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CAPITOLO VI L’INCONTRO

1.3 Il dialogo con il passato

Il cimitero può esser visto come un luogo in cui il protagonista cerca un dialogo con

il passato, ma nel quale si può anche perdere come in un labirinto. Spino ha ricevuto

un biglietto misterioso in cui gli si dà appuntamento nel cimitero monumentale della

sua città.

Ha pensato che per conoscere un cimitero forse bisogna averci i propri morti, i suoi morti non erano in quel luogo né in nessun altro luogo; e ora lo visitava perché aveva acquisito un morto non suo, che però non era lì, al quale non lo legavano neppure i ricordi di una vita passata. [FO 90]

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Il protagonista, trovandosi in questo cimitero, cerca degli indizi che lo possano

orientare nella sua ricerca. Soffermandosi ad osservare delle tombe dell’epoca. Il cimitero gli appare come una proiezione della città, un suo doppio in cui tutto

rimane fermo e immobile nel tempo.

Il protagonista non incontra nessuno, tuttavia trova un messaggio che dà una svolta

alle sue indagini. «Solo allora gli è parso di capire che qualcuno voleva

semplicemente che lui leggesse quell’epigrafe, ce in ciò consisteva l’appuntamento, che questo era il messaggio. Muore il corpo dell’uom, virtù non muore» [FO 94].

La frase sposta l’attenzione verso «una persistenza oltre la morte, alla traccia dell’essere che Spino sta cercando ricostruire»90.

Il cimitero del Filo dell’orizzonte può essere paragonato a quello di Requiem, nel

quale il protagonista si reca per incontrare Tadeus. Il cimitero monumentale di

Prazeres a Lisbona appare meno imponente e labirintico, rispetto a quello di Spino,

forse perché in questo caso il protagonista sa chi deve incontrare. «Era una tomba

modesta, appena una lapide poggiata sul terreno. Lui stava lì col suo nome polacco,

e sopra al nome c’era una foto che riconobbi» [RE 33]. Il protagonista, al contrario di Spino, riesce a incontrare e confrontarsi con l’amico riguardo al loro passato Nonostante in Requiem il protagonista riesca a parlare con Tadeus, quello che ne

emergerà sarà per lui sempre confuso e frammentario. La ricerca del protagonista è

mossa da un’inquietudine di fondo e dal desiderio di arrivare a conoscere la verità.

I quesiti dell’io riguardano eventi per lui inspiegabili e quindi rivelano la sua impossibilità di comprendere la realtà. Questi è incerto ed ha bisogno di spiegazioni dai morti, ma non ne riceve, e perciò rimane con la sua interpretazione sommaria, soggettiva, frammentaria

75 della realtà. Sembra quindi più che lecito arguire che non vengono offerte risposte perché non esiste una versione definitiva della realtà, infatti neppure i morti la posseggono.91

In Requiem vengono citate esplicitamente vie e luoghi in cui il protagonista si reca.

Nonostante questi luoghi siano realmente esistenti, il percorso che se ne ricava è un

itinerario incongruo.

Ma oltre che un’allucinazione, il romanzo è anche un vagabondaggio, un’erranza attraverso la città che non risponde attraverso nessuna logica topografica. Alla fine questo percorso illogico resta forse l’idea di una città, come da alcune tessere sparse di un mosaico si può avere l’idea di un intero mosaico. [VV 163]

Le vie della città come i mezzi di trasporto sono deserti. Il protagonista attribuisce

questo particolare al caldo eccessivo, ma l’uomo «si muove in un’area in cui la

gente esiste, ma è dislocata ai suoi margini e quindi questa zona non può

considerarsi uno spazio irreale, bensì uno spazio limite tra il reale e l’irreale»92. La

peregrinazione del protagonista, infatti, risulta con dei salti spaziali, come quando

il protagonista dal cimitero si trova nella casa di Tadeus. Queste ellissi possono

significare il passaggio brusco del protagonista in bilico tra le due dimensioni.

Il romanzo inizia con un’ellissi spaziale: il protagonista si trova sul molo di

Alcântara senza ricordare come ci è arrivato. «Ma intanto cominciavo a sentire

fastidio, il sole dardeggiava, il sole di fine luglio, e pensai ancora: sono in ferie,

stavo bene là ad Azeitão, nella casa di campagna dei miei amici, chi me l’ha fatto fare di accettare questo incontro sul molo?» [RE 13]. Il romanzo si chiude con

l’incontro tra Pessoa e il protagonista e il suo risveglio nel giardino ad Azeitão.

91 BRIZIO-SCOV 2002, p. 111. 92 Ivi, p. 108.

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Il vagare del personaggio in Requiem ha inizio e fine sul molo. Questo particolare

assume un significato importante e ricorre altre volte nei romanzi di Tabucchi. Il

porto, infatti, si presenta come una porta sospesa su un altro mondo, un luogo in cui

il protagonista dice addio ad alcune persone che hanno fatto parte del suo passato;

Come nella scena finale del Filo dell’orizzonte in cui Spino si trova sul molo e

decide di varcare la soglia del capannone in cui è morto Carlo Nobodi, scegliendo

metaforicamente in questo modo di seguire il destino del ragazzo. In Per Isabel

l’incontro e il commiato dalla donna cercata in molti romanzi avviene al porto di Setúbal.

Il vaporetto ha attraversato la quinta parete, rispose Isabel, siamo nel nostro allora, vedi, quelle sono le luci del Portinho da Arrábida, siamo partiti da Setúbal, è il vaporetto che ci porta da Setúbal al Portinho da Arrábida, siamo nella notte in cui ci dicemmo addio, sul vaporetto di quella notte, ti ricordi? [PE 115]

Il porto quindi nei romanzi di Tabucchi è un luogo di incontro metafisico, una soglia

aperta, è la metafora di una dimensione che unisce la soglia tra il mondo dei morti

e quello dei vivi.

2 Il tempo e la saudade

I luoghi frequentati dai protagonisti esprimono la loro percezione del tempo. A

simboleggiare il tempo stagnante che riflette la condizione di stasi dell’interiorità dei personaggi, vi sono gli archivi e i cimiteri.

È come se il tempo soggetto, normalmente univoco, disposto com’è su una linea retta che non conosce altra reversibilità al di fuori di quella parallela e sfuocata dalla memoria, si sdoppiasse e la percezione dell’io. […] l’avvenire che è già passato, più che nel passato, che è comunque il luogo d’identità, in uno spazio che non è né dell’essere né del non essere, ma dell’essere stato.93

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La percezione dello svolgersi del tempo è influenzata dalla nostalgia e dai ricordi

che si fanno sempre più preponderanti nella mente dei protagonisti. Essi non si

riconoscono più nel presente che stanno vivendo e si rifugiano nella memoria

cercando di indagarla e di trovare risposte.

In Tabucchi l’insistenza sulla memoria come modalità preferita dell’esperienza non fa parte di un tentativo razionale o logico di capire e descrivere il sé o l’esistenza come un blocco unitario circoscrivibile. Essa rappresenta invece un’idea soggettiva del tempo ed ella realtà, che raramente corrisponde a quella oggettiva e cronologica. 94

Il tempo del presente è tempo dell’assenza in cui i protagonisti rimpiangono il

passato. Il rimpianto provato è connesso al ricordo e alla memoria, un sentimento

che unisce la nostalgia per quello che è stato a ciò che poteva essere. La nostalgia,

al contrario del rimorso che porta con sé un rancore e la voglia di rompere con il

passato, è caratterizzata dalla dolcezza del ricordo. I portoghesi chiamano questo

stato d’animo saudade: «la Saudade, che incontriamo spesso nei racconti di Tabucchi e che potremmo definire “la pena di ciò che non fu e che avrebbe potuto essere” [DP 15], è un sentimento che accompagna l’atto della creazione in quanto finzione». 95 La saudade mantiene un legame con il tempo e soprattutto con il futuro,

è una nostalgia per ciò che dovrà accadere e che spinge i personaggi a crearsi delle

speranze nonostante sappiano che non si potrà avverare.

La saudade è un rifugio per quei personaggi zoppi e non realizzati che vivono

nell’ipotesi. Nel Filo dell’orizzonte Spino che di fronte alla foto di Carlo Nobodi avverte qualcosa di familiare, come se facesse parte veramente anche lui di quel

ricordo. «Che cosa sta inventando la sua immaginazione che si spaccia per

memoria?» [FO 57, 58]. In Requiem e in Notturno indiano i due protagonisti

94 SCHWARZ LAUSTEN 2005, p. 52. 95 JANSEN 1993, p. 144.

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ripensano con nostalgia ai ricordi legati a Isabel, riflettendo su alcune occasioni che

non si potranno mai più realizzare. La saudade «è dunque qualcosa di straziante,

ma può anche intenerire, e non si risolve esclusivamente al passato, ma anche al

futuro, perché esprime un desiderio che vorreste si realizzasse. E qui le cose si

complicano perché la nostalgia del futuro è un paradosso» [VV 169].

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