CAPITOLO VI L’INCONTRO
3.2 L’incontro in Notturno indiano
Le persone incontrate casualmente dal protagonista, nonostante siano degli
sconosciuti, hanno la capacità di far capire qualcosa che l’uomo ignora di sé, per poi subito dopo scomparire, generando un’atmosfera di perdita costante. Come
avviene durante l’incontro tra il protagonista e l’indovino, in cui questo ammette di non essere in grado di leggere il suo destino, perché il suo atma, l’anima
individuale, è separato dal maya, l’apparenza: «tu non ci sei, non può dirti dove sei»
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[NI 69]. L’indovino non sa fornire altre spiegazioni, può dire soltanto al protagonista che il suo atma si trova su una barca.
Questi racconti formano delle storie a parte, che danno la sensazione di osservare
una realtà non intellegibile e l’impressione che ci sia un messaggio misterioso che rimane nascosto. L’incontro avviene spesso di notte mentre il protagonista sembra essere sul punto di addormentarsi. I personaggi gli si rivolgono con un tono molto
confidenziale, rivelando la loro storia per poi scomparire dalla narrazione. Come
accade alla stazione di Bombay in cui un viandante chiede al protagonista:
«Che cosa ci facciamo dentro questi corpi?» [...] La sua voce non aveva un tono interrogativo, forse non era una domanda, era stata solo una costatazione a suo modo, comunque sarebbe stata una domanda alla quale non avrei potuto rispondere […] «ci viaggiamo dentro», dissi io. Doveva essere passato un po’ di tempo dalla sua prima frase, mi ero perduto in considerazioni molto lontane: qualche minuto di sonno, forse. Ero molto stanco [NI 38]
La breve conversazione, interrotta dai colpi di sonno del protagonista, segue una
traiettoria strana, come se fosse un flusso di coscienza. I due uomini discutono sul
senso del viaggio che il protagonista stava compiendo e sull’uso in Europa delle parole pratically e actually, che in India perdono di significato. Infine l’uomo dà la
buonanotte al protagonista rivelandogli che sta per morire. «Suppongo che non
avremo più occasione di vederci secondo le sembianze sotto le quali ci siamo
conosciuti, queste nostre attuali valigie». [NI 43]
Gli incontri, che si svolgono nel tempo di una notte, hanno la forma di un sogno
formato dall’inconscio del protagonista. Questi, infatti, potrebbero anche essere creati dalla mente dell’uomo che rielabora tutto quello che è avvenuto insieme ai dubbi e alle sue paure. Le storie legate alle persone incontrate a volte sono vaghe,
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un’esperienza onirica del protagonista. Il postino di Filadelfia, che si dimette dal suo lavoro perché vuole vedere il mare e invia cartoline agli abitanti della sua città,
può ricordare al protagonista l’amico Xavier: entrambi fuggono da una realtà che non sopportano più, continuando a lasciare tracce sparse del loro percorso per
mantenere un contatto, seppur misterioso, con il proprio passato. Il problema
dell’identità e del doppio, presente in tutto il romanzo e che coinvolge il protagonista, emerge all’interno di una storia anche durante l’incontro con la ladra. L’uomo, dopo aver letto la lettera, che spiega le ragioni del furto della donna, sceglie di aiutarla. «Lei non è esistita per anni, è sempre stata solo un prestanome,
finché un giorno non ha deciso di dare una realtà a questo nome. E questa realtà è
lei stessa» [NI 50]. La donna infatti decide di riprendersi la sua identità e vendicarsi
di chi l’ha sfruttata per anni.
Nelle opere di Tabucchi compaiono spesso delle lettere: la scrittura diventa un
modo per dialogare con una persona assente perché scomparsa o anche perché mai
esistita.
La lettera è un equivoco messaggero. Tutti noi almeno una volta nella vita abbiamo ricevuto una lettera che ci pareva provenisse da un universo immaginario, e che invece esisteva realmente nella mente di chi l’aveva scritta. E probabilmente di altrettali ne inviammo, forse senza renderci conto di entrare in uno spazio reale per noi ma fittizio per gli altri, e di cui essa lettera è il più onesto falsario, perché ci illude di varcare la soglia con la persona lontana. Le persone sono lontane quando ci stanno accanto, figurarsi quando sono lontane davvero. [ST 224]
La lettera è un incontro immaginario, apre un dialogo con un interlocutore che non
si può vedere. Il carteggio tra l’autore e il teosofo, presente nel libro I volatili del
Beato Angelico, diventa un modo per esprimere un altro punto di vista e ribaltare la
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avviene tra l’autore e colui che forse è solo un personaggio letterario presente in
Notturno indiano. «Intanto desidero dirle che se il teosofo del capitolo sesto ritrae
in parte la mia persona, è un ritratto spiritoso e quasi divertente, anche se marcato
da una severità che non credo di meritare» [BA 43].
In Notturno indiano la lettera è un dialogo che rende tangibile l’assenza in cui il
protagonista si trova a scrivere una lettera a Isabel, la donna scomparsa ormai da
molto tempo, e che esiste soltanto nella sua memoria.
[…] scrissi una lettera a Isabel. Scrissi a lungo, di getto, con passione, e le raccontai di tutto. Le parlai di quei giorni lontani, e del mio viaggio, e di come i sentimenti riaffiorano col tempo. Le dissi anche cose che non avrei mai pensato dirle, e quando rilessi la lettera, con l’allegria incosciente di chi ha bevuto a digiuno, mi accorsi che quella lettera in fondo era per Magda, l’avevo scritta a lei, certo, anche se diceva «Cara Isabel» [NI 36]
La lettera rappresenta la speranza illusoria del protagonista di incontrare la donna,
almeno in un dialogo immaginario. Ciò che risalta nella lettera è la scelta dell’uomo
di scrivere a un fantasma. Questa decisone acuisce e rende palpabile l’assenza. Il tentativo del protagonista di sentire più vicina Isabel fallisce e l’immagine della donna fugge anche dalla sua memoria.