Un caso estremo di assimilazione: la conversione
II.2 La conversione di Nicu Steinhardt alla religione cristiana ortodossa
II.2.2 Il dibattito sulla conversione
Le vie di una conversione sono fatte dalla convergenza di più sentieri e numerosi sono i fatti, le influenze, i contributi (alcuni presi in considerazione […] molto tardi, dopo il compimento della conversione, diventano percettibili e intelligibili) che agiscono per lo scopo seguito. Non è stato diverso neanche per me180.
La più minuziosa analisi sulla conversione di Nicu Steinhardt appartiene allo scrittore romeno-ebreo Alexandru Sever, illustrata nel saggio Epistola despre convertire, pubblicato nel 1997 sulla rivista «Izvoare» di Tel Aviv:
Il caso Steinhardt - poiché è un caso! - mi ha interessato sin dall’inizio. Scontento per il modo stupido in cui era capito - sia come una sorta d’ignobile rinnegamento, sia come una sorta di rivincita di una spiritualità su un’altra - […] mi sono messo a scrivere il saggio ‘sulla conversione’ - cioè un saggio sugli stimoli della conversione e sulla psicologia del convertito181.
179 N. Steinhardt, I. Pintea, Primejdia mărturisirii. Convorbiri de la Rohia (Il Pericolo della confessione. Dialoghi da Rohia), Polirom, Iași 2009, p. 126.
180 N. Steinhardt, Jurnalul fericirii. Manuscrisul de la Rohia, cit., p. 139.
181 A. Sever, Epistola despre convertire (Epistola sulla conversione), in «Izvoare» (Fonti), Holon, Israele
Sever offre una visione molto critica sulla conversione dello scrittore. Una delle prime obiezioni riportate allo scrittore è che, accanto all’elogio del cristianesimo, nel Diario
della felicità non s’intravvede alcun riferimento esplicito, anche se critico, al giudaismo.
Steinhardt non allude mai agli ebrei, alle sue radici ebraiche e alla parentela originaria tra giudaismo e cristianesimo. Nelle sue numerose citazioni dalla Bibbia mai si ritrova una vaga allusione all’universo ebraico di questo Libro, come se, per lo scrittore, esso fosse esclusivamente cristiano. Persino la Chiesa non ignora le sue radici giudaiche. Questo atteggiamento di Steinhardt, dice il critico, mostra il fatto che egli “non sapeva assolutamente niente sul giudaismo e non aveva la minima idea della storia, della filosofia e dei mutamenti del giudaismo”182:
Ha letto gli esistenzialisti russi e quelli occidentali, ha frequentato gli scritti dei cattolici francesi e dei protestanti tedeschi, e anche quelli dei calvinisti, ha forse conosciuto l’apologetica ortodossa - ma nella sua vita, credo, non è riuscito a leggere uno studio sul giudaismo, anche se […] in duemila anni l’esegesi del giudaismo può competere in estensione, finezza e qualità con qualsiasi esegesi delle religioni costituite183.
Nel saggio Mărturisire, Steinhardt dichiara però apertamente: “Argomenti pro o contro il giudaismo o il cristianesimo non mi hanno mai interessato in modo speciale e mi preoccupano adesso pochissimo”184. George Ardeleanu non condivide questa obiezione di Sever poiché, dice il critico, è chiaro che egli “non avesse la minima idea dei due saggi sul giudaismo e sull’antisemitismo di Nicu Steinhardt e di Emanuel Neuman, altrimenti si sarebbe reso conto che il contestato non solo avesse profonde conoscenze in materia, ma fosse stato profondamente coinvolto nei problemi della civiltà e della spiritualità giudaica”185. I due testi sono stati però stampati nel 1935 e nel 1937 in alcuni esemplari e pochi ne erano a conoscenza. Dimenticati nella Biblioteca dell’Accademia Romena di Bucarest, i saggi sono stati pubblicati per la prima volta, come si è già precisato, nel 2006 presso la casa editrice Humanitas di Bucarest.
Sever trova una seconda spiegazione dell’atteggiamento di Steinhardt, collegato all’assenza della memoria delle proprie radici originarie:
[…] citare dall’Antico Testamento, come fa così spesso Steinhardt, utilizzare, in altre parole, un Testo ebraico per sostenere la sua fede e il passaggio al
182 Ivi, p. 124. 183 Ibidem.
184 N. Steinhardt, Mărturisire, cit., p. 167.
185 G. Ardeleanu, N. Steinhardt și paradoxurile libertății (N. Steinhardt e i paradossi della libertà),
cristianesimo, e non ricordare, per alcun istante, di essere nato ebreo, e non sentire il polso antico della saggezza della propria stirpe, ciò significa, direi - non un’ignoranza di sé, ma una dimenticanza di sé186.
Il critico trova la causa del silenzio di Steinhardt nell’odio di sé ebraico: “quest’uomo, che non sapeva odiare nessuno, odiava le sue radici”187. Lo scrittore ha però descritto e criticato, nel saggio Iluzii și realități evreiești, questo fenomeno e Otto Weininger:
La conseguenza maligna della persecuzione, questo grave sintomo psichico, trasforma il malato in un ossessionato dell’idea di comprendere il suo nemico. L’affermazione, la ripetizione, la suggestione e la contaminazione portano il soggetto del complesso ad accettare la fondazione della tesi che lo opprime. Credere così intensamente nella propria inferiorità porta spesso al suicidio. È stato il caso del più celebre antisemita di questa categoria, Otto Weininger188.
L’opinione di Sever viene condivisa dallo storico letterario Vera Călin. In quasi tre pagine del suo libro di confessioni Târziu. Însemnări californiene 1986-1996, pubblicato nel 1997 presso la casa editrice Univers, riferendosi alla conversione di Steinhardt, Vera Călin critica lo scrittore perché si è liberato dalle sue radici ebraiche considerate negative:
Fastidioso è il modo in cui N. S. rinnega la sua origine, non scoprendo niente di positivo nella storia, nella religione, nel destino degli ebrei. Anzi, la comparazione con le Scritture e con la vita di Cristo lo porta a una globale negazione di ogni valore giudaico. L’unico ebreo che ha un certo peso nello svolgimento della sua vita spirituale è il suo amico d’adolescenza, Manole, scomparso ulteriormente dalla vita dell’autore. Manole lo allena, nella prima giovinezza, verso una scoperta del giudaismo, prova che finisce con un fallimento totale. La conclusione: la morale degli ebrei […] ignora la compassione, l’amore, la carità. La messa in un tempio o in una sinagoga è priva di ogni solennità e bellezza189.
Un’altra obiezione riportata da Sever a Steinhardt è l’incapacità dell’autore di dare una spiegazione valida alla sua conversione e di farsi domande scomode:
Il mio punto di vista - pensato, spero, in un massimo spirito di obiettività - è veramente molto critico e, anche se non metto per alcun momento in dubbio la sincerità di Steinhardt - tuttavia, la sua incapacità, per me molto evidente, di dare una giustificazione più profonda a una decisione di tale gravità, l’assenza di ogni disposizione […] filosofica di farsi domande scomode, […] mi ha deluso pienamente190.
186 A. Sever, Epistola despre convertire, cit., p. 126. 187 Ivi, pp. 126-7.
188 N. Steinhardt, E. Neuman, Eseuri despre iudaism, cit., p. 100.
189 V. Călin, Târziu. Însemnări californiene 1986-1996 (Tardi. Appunti californiani), Univers, Bucarest
1997, p. 175.
In effetti, leggendo il Diario della felicità, annota il critico, ogni lettore ha il sentimento di trovarsi di fronte “a un uomo stordito, che sa bene perché cambia casa ma - cosa paradossale - non ha idea perché abbandona quella vecchia”191. D’altronde, Sever riconosce che gli si può contestare che in una conversione le ragioni, gli argomenti o le spiegazioni siano inutili. In un simile passaggio spirituale una persona è “scelta”, sa implicitamente perché lascia la vecchia casa per quella nuova: “credo poiché credo - e con ciò si è detto tutto!”192 Ciò nonostante, il critico sostiene che esistono, soprattutto lì dove c’è una rottura nella coscienza, interrogativi che non possono essere ignorati e di cui non si può liberare senza dare alcune spiegazioni valide e giustificative, altrimenti si può correre il rischio di diventare incomprensibili. Così pone il problema di ciò che Steinhardt sarebbe diventato se, al posto delle prigioni comuniste, fosse arrivato ad Auschwitz. Si sarebbe convertito e avrebbe voltato le spalle al suo popolo sterminato? Secondo il critico, l’autore “non ha avuto questa disposizione filosofica di farsi, ad ogni rischio, tali tormentose e scomode domande”193. In effetti, Sever riporta l’esempio di Henri Louis Bergson che, attirato dal cattolicesimo, non si è permesso di fare questo “passaggio” decisivo perché voleva essere e restare solidale con il suo popolo. Il critico ricorda anche il caso del cardinale Jean-Marie Lustiger di Parigi, ebreo convertito a quattordici anni con una madre morta ad Auschwitz, che ricordava sempre gli ebrei e la loro tragica sorte. Solo Steinhardt ha sfuggito a tali questioni:
[…] ‘un rifiuto di tipo bergsoniano’, valido in un’epoca che preparava la guerra e il genocidio, non poteva più avere la stessa legittimità morale a venti o trenta anni … ‘dopo’! […] In rapporto allo svolgimento della Storia, qualche decina d’anni […] non può risanare […] la ferita profonda, di proporzioni cosmiche, che fa di Auschwitz un territorio di sangue e di terrore, […] territorio che proibisce qualsiasi ‘passaggio’. In questo senso si potrebbe dire che, dopo Auschwitz, ogni conversione di un ebreo possa essere considerata, sotto rapporto morale, assolutamente illegittima194.
Le cose sono però ancora più complicate. Rimanere ebreo con una coscienza cristiana non è una soluzione. Dal punto di vista del giudaismo canonico, per cui la nazionalità e la religione sono indissociabili, sarebbe una soluzione assurda; dal punto di vista della Chiesa, l’individuo non battezzato non sarebbe mai cristiano: “una tale duplicità dello
191 Ibidem. 192 Ibidem. 193 Ivi, p. 125. 194 Ibidem.
spirito porterebbe forse alla distruzione della più intima cellula morale”195. Secondo Sever, il nocciolo del problema non risiede nell’accettare o no una situazione impossibile, si ritrova però nell’atteggiamento di Steinhardt che non “si è posto la domanda […] se abbia il diritto di uscire dalla condizione di ebreo in cui la fatalità della nascita l’ha posto”196. La Chiesa non è interessata a tali questioni, essa offre il battesimo a ogni persona che lo richiede. L’individuo deve però farsi tutte le domande necessarie per chiarire ogni dubbio nel complesso processo che viene a compiere e ad assumere. Lo scrittore ha evitato, dice il critico, queste difficili interrogazioni:
Si direbbe che il suo ‘passaggio’ si sia consumato in una sorta di trancia sonnambulica, […] ballando a occhi chiusi tra le nuvole di gloria, felice, senza preoccupazioni, e, soprattutto, senza ricordi, evitando di guardare ‘in basso’, affinché la memoria ritrovata della terra non gli pesi le ali e lo riporti sul duro suolo di tutte le realtà. Che ricordo ha però dimenticato Steinhardt sulla terra? […] il ricordo delle sue radici197.
Il punto di vista di Sever non viene accettato dal critico George Ardeleanu. In un capitolo del suo libro pubblicato nel 2009, N. Steinhardt și paradoxurile libertății, la più importante monografia dedicata allo scrittore, Ardeleanu analizza il testo di Alexandru Sever e riconosce che “è uno molto intelligente, ma anche molto polemico in rapporto alla conversione di Steinhardt”198. Circa l’incapacità dello scrittore di farsi domande scomode, il critico afferma che una lettura più attenta del Diario della felicità conferma la presenza di questi interrogativi. Inoltre, aggiunge che Steinhardt non è il testimone di una conversione spontanea e fulminante, ma di un lungo, lento e difficile percorso religioso, che è iniziato inconsciamente sin dall’infanzia, con il sentire il suono delle campane della chiesa del quartiere Pantelimon, che ha rappresentato lo scatenarsi della sua futura vocazione cristiana. Ciò viene confermato dalle confessioni di Steinhardt:
La mia propensione per la fede inizia, dunque, da molto. […] Per me il fascino è cominciato quasi da sempre, cioè dall’infanzia, nella borgata […] Pantelimon, allora completamente fuori dalla città. […] La domenica e i giorni di festa tutti andavano alla chiesa Capra, […] Vi andavano anche i miei genitori, quali proprietari di una fabbrica e su invito di padre Mărculescu. […] Le campane, che io sentivo distintamente nonostante fossero lontane dalla fabbrica, sono state lo sfondo sonoro ed emotivo dei miei primi anni. […] c’erano anche le campane di Pasqua, distinte: non inducevano alla dolcezza, come a Natale, ma sconvolgevano, insistendo, togliendoti la pace. (Per Natale
195 Ibidem. 196 Ibidem. 197 Ibidem.
tutto era buono: l’albero, il panettone, le colinde199 e il neonato Gesù. Per Pasqua tutto era strano e opprimente: il digiuno, il prohod200, la crudele croce e l’orribile crocifissione di Cristo) […]201.
Per lo scrittore, “le campane sono state il primo segnale”202 della sua futura fede, sono loro che l’hanno “chiamato verso Cristo”203.
Il vero e proprio avvicinamento dello scrittore alla religione cristiana ortodossa inizia dopo il fallimento della sua integrazione nella sinagoga. Tra questa tappa della sua biografia, tra il 1937 e il 15 marzo 1960, giorno del suo battesimo, ci sono più di vent’anni di esitazioni e di ricerche indefinite: “la conversione di Steinhardt non è una semplice, non è una conversione che parte dal nulla, da zero al cristianesimo”204. Da come si è già precisato, tra il 1935 e il 1937, lo scrittore, assieme al suo amico Emanuel Neuman, ha cercato di assumere la propria identità ebraica con la frequentazione della sinagoga, con lo sforzo d’imparare la lingua ebraica. In fin dei conti, questo loro tentativo fallisce e Steinhardt inizia ad avvicinarsi al cristianesimo con la partecipazione alle messe e con la lettura di libri ortodossi. Nell’estate del 1938 si trova a Interlaken, in Svizzera, alle riunioni di un’associazione religiosa internazionale, The Oxford Group: “All’inizio ho la sensazione di non essere al mio posto. Ma poi vado a tutte le conferenze”205. Nel
Diario della felicità s’intravvede l’immagine di un giovane irlandese, che dice allo
scrittore che diventerà figlio di Cristo, ma egli non crede alle sue parole:
Il nome dell’irlandese mi è sfuggito […] La mattina, prima della loro partenza, viene in fretta verso di me: ‘Ti cercavo - mi dice -; volevo che tu sapessi cosa ho sognato: mi è apparso il Signore e mi ha assicurato che ti chiamerà a Sé’. Probabilmente lo guardo in modo interrogativo perché ripete: ‘Tu sarai tra coloro che credono in Lui’. […] Non riesco a credere a ciò che mi ha detto l’irlandese. Non certo in questa vita, forse in una futura reincarnazione. Sento di essere stato un bugiardo. No, non posso passare al cristianesimo206.
E nel 1939 si trova a Londra, dove incontra di nuovo questo gruppo di religiosi, incluso l’irlandese. Partecipa alle loro riunioni in cui ha momenti di avvicinamento al cristianesimo, ma anche momenti di respinta:
199 Canti natalizi romeni.
200 Questo termine indica sia la funzione del Venerdì Santo sia il canto funebre intonato in questa occasione. 201 N. Steinhardt, Diario della felicità, cit., pp. 75-7.
202 N. Steinhardt, Mărturisire, cit., p. 163.
203 Z. Sângeorzan, Monahul de la Rohia. N. Steinhardt răspunde la 365 de întrebări (Il Monaco di Rohia. N. Steinhardt risponde a 365 domande), Humanitas, Bucarest 2003, p. 49.
204 M. Ioanoviciu, Intervista a George Ardeleanu, cit. 205 N. Steinhardt, Diario della felicità, cit., p. 104. 206 Ivi, pp. 104-6.
Rivedo l’irlandese che viene piano verso di me e mi ricorda il sogno che ha fatto. Lo ascolto con più attenzione, ma con una maggiore incredulità e con un sorriso interiore, non malizioso, ma, in un certo senso, di condiscendenza. Mi sembra molto commovente - sarai tra i Suoi fedeli - e allo stesso tempo infantile. Provo un po’ di pietà per quest’uomo, sicuramente ben intenzionato, ma non mi piace che creda ai sogni e gli manca il pudore delle sue fantasie. Tuttavia a Londra vado spesso in chiese, cattedrali e cappelle, sia per visitarle sia per aspettare. […] Visito anche molte associazioni e centri religiosi. […] Qui la religione è dappertutto; ad ogni passo incontri Cristo, che loro chiamano il Signore207.
L’avvicinamento al cristianesimo è sempre più incisivo in seguito all’instaurazione del comunismo, dopo il 1948, quando lo scrittore inizia a frequentare le chiese di Bucarest insieme a un’amica, e a leggere libri di patristica bizantina:
Mi sentivo sempre più attratto dal cristianesimo. Con una buona e benevolente amica, Viorica Constantinide, andavo spesso in diverse chiese, lei era una fedele fervente. Grazie ad alcuni uomini di grande cultura e intenso vissuto cristiano - Virgil Cândea e Paul Simionescu - ho avuto la possibilità di avvicinarmi alla letteratura patristica e alla filosofia cristiana. Così facevo progressi su entrambi i piani: teorico e pratico. Ero in realtà idoneo per il battesimo, mancavano solo il coraggio e la decisione di fare il passo finale208.
Essendo domandato, vista la sua presenza nelle chiese, perché non si converte, Steinhardt risponde che questo passo decisivo non lo può compiere per paura di ciò che diranno gli altri e, soprattutto, Manole:
Nuovamente allo Schitul Maicilor. […] Sento che padre Mihai [Avramescu] non capisce: vado da loro, partecipo alle funzioni, leggo autori cristiani; perché non faccio il passo decisivo? Perché? mi chiedo. Senza dubbio, per pigrizia. E per paura: ho paura, desidero veramente il battesimo […]? Non cerco forse una compensazione, una valvola di sicurezza, una scappatoia, una gioia diversa dalla sterile tristezza che mi circonda? […] Dunque, per sicurezza. E per una certa vergogna, […] che diranno i parenti, gli amici? E Manole! Che direbbe Manole […] vivo in modo troppo meschino, sporco, stupido per trovare in me la forza di compiere un atto di coraggio, di fiducia, di speranza e di sfida209.
Ana [la moglie di Mihai Avramescu] mi ha dimostrato che poiché sento il desiderio di battezzarmi, non ha senso aspettare. Me ne vado senza aver quasi aperto bocca, indeciso, disorientato210.
Un’altra volta, invitato da padre Marcel Avramescu a una riunione religiosa, lo scrittore si chiede: “Io, però, me ne vado soprappensiero, perché ascolto dall’esterno tutte queste cose attraenti, perché ho paura di fare il passo decisivo?”211 e aggiunge:
207 Ivi, p. 108.
208 N. Steinhardt, Autobiografie, cit.
209 N. Steinhardt, Diario della felicità, cit., pp. 428-9. 210 Ivi, p. 158.
Non so tuttavia se avessi avuto il coraggio e la disinvoltura di fare il passo decisivo - per pigrizia? per paura? per caos interiore? […] per non infastidire i parenti e i conoscenti? Per non far sembrare il mio gesto una bizzarria?212
Accanto a questi interrogativi, lo scrittore pensa anche ai duemila anni di persecuzioni contro il popolo ebraico, al “rabbino G [Gutman] i cui due figli furono uccisi sotto i suoi occhi nel bosco di Jilava213 durante la ribellione dei legionari”214. Steinhardt ritorna sull’argomento in un’annotazione del 1961 presente nella seconda versione del Jurnalul
fericirii. Manuscrisul de la Rohia, pubblicata nel 2012 presso la casa editrice Polirom di
Iași, a cura di George Ardeleanu:
L’incertezza è grande, e non solo essa. Il battesimo non mi avvicina e non mi rende simpatico ad alcuni uomini per cui dovrei sentire ripulsione? Ho il diritto di dimenticare e di perdonare così presto? Iancu e Josef G. non sono stati uccisi dai loro consorti addirittura qui vicino, nel bosco di questo paesino, Jilava? Anche Millo Beiler, il più perbene uomo del mondo, onesto e moderato, con sentimenti puri romeni, […] preso da sua casa e ammazzato, come il personaggio del Processo, ‘come un cane’? Lo so, lo so, da qualche giorno mi domando sempre quanto io sia sincero […] È una domanda che […] tormenta e che, all’improvviso, mette duemila anni di negazione sulle mie spalle215.
Questo brano, dice Ardeleanu, mostra come Steinhardt è stato tormentato in questo processo di trasformazione spirituale da domande, da dubbi, da angosce, da dilemmi, da impulsi negatori. Antoine Plămădeală, teologo ortodosso, storico della cultura, saggista e romanziere, condivide l’idea del critico: “tutta la vita […] ha voluto farsi battezzare. È vero che il rimando era tuttavia la conseguenza di alcuni tormenti”216. Nonostante queste inquietudini interiori, Steinhardt decide di convertirsi solo dopo il suo arresto e la sua incarcerazione avvenuta nel marzo del 1960: “Credo, tuttavia, che senza l’esperienza della prigionia non avessi fatto il passo decisivo - oppure molto più tardi”217. Nella decisione della conversione è forse stata anche l’idea della prossimità della morte nella prigione:
Nella seconda cella, mi incoraggia N.N.P., passato al cattolicesimo. […] Gli confesso che vorrei battezzarmi. […] Sinceramente parlando, comincio a rendermi conto che è un desiderio insistente, sfociato in impazienza. […] gli
211 Ivi, p. 198.
212 N. Steinhardt, Mărturisire, cit., p. 169.
213 Comune vicino Bucarest famoso per l’omonima prigione. 214 N. Steinhardt, Diario della felicità, cit., p. 429.
215 N. Steinhardt, Jurnalul fericirii. Manuscrisul de la Rohia, cit., p. 65.
216 A. Plămădeală, Izvoarele fericirii monahului Nicu de la Rohia (Le fonti della felicità del monaco Nicu di Rohia), in F. Roatiș (a cura di), N. Steinhardt în evocări (N. Steinhardt in evocazioni), Polirom, Iași 2012, p.
218.
dimostro che non è affatto probabile che possa resistere fino alla fine e che sarebbe meglio se ricevessi il battesimo. […] N.N.P. […] mi assicura […] che, senza dubbio, troverò in prigione un sacerdote che accetti di battezzarmi di nascosto, è chiaro, ma in modo valido. Nelle varie prigioni tutte le camere sono piene di chierici d’ogni sorta, solo che in generale essi sono paurosi, farlo sarebbe grave. Poiché sono deciso, accolgo il consiglio di approfittare della