fabbrica, a scuola arriva un lavoratore di colore. Lei come reagisce?
%
1. Gradimento 43 6.2
2. Indifferenza 615 89.2 3. Preoccupazione 25 3.6 4. Insoddisfazione 7 1.0 Totale (Solo risp. significative) 690 100.0
Tav. 2
Risposte alla domanda 30a: Vicino a lei vengono ad abitare degli immigrati del terzo mondo singoli. Lei come reagisce?
%
1. Gradimento 25 3.0
2. Indifferenza 609 74.2 3. Preoccupazione 163 19.8 4. Insoddisfazione 25 3.0 Totale (Solo risp. significative) 822 100.0
Tav. 3
Risposte alla domanda 78a (ricodifica): Per le loro caratteristiche culturali o per le loro tradizioni alcuni popoli o gruppo ci sono più vicini di altri e ci risultano quindi più simpatici. Ci può dire se una persona appartenente ai vari eruppi che ora le elencherò le riesce istintivamente simpatica o anti-patica? (Con riferimento ai Marocchini).
% 1. Molto simpatici 136 17.4 2. Simpatici 153 19.6 3. Indifferenti 249 31.8 4. Antipatici 106 1 3'6 " 1 31 ~> 5. Molto antipatici 138 17.6 1
Totale (Solo risp. significative) 782 100.0
Tav. 4
Accordo o disaccordo con l'affermazione: "tra gli immigrati dal terzo mondo c'è anche gente onesta che ha voglia di lavorare, ma il grosso sono spaccia-tori e ladri". °7o 1. Molto contrario 206 25.6 2. Contrario 131 16.3 3. Né contrario né d'accordo 85 10.5 4. D'accordo 193 2 3'9 n 17 6 5. Molto d'accordo 191 23.7 1
Totale (Solo risp. significative) 806 100.0
La prima difficoltà contro cui si è scontrata l'analisi dei dati raccolti dalla survey in questione era data dalla instabilità delle risposte degli intervistati. Dalla tavola 1 alla tavola 4 si presentano alcuni esempi di questo problema. Si può notare infatti che, a seconda delle domande, le percentuali delle risposte sfavorevoli agli immigrati (preoccupazione, insoddisfazione, antipatia, giudizi negativi) oscillano notevolmente: si va da un 4 per cento circa nella prima tabella, a più del 47 per cento nell'ultima. Gli stimoli lanciati attraverso il questionario sembravano, dunque, avere provocato delle reazioni poco coerenti. La prima sensazione è stata che dalle interviste emergesse, anziché una serie di posizioni ben distinte e magari contrapposte, soltanto una sorta di rumore di fondo. Per venire a capo di questa confusione, la ricerca ha dovuto scavare in profondità nei dati, per scoprire la natura di questo rumore. Se esso fosse prodotto dalla
diffusa presenza di atteggiamenti assolutamente privi di logica, o, piuttosto dall'accavallarsi simultaneo negli intervistati di diverse strategie argomentative, facenti capo a una loro precisa ragione. A questo fine, sono stati attrezzati alcuni test per riconoscere tre tipi di motivazioni che possono governare la formazione degli atteggiamenti: a) le ragioni di interesse; b) quelle di identità; e, infine, c) le ragioni cognitive2. Le ragioni di interesse non sembrano avere bisogno di particolari commenti. Esse riguardano atteggiamenti ispirati da criteri di razionalità rispetto allo scopo, pervasi dallo sforzo di cogliere quali modalità di relazione con il «non membro» sono più adeguate alla realizzazione dei fini personali. L'atteggiamento che ne deriva può essere più o meno aperto o ostile rispetto agli immigrati stranieri. Il giudizio varierà a seconda che in questi ultimi si vedano dei concorrenti sul mercato del lavoro, o nella coda delI'IACP. Oppure un insieme di lavoratori a basso costo e numericamente flessibili. O dei vicini di casa poveri che abbassano il rango dello stabile in cui si è proprietari di un alloggio. O, ancora, dei gruppi «a rischio» di devianza che rendono meno sicure le vìe della città. Comunque, gli atteggiamenti dì questo tipo dovrebbero esprimersi in discorsi in cui si riflettono le modalità tipiche del probiem soiving razionale: la spregiudicata disamina dei «costi e benefici», «delle luci e delle ombre», dei «pregi e dei difetti», che la relazione con l'immigrato può produrre.
Il secondo tipo di motivazioni — le ragioni di identità — riguardano atteggiamenti dominati dalla logica amico-nemico e dall'esigenza di tracciare un netto confine fra un «noi» con cui ci si identifica e gli «altri», visti come «barbari» minacciosi. I barbari possono essere le persone di un'altra etnia, oppure i «razzisti», oppure il «sistema» che discrimina e schiaccia nella miseria i nuovi venuti. Il «noi» può essere una comunità locale, diffidente verso i forestieri. O un gruppo sociale che si sente alienato dal grigiore della cultura egoistica del capitalismo. Oppure un gruppo «diverso» e «debole» che lotta contro la
discriminazione di tutte le minoranze. Dunque, anche gli atteggiamenti verso gli immigrati stranieri motivati
da ragioni di identità possono essere sia aperti, sia ostili. In ogni caso essi sono caratterizzati da uno sforzo di razionalizzazione teso a rendere ideologicamente coerente l'apertura o l'ostilità. Il discorso ispirato da ragioni di questo tipo tende quindi a tracciare un confine «ideologico» fra ciò che, facendo parte di «noi», è sicuro, bello, buono, stimato, giusto, utile e ciò che, riguardando il «non membro» (l'immigrato per alcuni, il razzista o il capitalista per altri) è pericoloso, brutto, perverso, disistimato, ingiusto, inutile, antipatico. Nessun merito, nessuna attrattiva può essere infatti riconosciuta agli «altri». Come per gli antichi greci (cfr. Merton, 1966), nulla può essere accettato se è sostenuto dai barbari: siano essi extra-comunitari, ricchi padroni, razzisti o altro.
J
I1 significato delterzo tipo di ragioni — quelle cognitive — è più complicato. E perciò necessario spendere qualche parola in più per metterlo a fuoco.
Gli atteggiamenti strutturati da queste motivazioni sono mossi dall'esigenza di ridurre la complessità degli stimoli fisici e sociali che ci circondano e che tendono a travalicare la nostra capacità di attenzione e valutazione. Una tecnica efficace attraverso cui le menti umane fronteggiano questa difficoltà consiste nel raggruppamento di «casi» — situazioni, spazi, tempi, persone — secondo caratteristiche ritenute omogenee. L'utilità di simili classificazioni è evidente. Infatti, attribuendo, sulla base di alcune caratteristiche salienti, un caso a una classe, si possono attribuire ad esso, in modo pregiudiziale, altri tratti tipici di quella classe, senza bisogno di concrete verifiche.
Non è necessario che i pregiudizi che consentono queste «inferenze» si fondino su effettive esperienze personali pregresse: le esperienze potrebbero essere anche quelle di persone di cui ci si fida o con cui ci si identifica. Potrebbero essere esperienze che fanno parte della storia di «noi». Al limite, di una storia molto lontana che non si è più in grado di ricostruire nei dettagli. D'altro canto, i problemi di economia di pensiero rendono poco rilevanti i fondamenti fattuali dei pregiudizi. La validità di questi ultimi è spesso data per scontata, per il semplice fatto che essi generano idee accettate e condivise nel
mondo di vita a cui si sente di appartenere. Si consideri, ad esempio, il caso di una adesione pregiudiziale (non fondata sulla verifica dei fatti) all'ipotesi che gli immigrati, in quanto evidentemente poveri, siano disposti a lavorare a qualsiasi condizione e quindi «temibili concorrenti sul mercato del lavoro». Un simile pregiudizio potrebbe sembrare plausibile, perché — discorrendone — si nota che esso genera un consenso generalizzato sull'idea di fissare un limite o «soglia» all'ingresso dei forestieri, per rimediare al fatto che oggi essi sono cresciuti «troppo». Abbiamo così, con elevata economìa di pensiero, definito fra di «noi» la natura (economica) di un problema complesso e la sua cura (la definizione della soglia). Questo ci basta per andare avanti. Anche se, in effetti, non sapremmo definire quali fatti confermano che gli immigrati sono dei «temibili concorrenti», e in che misura essi oggi sono «troppi». In questo modo, attraverso i ragionamenti fondati su pregiudizi per motivi cognitivi, le conoscenze basate sull'esperienza attuale sono, in effetti, sostituite da convenzioni. Procedendo sulla base di convenzioni si possono costruire delle «quasi-teorie» sulla realtà (Hewitt, Hall, 1973), si realizzano economie di pensiero, si semplificano i problemi di attenzione e di scelta.
Certamente, questo modo di ragionare porta ad atteggiamenti stereotipati verso lo straniero. E cruciale la mossa che porta a classificare, sulla base — ad esempio — del colore della pelle, o della lingua parlata, una persona come appartenente a un gruppo di «altri», diverso dal «nostro». Dopo questa mossa, infatti, molte altre caratteristiche «diverse» sono attribuite al forestiero senza alcuna considerazione del caso particolare. Nello stesso modo stereotipato, si traggono delle conclusioni sulle modalità corrette di comportamento nei suoi confronti. Di conseguenza l'orientamento, positivo o negativo dell'atteggiamento motivato da ragioni cognitive, risulta prevalentemente determinato dalla natura delle
convenzioni ritenute condivise nella società — o nel gruppo — a cui si ritiene di appartenere. Gli atteggiamenti aperti saranno più probabili in società locali — o gruppi — dove le relazioni con gli altri sono regolate da convenzioni di
tipo democratico, tolleranti rispetto agli altri. In comunità o gruppi
tradizionali, coesi da un forte senso di appartenenza collettiva, più diffidenti verso il forestiero, sarà più frequente l'ostilità.
Le evidenze f g empiriche, ricavate
dalla ricerca, hanno consentito di individuare la presenza di due ragioni predominanti che contribuiscono con maggiore o minore intensità a formare gli atteggiamenti di ciascun intervistato: quelle di identità e quelle cognitive3. Dunque, nel periodo delle interviste, atteggiamenti motivati da pure ragioni di interesse, fondati sul calcolo razionale dei costi e benefici, sulla spregiudicata disamina della situazione, non sembravano contare molto nell'orientare le relazioni verso gli immigrati. Qui è necessario un chiarimento. Il fatto che non sia emersa traccia evidente di un orientamento all'agire fondato su un problem solving razionale non deve portare ad escludere che gli intervistati si muovessero all'interno della logica dell'«attore razionale», orientato a ottimizzare la propria utilità. Anzi la presenza di ragioni di identità potrebbe indicare che gli intervistati erano preoccupati dalla difesa delle pre-condizioni del loro calcolo razionale: la stabilità dei valori rispetto cui essi hanno definito le proprie preferenze e aspettative, e paragonato i costi attuali delle scelte con i benefici futuri. La presenza di ragioni di identità in un intervistato potrebbe, in altri termini, segnalare, innanzitutto, un interesse ad assicurarsi, nel tempo, «un mercato che accetti (riconosca) la sua moneta» (Pizzorno, 1983). D'altro canto, atteggiamenti strutturati da ragioni cognitive potrebbero essere condivisi da attori «miopi», interessati a esplorare un mondo che appare loro «quasi vuoto» (Simon, 1983), confuso, in cui non sono chiare le connessioni causali fra le cose, le risorse, i vincoli. In simili condizioni è infatti razionale procedere a vista, scegliendo sulla base di opinioni condivise una via palesemente non
insoddisfacente e
seguendola, pronti a ritornare sulle decisioni, a seconda delle nuove conoscenze sulle risorse e i vincoli che si acquisiscono per strada. Inoltre, ragioni cognitive, che portano a immagini e orientamenti
comportamentali stereotipati verso l'immigrato, potrebbero segnalare l'intento di non farsi distrarre da questioni considerate «troppo grandi», per concentrare la propria capacità di problem solving, negoziazione, protesta, su interessi di portata più immediata: la carriera, lo studio dei figli, l'accessibilità a un mutuo, la sicurezza dei Bot, etc...
Ritornando ai dati della ricerca occorre subito segnalare che le ragioni empiricamente rilevate orientano gli atteggiamenti in modo opposto.
La prima ragione, quella di identità, orienta
prevalentemente verso la chiusura nei confronti dei nuovi venuti. Solo in pochi casi si è trovata la presenza di formazioni di pensiero fortemente razionalizzate orientate all'apertura, all'insegna del «diverso è bello».
La seconda ragione — di tipo cognitivo — orienta prevalentemente verso l'apertura, giacché, nella nostra società, i cliché dati per scontati nella vita quotidiana sono quelli della tolleranza, della pacifica convivenza, del «vivi e lascia vivere» e, poi, dell'anti-razzismo, degli «italiani brava gente», del «siamo stati anche noi emigranti prima di loro». Va tuttavia notato che dai dati relativi ai campioni della «provincia», è emersa invece la presenza di convenzioni condivise più propense alla diffidenza verso il «forestiero», quindi all'esclusione
dell'immigrato.
La contemporanea presenza di due spinte (una dettata da ragioni di identità, d'altra da ragioni cognitive), orientate in modo maggioritario in direzioni opposte, spiega in parte la contraddittorietà delle risposte date dagli intervistati e la sensazione di rumore che se ne ricava quando ci si limita a una loro superficiale analisi. Il rumore non è, però, uniforme in tutto il campione. L'analisi ha mostrato che in molti casi, una delle due ragioni può prevalere sull'altra consentendo la formazione di atteggiamenti abbastanza strutturati. Questa analisi si è basata su uno studio4 volto a verificare la presenza dei quattro tipi di atteggiamento rappresentati nello schema teorico riprodotto nella tavola 5:
(vedi a pag. 48) Seguendo lo schema, da un lato si è testata la presenza di due atteggiamenti
sostanzialmente aperti verso gli immigrati: quello
compiacente ispirato dall'adeguamento alle convenzioni di una società in cui l'universalismo, la democrazia e la tolleranza, sono percepiti come valori dominanti; quello benevolo caratterizzato da una ideologica accettazione dei nuovi venuti.
Dall'altro lato, si è quantificata la presenza di due atteggiamenti, simmetrici ai precedenti, ma orientati alla chiusura: l'atteggiamento di rifiuto e quello ostile. Quest'ultimo è caratterizzato dall'ideologica chiusura verso gli immigrati per il prevalere di motivi di identità. L'atteggiamento di rifiuto rinvia, invece, a posizioni di diffidenza nei confronti dei forestieri extra-comunitari, originate da esigenze di adeguamento alle convenzioni condivise nel mondo a cui si ritiene di appartenere.
La tavola 6 riassume i risultati di questa analisi per Torino e li mette a confronto con quelli relativi al Biellese. (vedi a pag. 48)
Dai dati emerge che, a Torino, l'atteggiamento compiacente è condiviso, al momento dell'indagine, dalla maggioranza relativa degli intervistati (39%). Nell'area Biellese, l'atteggiamento
relativamente più diffuso è risultato invece essere quello ostile (36%). Per Torino si è poi registrata una totale assenza di atteggiamenti di rifiuto, mentre per Biella non è risultato presente un atteggiamento benevolo. Il minore peso della
componente ostile, l'assenza di comportamenti di rifiuto e un diffuso, quanto
convenzionale e stereotipato, atteggiamento di apertura sembrano, dunque, essere i tratti che differenziano la situazione metropolitana di Torino rispetto ad altri contesti di provincia.
5
1 dati della tavola 6mostrano, inoltre, la diffusa presenza di un altro tipo di atteggiamento, per così dire, residuale: l'atteggiamento reticente, che a Torino riguarda il 26 per cento dei casi (il 28 per cento, nel Biellese).
Questo tipo riguarda soggetti che pur non rifiutandosi di rispondere alle domande dell'intervistatore, hanno espresso opinioni
caratterizzate da un notevole grado di incertezza, sia nel descrivere l'immagine che si erano fatti dell'immigrato, sia nell'indicare gli orientamenti
comportamentali nei loro 46
Alexandr Faldin presenta il manifesto a cui sta lavorando: il veterano dell'Afghanistan ha alle spalle i due manifesti realizzati nel 1944 e nel 1946 da Leonid Golovanov che esaltavano l'avanzata verso Berlino e la vittoria dell'Armata Rossa, fin alto) (fotografia: Mario Cresci).
Rasid Akmanov, Alexandr Faldin, Buon compleanno Komsomol!, (L'organo dei giovani comunisti sovietici, il Komsomol, è stato fondato nel 1918. L'anziana donna ha in testa il tradizionale fazzoletto dell'organizzazione), 1988.
Tav. 5
Tipologia teorica degli atteggiamenti a Torino
Indice di apertura Ragioni
predominanti
Orientamento
aperto Orientamento chiuso Predominano
le ragioni di identità
Tipo
benevolo ostile Tipo Predominano
le ragioni cognitive
Tipo
compiacente rifiuto Tipo
Tav. 6
Tipologia degli atteggiamenti nel Biellese e a Torino
Biellese Torino Atteggiamento N. °7o N. <7o
Compiacente 48 28,2 159 39,1 Reticente 48 28,2 105 25,9 Ostile 61 35,9 104 25,6 Benevolo 0 0,0 38 9,4 Rifiuto 13 7,7 0 0,0 Totale 170 100,0 406 100,0 confronti. In proposito va anche notato che a Torino il 48.5 per cento degli intervistati (a Biella il 42.5%) hanno dato risposte incomplete. Si tratta di persone, che pur accettando la somministrazione del questionario, hanno poi rifiutato di rispondere — anche in modo debole o incerto — a una o più domande'.
Questa riluttanza a esprimere chiaramente la propria posizione in merito alla presenza di forestieri, e persino a rispondere ad alcune domande al riguardo, può essere stata determinata da una effettiva difficoltà o disinteresse a mettere a fuoco un problema che per molti, al momento dell'intervista, costituiva ancora una novità sulla ribalta della città. Non possono però essere scartate altre motivazioni. In particolare, si può anche ipotizzare che sono proprio le aree di reticenza e del parziale rifiuto a rispondere, quelle in cui è sorto il conflitto più intenso fra le ragioni di difesa dell'identità e quelle dell'adeguaménto, per motivi cognitivi, alle convenzioni di tolleranza democratica. E possibile — e le analisi in profondità sulle domande aperte sembrano confermare questa ipotesi — che in questi sotto-campioni queste due ragioni si siano reciprocamente elise: l'una impedendo all'altra di prendere forza e dare origine ad atteggiamenti strutturati. Si potrebbe sostenere che sono questi i gruppi del campione in cui il rumore è stato più forte.
Se si considera l'estensione delle aree della reticenza e della non risposta, ci si accorge che non solo gli atteggiamenti, per così dire, «forti», ideologicamente motivati, dell'ostilità e della benevolenza, ma anche quelli
«deboli», del rifiuto e della compiacenza per ragioni cognitive, sono configurabili come iceberg di orientamenti all'agire relativamente consolidati, che galleggiano su un mare di difficoltà e/o disinteresse a precisare le proprie impressioni e intenzioni in merito alle nuove presenze di stranieri.
^ ^ Un simile scenario è / j T k risultato abbastanza M M congruente con i dati della ricerca relativi alle caratteristiche della società locale torinese. In proposito è emerso che i singoli orientamenti e valori dei torinesi sono collegati in modo relativamente chiaro con l'appartenenza a specifici gruppi, diversi per professione, livelli di istruzione, origine regionale, etc. Tuttavia, la
sovrapposizione di queste appartenenze è tale da confondere e complicare i risultati e non lascia emergere un elemento (di classe, di origine, politico) dominante. Ciò non vuol dire che Torino non risulti caratterizzata da potenziali linee di frattura, e diversi livelli di integrazione: l'analisi ad esempio ha fatto riemergere le differenze fra immigrati dal mezzogiorno e piemontesi. Sono risultate anche presenti diverse forme di identificazione localistica e nazionalistica. Né le disuguaglianze sociali, né le forme di nazionalismo e localismo sembrano, però, avere avuto la forza di dar luogo a in-group omogenei e compatti. Il sistema di relazioni sociali locali, pare piuttosto costituire un «brodo di coltura» in cui convivono e confliggono sia bisogni di difesa dell'identità dagli «altri», sia spinte a evitare nette auto-identificazioni che potrebbero non essere
condivise dai nostri stessi più prossimi interlocutori (perché piemontesi piuttosto che immigrati, impiegati o operai piuttosto che lavoratori autonomi, etc...). Di qui il ripiegamento sulle convenzioni che si ritengono più condivise e il diffuso rumore di cui si è parlato poco sopra.
Non c'è da stupirsi se in una simile situazione il tentativo di trovare delle determinanti degli atteggiamenti più frequenti — quello ostile e quello compiacente — sia approdato a risultati solo in parte soddisfacenti'. Particolarmente poco efficaci nello spiegare questi atteggiamenti sono state le variabili relative alla collocazione professionale, al livello di istruzione, all'origine regionale e sociale. In generale, il gioco complicato delle
multiappartenenze, l'intersecarsi di varie potenziali linee di frattura, ha indebolito il potere esplicativo di tutti gli indicatori relativi alle posizioni economiche e sociali degli individui. In effetti, l'unica dimensione socio-demografica che ha contribuito a spiegare gli atteggiamenti è l'età, perché è risultata positivamente correlata con l'ostilità. Questa variabile, depurata dagli effetti connessi alla posizione nel ciclo di vita, diventa soprattutto un indicatore di esperienza generazionale.
Migliori prestazioni hanno invece dato le variabili relative alle caratteristiche interne degli intervistati (la loro personalità, gli stati di soddisfazione psicologica, i sentimenti di integrazione sociale). È risultato infatti che:
a) l'adozione di un atteggiamento ostile è più probabile se il soggetto è favorevole alla pena di morte e se è favorevole
all'introduzione nella scuola dell'insegnamento della religione cattolica ma contrario al fatto che vengano insegnate altre religioni;
b) l'atteggiamento compiacente è invece più diffuso fra i soggetti contrari alla pena di morte, più tolleranti nelle questioni relative all'insegnamento della religione, o contrari al fatto che un problema del