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Il sogno fa spesso da sfondo alle storie di Tabucchi, contribuendo a rendere la realtà sempre più complessa e labirintica. I personaggi, infatti, finiscono per non riuscire più a distinguere il reale dall’irreale. L’attività onirica emerge soprattutto dalla scrittura dell’autore: «il suo stile è costruito sull’immagine, spesso solo abbozzata, e sull’immagine di chi legge, su una complicità strategicamente favorita fra narratore e destinatario»112. Il sogno comprende molti temi presenti nei romanzi: il

rovescio, il doppio, l’ellissi e racchiude al suo interno anche tratti tipici della scrittura, come la condensazione e le associazioni improvvise.

Sicuramente l’importanza che dà l’autore all’attività onirica è influenzata dalla poetica di Pessoa. Per il poeta la vita reale è nel sogno perché aderisce alle aspirazioni più intime dell’uomo, quelle che, anche razionalmente, non riesce a vedere e accettare.

Non ho fatto altro che sognare. Questo, e questo soltanto, è sempre stato il senso della mia vita. Non ho mai avuto altra preoccupazione vera se non la mia interiore. I più grandi dolori della mia vita sfumano quando, aprendo la finestra che si affaccia sulla strada del mio sogno e guardando il suo andamento, posso dimenticare me stesso.113

Il sogno, nel Libro dell’inquietudine, viene confuso con la realtà, come accade anche in Requiem e in Notturno indiano, in cui il protagonista, preda dell’insonnia e di allucinazioni dovute alla dormiveglia, fa dei sogni lucidi.

I sogni in Tabucchi non vengono mai analizzati o interpretati. Sono consegnati integri alla storia e alla interpretazione del lettore. I personaggi che sognano vivono l’esperienza onirica con casualità. Il fatto che né il narratore né il protagonista

112 TRENTINI 2003, pp. 141, 142. 113 PESSOA 1986, pp. 214, 215.

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cerchino una spiegazione pone il sogno al pari del ricordo o addirittura degli eventi che accadono nell’arco della storia.

La vita dei personaggi di Tabucchi è caratterizzata dall’attesa, dall’incapacità di andare avnati. I sogni infatti rispecchiano spesso i sentimenti del protagonista che non è più capace di vedere un futuro nella propria vita, portando alla memoria momenti dell’infanzia o periodi felici del passato. Il sogno, come la morte, porta ad una sospensione, seppur momentanea, delle decisioni. Il sogno quindi rappresenta uno spiraglio che rende liberi dalla vita e che fa percepire con meno pesantezza l’attesa del tempo ancora da trascorrere.

1 Il sogno nel Filo dell’orizzonte e la condensazione

Nel Filo dell’orizzonte l’arrivo dell’ambulanza in cui viene portato Carlo Nobodi avviene di notte mentre il protagonista sta dormendo.

Ha pensato un attimo alla notte passata e non ha ricordato niente, che curioso, l’unica immagine che gli è venuta in mente è stata la diligenza di una vecchia pellicola che sbucava dalla parte destra dello schermo e si ingigantiva in primo piano come fosse diretta su di un bambino che la guardava dalla prima fila del cinema Aurora […] nello schermo esplodeva uno sparo fragoroso mentre lui si tappava gli occhi. “Chiamalo Kid”, ha detto. [FO 27]

Mentre cerca di ricordare i fatti della sera precedente, Spino ha dei ricordi riguardanti la sua infanzia. Gli avvenimenti del presente si confondo con le reminiscenze del suo passato e prendono la forma di un sogno ad occhi aperti. Le digressioni nella mente di Spino sono legate ai suo ricordi infantili e cinematografici e lo distolgono dalla risoluzione del caso. Nei sogni si instaura un rapporto particolare con il tempo: il passato e il presente si fondono condensando le memorie dell’infanzia con i fatti accaduti durante il giorno. Il protagonista, che è anche il soggetto del sogno, ha la sensazione di conoscere ciò che vede, ma allo stesso tempo gli appare tutto nuovo, perché la mente rielabora le esperienze fatte

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durante il giorno, assemblandole secondo una nuova logica. «In Vico Spazzavento non c’era nessuno, gli è parso che il tempo non fosse passato, che tutto si fosse svolto troppo in fretta, come un avvenimento accaduto in un tempo remoto e rivisitato nella memoria in un lampo» [FO 88].

Mentre sta visitando il cimitero il protagonista ha la sensazione I di trovarsi in un posto conosciuto. La grande scalinata di marmo bianco del cimitero infatti gli ricorda La corazzata Potemkin. «Per un attimo gli è parso che anche lui stesse vivendo la scena di un film e che un regista dal basso, dietro una macchina da presa invisibile, stesse filmando il suo stare lì seduto a pensare». [FO 91]

Attraverso i film e le foto Spino si sente Spino proiettato in un’altra dimensione, verso un passato che non gli appartiene. «La fotografia instaura con il sogno un rapporto che è contemporaneamente di completamento e d’opposizione»114. Infatti

questa crea delle immagini che l’inconscio rielabora nel sogno, intrecciando i ricordi personali con le immagini viste e alterandone il significato.

L’unico momento in cui Spino sogna veramente è quando arriva alla risoluzione del caso. Quando l’uomo è riuscito ad unire tutti gli indizi ed è arrivato alla sua conclusione. Il sogno, a questo punto del romanzo, dimostra che il protagonista, giunto alla fine della sua ricerca, ha ritrovato la pace. Le digressioni e i ricordi infantili, che prima emergevano nella sua mente e che lo distraevano dalla sua ricerca, possono finalmente prendere vita in un sogno. L’esperienza onirica quindi riporta Spino verso un ricordo lontano dimenticato da tempo in una dimensione in cui ritrova la serenità.

E la notte ha fatto un sogno. Era un sogno che non tornava più da anni, da troppi anni. Era un sogno infantile, e lui era leggero e innocente; e sognando aveva la curiosa

96 consapevolezza di aver ritrovato quel sogno, e questo aumentava la sua innocenza, come una liberazione. [FO 100]

2 Il sogno in Notturno indiano e l’insonnia

La storia in Notturno indiano si svolge principalmente di notte. Il protagonista insonne si aggira alla ricerca dell’amico Xavier, scomparso in India. L’insonnia, come si capisce dall’introduzione del libro, è uno stato comune anche all’autore. «Questo libro, oltre che un’insonnia, è un viaggio. L’insonnia appartiene a chi ha scritto il libro, il viaggio a chi lo fece» [NI 9]. Tabucchi riporta una citazione iniziale tratta dallo Spazio letterario di Blanchot che sottolinea lo stato di insonnia comune al suo personaggio: «Le persone che dormono male sembrano sempre più o meno colpevoli: che cosa fanno? Rendono la notte presente»115.

Il fatto che l’uomo non riesca ad addormentarsi potrebbe far pensare che non riesca a lasciarsi andare perché ha qualcosa da nascondere. «L’insonnia, versante negativo dell’onirismo, ricca di eco blanchotiane, è la cornice in cui la mise en abyme finale di Notturno indiano fa esplodere, in una rete complessa di significati, la sola moltitudine e il rovescio di tutto il libro»116. La causa dell’insonnia del protagonista

può essere la preoccupazione che la ricerca dell’amico si basi su una menzogna, un inganno della mente al quale ha voluto credere. Nel capitolo conclusivo infatti emerge che la realtà e la finzione letteraria sono intrecciate in modo indissolubile. La condizione del protagonista di Notturno indiano appare simile a quella di Bernanrdo Soares, l’eteronimo di Pessoa, il quale difficilmente si abbandona al sonno. «Bernardo Soares non sogna, perché non dorme. Egli “sdorme”, per usare

115 BLANCHOT 1967, p. 233. 116 TRENTINI 2003, p. 143.

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una sua parola; frequenta cioè quello spazio di iper-coscienza o di coscienza libera che precede il sonno. Un sonno che tuttavia non arriva mai»117.

Il sogno e l’insonnia sono due stati difficili da distinguere, così come è arduo discernere come ciò che è reale da ciò che è solamente immaginato. Questo stato di dormiveglia in cui si trova il protagonista e che l’autore definisce di iper-coscienza si ritrova anche nel romanzo, quando il protagonista, in una stanza di albergo, si lascia andare ad un sogno ad occhi aperti, in un ricordo vivido.

Il ronzio pigro e confortante del grande ventilatore mi cullò, feci appena in tempo a pensare che anche quello era un lusso superfluo perché nella camera c’era un climatizzazione perfetta, e arrivai subito a una vecchia cappella su un colle mediterraneo, la cappella era bianca e faceva caldo, eravamo affamati e Xavier ridendo tirava fuori da un cesto dei panini e del vino fresco, anche Isabel rideva, mentre Magda stendeva una coperta sull’erba, lontano sotto di noi c’era il celeste del mare e un asino solitario ciondolava all’ombra della cappella. Ma non era un sogno, era un ricordo vero: guardavo nel buio della camera e vedevo quella scena lontana che mi pareva un sogno perché avevo dormito molte ore e il mio orologio segnava le quattro del pomeriggio. Rimasi a lungo nel letto pensando a quei tempi, ripercorsi paesaggi, volti, vite. [NI 34, 35]

Il sogno è il luogo del ricordo in cui si ritrova qualcosa perso da tempo. Il sogno diventa un luogo piacevole che nella vita non si può avere, una realtà ormai abbandonata da tempo e rimpianta. «L’insonnia può giovare in questa ricerca memoriale, perché in quello spazio privilegiato che esiste fra la veglia e il sonno in cui si tenta di dormire, si cerca di dormire, il pensiero vaga, libero dai freni inibitori dell’io»118.

Il rievocare è qualcosa di più che organizzare una situazione vissuta; consiste infatti nel ricostruire l’oggetto e la relazione oggettuale ricomponendo e restaurando la loro integrità spazio-temporale, lo spazio di vita. Il soggetto che soffre il dolore vive talora il presente come un “frantumarsi” del tempo vissuto.119

Un altro sogno presente è quello che fa il protagonista mentre sta aspettando il bibliotecario nell’archivio di Goa. Mentre il protagonista è intento a leggere, un

117 TABUCCHI in PESSOA 1986, pp. 11, 12. 118 TABUCCHI in DOLFI 1998, p. 190. 119 RESNIK 1982, p. 96.

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uomo l’avvicina e gli domanda cosa ci faccia in quel luogo. Il protagonista ammette che è venuto per cercare Xavier e l’uomo risponde in modo aggressivo, dicendo:

La sua violenza non mi spaventava, non temevo mi aggredisse: eppure sentii uno strano soggiogamento, come una colpa che tenevo nascosta dentro di me e che egli aveva scoperto […] «Xavier non esiste», disse, «è solo un fantasma». Fece un gesto che abbracciò la stanza. «Siamo tutti morti, non l’ha ancora capito? Io sono morto, e questa città è morta, e le battaglie, il sudore, il sangue, la gloria e il mio potere: è tutto morto, niente è servito a niente». [NI 77, 78]

Questo sogno rivela le paure del protagonista che emergono attraverso la voce del vecchio pazzo. «L’aspetto di anticipazione nel sogno può anche esser visto nella prospettiva di un “progetto nascosto” o inconscio, espressione di un desiderio non realizzato»120. Il sogno che sfocia nell’incubo grottesco indica la distanza dalla

realtà. «Rise ancora, e la sua risata mi gelò il sangue. “Io sono il pifferaio di Hamelin!” gridò. Poi la sua voce diventò affabile e mi disse: “mi scusi se l’ho svegliata”». [NI 79]. Il protagonista viene svegliato, o salvato dal suo Inconscio, da Padre Pimentel, l’uomo che stava aspettando. «La drammatizzazione onirica, che innesta convenientemente nell’affanno dell’incubo identità deformate e figurazioni grottesche […], rafforza e esaspera un radicale divorzio dalla realtà».121

L’incubo rivela la paura del protagonista, ma anticipa anche quello che è uno dei grandi temi del romanzo: la finzione e la duplicità, la costruzione ad opera della mente di una realtà parallela per fuggire e negare una verità fatta di assenze.

3 Il sogno in Requiem e l’allucinazione

«Questa storia, che si svolge una domenica di Luglio in una Lisbona deserta e torrida, è il Requiem che il personaggio che chiamo “io” ha dovuto eseguire con questo libro» [RE 7]. L’uso della prima persona ha un significato particolare che

120 RESNIK 1982, p. 69. 121 SURDICH, pp. 26, 27.

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l’autore sottolinea fin dalla nota iniziale. «Non solo c’è il ripetuto riferimento all’Inconscio, al Super-ego e al senso di colpa, ma il carattere stesso della narrazione rimanda a percorsi di autobiografia intellettuale e ad artifici intertestuali che chiedono una loro conclusione»122. Al centro del racconto c’è l’incontro con i

fantasmi del passato ed il bisogno di distaccarsene. Questo contatto con il passato però non può avvenire in uno stato lucido: tutto Requiem si svolge all’interno di un sogno.

Questo requiem, oltre che una “sonata”, è anche un sogno, nel corso del quale il mio personaggio si trova ad incontrare vivi e morti sullo stesso piano: persone, cose e luoghi che avevano bisogno forse di un’orazione, un’orazione che il mio personaggio ha saputo fare solo a modo suo: attraverso un romanzo. [RE 7]

Il protagonista è consapevole dell’irrealtà del suo viaggio; «Oggi per me è un giorno molto strano, sto sognando ma mi pare che sia vero, e devo incontrare delle persone che esistono soltanto nel mio ricordo». [RE 19]

L’ambiguità nasce dal fatto che quello che avviene può essere un’allucinazione, un sogno, ovvero il prodotto della mente del protagonista, ma potrebbe anche non esserlo. Il protagonista sembra si sia immerso nei meandri dell’inconscio/ anima/ ricordo e quindi del passato, però allo stesso tempo vive l’attualità della giornata, perciò il lettore si trova davanti a due dimensioni diverse, ma coesistenti. L’incertezza di chi legge nasce dal fatto che i due piani si sovrappongono continuamente e non è possibile decidere se quello che il protagonista dice appartenga al reale o al soprannaturale.123

Mentre il protagonista si trova in un taxi, immerso nel caldo afoso della città, trova sollievo con un ricordo che non viene narrato. «Chiusi gli occhi e pensai ad altre cose, alla mia infanzia, mi ricordai di quando era estate e andavo in bicicletta a prendere l’acqua fresca alle “caroline”, con la bottiglia nel cestino di paglia. Una frenata brusca mi fece riaprire gli occhi» [RE 26]. Il sogno del protagonista appena accennato opera «così uno sconfinamento temporale-spaziale»124 che anticipa ciò

122 TRENTINI 2003, p. 173. 123 BRIZIO-SCOV 2002, p. 104. 124 TRENTINI 2003, p. 179.

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che dirà la Zingara: la «madre spirituale e accesso all’interiorità, che con le sue capacità divinatorie ha l’importante compito di proporre delle soluzioni»125.

Il viaggio avviene perché il protagonista ha bisogno di avere delle risposte a domande che lo continuano a tormentare nonostante il tempo trascorso. Le uniche persone che lo possono aiutare sono però morte, così, l’inconscio (come dice il protagonista «ho preso il virus dell’Inconscio» [RE 39]), lo guida nel suo viaggio e lo porta a incontrare i fantasmi.

Il protagonista vuole capire da Tadeus il senso della frase misteriosa che ha scritto prima di morire, da Isabel il motivo del suo suicidio e da Pessoa che cosa gli sia accaduto da bambino. Questi tre fantasmi però non sanno fornire una risposta al protagonista: Tadeus non riesce a dare una spiegazione sul senso della sua frase e finisce per dire che è stato uno scherzo, l’incontro con Isabel è avvolto dal mistero perché non viene riportato nel romanzo e Pessoa aveva mentito al protagonista.

4 Il Padre Giovane

L’incontro con il Padre Giovane risulta molto diverso rispetto a quello con gli altri fantasmi. Il sogno avviene all’interno di un altro grande sogno che fa il protagonista, del quale l’uomo non ha però percezione. Il fantasma del padre appare per sapere dal figlio come è morto. «Sono qui perché voglio sapere una cosa, voglio sapere come va a finire la mia vita, e tu sei l’unico che può saperlo, tu sei nel tuo presente, voglio sapere tutto oggi, domenica trenta luglio millenovecentotrentadue» [RE 59]. L’aspetto del padre è quello che aveva da giovane. «Era vestito da marinaio, avrà avuto vent’anni o poco più ma era mio padre, non c’era possibilità d’equivoco» [RE 59].

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L’incontro con il padre viene descritto in Autobiografie altrui nel capitolo

L’universo in una sillaba, in cui l’autore racconta come è nato il romanzo. In questo

sogno compare l’immagine del padre giovane ma con un buco alla gola.

«Aveva un buco alla gola, all’altezza della faringe, come l’immagine che ne conservavo nella memoria prima che morisse: e da quel buco spaventoso usciva la sua voce, il suono prodotto dalla laringe che non c’era più» [AA 28].

Lo scrittore unisce l’immagine paterna, di cui aveva ravvivato il ricordo con le foto del passato, con il ricordo più prossimo a quello della malattia. «Il discorso dell’inconscio, che parla nel sogno, è un discorso composito, talvolta condensato, talaltra spostato, comunque mascherato, metaforizzato, ma mondo reale per il sognante»126.

L’immagine del padre da giovane condensata con il ricordo della malattia ritorna nel libro I volatili di Beato Angelico: «è strano come a volte possa succedere di sovrapporre due ricordi in un unico ricordo, mi stava succedendo questo, ricordavo la tua immagine del millenocentocinquantasei e insieme vi impastavo l’immagine che poi mi avresti lasciato per sempre, quasi trent’anni dopo» [VB 73, 74].

L’incontro con il Padre Giovane in Requiem, quindi, nasconde un significato affettivo profondo, che si ricollega ad un’esperienza autobiografica. Il particolare del sogno che aveva turbato di più Tabucchi era la voce: a causa dell’operazione alla laringe, l’uomo non poteva parlare. «Mi aveva turbato il semplice suono della sua voce. Quella voce che per due anni e mezzo fino alla sua morte era stata assente […] quella voce nel sogno risvegliava in me una grande nostalgia e un profondo malessere» [AA 27, 28].

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La voce del Padre Giovane, che irrompe nella stanza domandando: «Quante sono le lettere dell’alfabeto?» [RE 58], non è altro che l’evocazione di un ricordo, che la mente rielabora in modo oscuro attraverso i sensi.

“Evocare” significa “richiamare alla memoria”, è una parola che viene dal latino ex vocare, cioè “chiamare fuori”: ed è noto che la memoria passa attraverso le nostre attività sensoriali. La realtà, che noi percepiamo con i nostri sensi ben prima che venga decifrata ed elaborata nelle nostre capacità intellettuali e psicologiche, può presentarsi dopo anni grazie ai sensi che a suo tempo la percepirono: la vista l’udito, il tatto, l’olfatto e il gusto. Evidentemente essa non si ripresenta in quanto” Principio di realtà”, bensì attraverso il nostro “vissuto”, per utilizzare un termine della psicoanalisi: vale a dire attraverso ciò che la digestione e la trasformazione del nostro Io individuale ne ha fatto, cioè attraverso la nostra memoria individuale. [AA 20, 21]

Prima che il padre scompaia gli rivela il vero motivo della sua apparizione: «In ogni caso è bene tu sappia una cosa, disse il mio Padre Giovane, non è per mia volontà che ti sono apparso in questa stanza, è stata la tua volontà a chiamarmi, perché sei stato tu a volermi in sogno, e ora mi resta solo il tempo di dirti addio» [RE 63]. Dalle ultime parole del fantasma, si capisce come il protagonista non sia affatto perseguitato dal padre, come invece affermava inizialmente: «senti padre, dissi io, se devo dirti la verità queste domande non mi piacciono, questi esami, devi smetterla di comparirmi davanti così, quando pare a te, devi smetterla di perseguitarmi» [RE 59], bensì dal bisogno di raccontare la sua morte per rielaborarla. Il figlio «ha necessità di raccontare al padre quello che è avvenuto dopo la sua morte, perché ha bisogno di una consolazione non essendo soddisfatto di se stesso»127. La ricerca e l’inquietudine del protagonista che scatena l’ossessione è

scaturita dalla paura di non aver fatto abbastanza, come emerge anche dall’incontro finale con Isabel nel romanzo Per Isabel: «Tu credi di aver compiuto una ricerca

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per me, ma la tua ricerca era solo per te stesso […] voglio dire che tu volevi liberarti dai tuoi rimorsi, non ero tanto io che tu cercavi, ma te stesso, un’assoluzione e una risposta» [PE 116].

Il libro termina con il commiato definitivo del protagonista a tutti i suoi fantasmi, un saluto per separarsi dalle inquietudini del passato. «Buonanotte, dissi, o meglio: addio. A chi, o a che cosa, stavo dicendo addio? Non lo sapevo bene, ma era quello

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