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L’integrazione e la formazione della doppia identità

I.3 Il problema identitario in De două mii de ani di Mihail Sebastian

I.3.3 Mihail Sebastian, un assimilato?

[…] il mio eroe […] parte […] dalla contemplazione della propria vita che unisce senza urtarle e senza sentirle incompatibili, le due voci, di ebreo e di romeno, le due voci che non sono altro che una sola385.

Nonostante la dichiarazione e la spiegazione da parte dello scrittore della sua doppia o multipla identità, Mihail Sebastian è stato dichiarato “un assimilato” dai critici letterari Șerban Cioculescu (1902-1988) e Pompiliu Constantinescu (1901-1946), per mostrare la tendenza naturale degli allogeni d’integrarsi negli orizzonti specifici allo spazio culturale in cui si sono formati. Il primo parla della “sete di assimilazione che

383 M. Sebastian, Cum am devenit huligan, cit., pp. 22-3.

384 E. Lévinas, Difficile libertà. Saggi sul giudaismo, a cura di S. Facioni, Jaca Book, Milano 2004, p. 318. 385 M. Sebastian, Cuvinte despre specificul național, cit., p. 310.

anima il romanzo”386. Il secondo formula in un altro modo lo stesso concetto: “Il Sig. Sebastian è ciò che si chiama un assimilato”387 e prosegue:

Il Sig. Sebastian parla esclusivamente in suo nome, con la sua eredità, con la sua formazione intellettuale, con l’ambiente geografico in cui è nato. Ciò che può infastidire i suoi connazionali è che, anche se ebreo dichiarato, vale a dire attraverso ciò che ha fatalmente ereditato in sé da due millenni, il Sig. Sebastian intende a non solidarizzarsi con la massa. Nato ebreo, come si nascerebbe albero, pietra, attraverso un decreto del destino, si distacca da ogni gregaria considerazione, […] si analizza e cerca una personale soluzione. […] Il Sig. Sebastian ha una volontà libera, una predilezione temperamentale: si vuole, si sente addirittura legato a un ambiente fisico, a un’atmosfera danubiana, e si vuole integrato in una categoria psichica, quella della Valacchia388.

Mihail Sebastian sente il bisogno di delimitare la propria posizione in questo problema d’importanza fondamentale per l’ebraicità dell’epoca seguita all’emancipazione. Nel libro-saggio Cum am devenit huligan, lo scrittore protesta in modo veemente contro il concetto di “assimilazione”, al quale è stato associato:

L’affermazione mi sembra grave e - nella misura in cui posso avere un’opinione sul mio libro - inesatta. […] Sono convinto però che riflettere sui rapporti tra lo spirito giudaico e lo spirito locale non è, non può consistere in un atto di assimilazione. Credo, infatti, con tutta la forza che uno scrittore non possa essere ‘assimilato’. Ciò lo annullerebbe nel profondo del suo essere. Lo scrivere è un atto di presenza - l’assimilazione è un atto di evasione. Più grave di un suicidio, è una mutilazione389.

E questo suo giudizio può essere riferito non solo agli ebrei, ma a tutte le minoranze. Mihail Sebastian precisa invece che per gli ebrei, rispetto ai greci, ai bulgari, ai polacchi, questo processo di assimilazione è più pesante perché rinunciare alle proprie radici è un tradimento:

[…] è più difficile essere ebreo - e il sentimento di essere fuggito da dove ‘è difficile’ annulla non solo le radici dell’orgoglio personale, ma anche ogni possibilità di creare. […] L’assimilazione […] crea un grave complesso d’inferiorità, che è un passo verso la dissoluzione, verso la sterilità, verso la morte. Sono convinto che mentire sia un atto molto grave, con rigorose punizioni interiori. Esso toglie non il diritto, ma la possibilità organica di

386 Ș. Cioculescu, Realitatea interferenței dintre om și loc (La realtà dell’interferenza tra uomo e luogo), in

«Revista Fundațiilor Regale», anno I, n. 10, ottobre 1934; cit. in M. Sebastian, Cum am devenit huligan, cit., p. 21.

387 P. Constantinescu, Sobra și demna confesiune a unei sensibilități ultragiate (La sobria e la degna confessione di una sensibilità oltraggiata), in «Vremea», anno VII, n. 347, 22 luglio 1934; cit. in M.

Sebastian, Cum am devenit huligan, cit., p. 21.

388 Ș. Cioculescu, Realitatea interferenței dintre om și loc, cit., p. 21. 389 M. Sebastian, Cum am devenit huligan, cit., p. 21.

vivere ancora la vita con sincerità e di confessare la verità. Con che cosa si potrebbe riscattare l’assimilazione, la terribile bugia iniziale, cui obbliga e sotto cui si viene annullati? Non chiedo alla vita che il diritto di guardarla in faccia con una totale sincerità. Questo concetto, detto così, può sembrare eccessivo o pretenzioso. Non m’interessa. Ve lo ripeto e lo mantengo. Perciò scrivo. Perciò esisto390.

L’autore polemizza su un concetto che non accetta e invoca come vittime della “commedia dell’assimilazione”391 gli scrittori Ronetti-Roman392 con l’opera drammatica

Manasse, e Ion Trivale (1889-1916) morto sul fronte durante la Prima Guerra Mondiale:

De două mii de ani non è nella cultura romena il primo libro che ha formulato

questo dramma. È stato dimenticato Ronetti-Roman? [...] Ion Trivale? [...] entrambi risolvevano le difficoltà in modo semplice: attraverso l’assimilazione.

Manasse è un limpido discorso di assimilazione. Lea sposa Matei Frunză,

Lazăr sposa Natalia Frunză - e il problema è risolto. Oggi, dopo tanti decenni,

Manasse rimane un’ammirevole opera di teatro, ma la soluzione di Ronetti-

Roman sembra più puerile e più triste che mai393.

Secondo Ronetti-Roman, l’unica soluzione per gli ebrei per sfuggire alle persecuzioni è la rinuncia totale alla loro identità etnica. Da questa tesi assimilazionista è nato il capolavoro

Manasse (1900), che ha avuto un grande successo all’epoca. Gli ebrei hanno sostenuto

con sincerità le soluzioni assimiliste. Invece, per Sebastian, il caso di Ion Trivale, come quello dell’espulsione dal paese dei grandi filologi Heimann Tiktin, Moses Gaster e Lazăr Șăineanu, era uno degli esempi più significativi per la comprensione del fatto che la società romena non è propensa ad accettare l’integrazione degli intellettuali ebrei394:

Per ciò che riguarda Ion Trivale, dopo aver definito su «Noua Revistă Română», la nozione dello ‘essere romeno’, è andato a morire sul fronte, a capo del suo plotone. Pensava, morendo con la testa sul mitra, di morire come romeno. Si è sbagliato. Nel 1930 s’inaugurava a Predeal un monumento degli scrittori caduti in guerra, e il nome di Ion Trivale nemmeno veniva nominato. Neanche la morte ha ‘assimilato’ Iosef Netzler [il nome vero di Ion Trivale] alla terra per cui è morto395.

Questo scrittore che si era creduto perfettamente integrato nella società romena, viene dimenticato senza ricevere i dovuti meriti:

390 Ibidem. 391 Ibidem.

392 Ronetti-Roman (1852 o 1953-1907), pseudonimo letterario di Aron Blumenfeld, uno dei più dotati

drammaturghi romeni dimenticati dalle storie letterarie, può essere considerato un vero modello di autore ebreo che assume il proprio destino tragico cercando di superarlo. Cfr. O. Morar, Scriitori evrei din

România, cit., pp. 17-32.

393 M. Sebastian, Cum am devenit huligan, cit., p. 23.

394 Si veda in proposito il capitolo L’antisemitismo letterario in Romania, pp. 209-12. 395 M. Sebastian, Cum am devenit huligan, cit., p. 23.

L’ombra di Trivale chiude in modo irrevocabile la porta delle illusioni assimilatrici. Ma non anche la porta di qualsiasi comprensione. L’ebreo essendo e rimanendo ebreo, cerca tuttavia di definire il suo posto nella società e nella cultura romena, verso cui gli obblighi sono tanto più appassionanti quanto meno si conserva una qualche illusione396.

Mihail Sebastian, accusato di essere “un assimilato” alla società romena e di aver voltato le spalle al mondo ebraico, è nella letteratura romena lo scrittore più preoccupato dell’identità ebraica e respinge sarcasticamente “la commedia di assimilazione”397, come egli stesso la chiama, e propone una delle più profonde meditazioni sull’essenza dell’ebraismo e sulla condizione dell’essere ebreo nell’epoca moderna con particolare attenzione alla Romania.

Lo scrittore, “ebreo, romeno e uomo del Danubio”398 come amava definirsi, era “cittadino del mondo”399: una tripla identità, una radicata nella millenaria eredità ebraica, un’altra nel paesaggio e nell’ambiente morale valacco, e una terza nella cultura francese ed europea attraverso la sua formazione. Iosef Hechter è diventato così Mihail Sebastian non perché avrebbe tradito la sua etnia, ma perché egli stesso si vedeva piuttosto che ebreo o romeno un europeo libero. Ha scelto quindi un’etnia aggiuntiva e un secondo nome non per cancellare i primi, ma per completarli.

La sua doppia identità ha disturbato e ha creato difficoltà nella sua ricezione, ha provocato dubbi o anche rifiuti. Nae Ionescu, professore e mentore dello scrittore, diventato esponente dell’estrema destra fascista, contesta nella prefazione antisemita scritta al romanzo De două mii de ani la qualità di “romeno” e di “uomo del Danubio” dell’autore:

La qualità di romeno, ebreo, turco o tedesco è una questione di appartenenza […] Ciò può avvenire in due modi: soggettivo, attraverso un atto di testimonianza; obiettivo, come veicolo di una storia. La prima variante non è effettiva. Poiché non è sufficiente, per esempio, fare testimonianza di fede giudaica per essere ebreo. Di più, si può dichiarare, si può sentire, si può credere di non essere ebreo e, tuttavia, esserlo. […] l’appartenenza a una qualsiasi comunità non è un atto di volontà individuale […] l’unico modo reale di essere ebreo, francese […] è essere portatore della rispettiva storia […] il frutto di una storia. […] si è romeno o ebreo o greco non attraverso una testimonianza di fede, ma attraverso il veicolare di una storia; questa qualità non è […] un atto individuale di volontà, ma uno stato naturale. […] Sei tu,

396 Ivi, p. 24. 397 Ivi, p. 22.

398 M. Sebastian, De două mii de ani, cit., p. 279.

399 C. Trandafir, Mihail Sebastian între viață și ficțiune (Mihail Sebastian tra vita e finzione), Fundația

Iosef Hechter, uomo del Danubio di Brăila? No. Ma ebreo del Danubio di Brăila400.

Come osserva lo scrittore ebreo-romeno Norman Manea401, nel suo libro Il ritorno

dell’huligano, “Hechter-Sebastian e i suoi correligionari, anche se atei o assimilati, non

potevano essere romeni. I romeni sono romeni perché sono cristiano-ortodossi e cristiano- ortodossi perché sono romeni, aveva spiegato il legionario Ionescu. Semplice, come dare il buongiorno!”402 Per verso suo, Mihail Sebastian non è d’accordo con quest’affermazione di Nae Ionescu poiché, per il giovane eroe del romanzo, essere romeno ed ebreo “non è un atto di volontà, è una realtà. Si sente così. Mai potrebbe rinunciarci”403:

[…] il mio eroe pensa che l’anima umana sia […] più capace di sfumature. Per affermare ciò, egli non parte da un’idea astratta, ma dalla contemplazione della propria vita che unisce senza urtarle e senza sentirle incompatibili, le due voci, di ebreo e di romeno, le due voci che non sono altro che una sola404.

Nonostante le contestazioni manifestate, la condizione ambivalente di Sebastian, quella romena ed ebraica, ha determinato originalità del suo pensiero. Lo scrittore propone, per la prima volta nella cultura romena, al posto del modello identitario “o/o”, l’identità di tipo “e/e”, un modello naturale in una società moderna basata su principi liberali in cui essere ebreo ed essere romeno è possibile poiché le due identità non si escludono ma si completano reciprocamente. È il caso dell’Impero asburgico con Italo Svevo e dell’Europa Occidentale, dell’Italia con Primo Levi in cui l’identità nazionale esprime la dimensione civile e quella etnica può diventare un problema di scelta privata, personale e individuale.

Nel contesto della xenofobia, dell’antisemitismo fluttuante e delle correnti politiche estremiste del periodo scelto nel romanzo - 1923-1933 - la creazione naturale di una doppia identità, caratteristica di spazi multiculturali di coesistenza per un lungo periodo non viene accettata; il sociale e il politico annullano le possibilità di apparizione per questa identità. In Romania, nelle condizioni in cui il dibattito sull’identità nazionale

400 M. Sebastian, De două mii de ani, con la prefazione di N. Ionescu, Humanitas, Bucarest 1990, pp. 10-2. 401 Nel 1986 Norman Manea (1936-) è emigrato, a causa del regime oppressivo comunista, negli Stati Uniti.

Alcuni dei suoi libri tradotti in italiano sono: Ottobre, ore otto, il Saggiatore, Milano 1998; Clown. Il

dittatore e l’artista, EST, Milano 1999; La busta nera, il Saggiatore, Milano 2009; N. Manea, H. Stein, Conversazioni in esilio, trad. di A. Grieco, il Saggiatore, Milano 2012.

402 N. Manea, Il ritorno dell’huligano, il Saggiatore, Milano 2004, p. 73. 403 M. Sebastian, Cuvinte despre specificul național, cit., p. 308. 404 Ivi, p. 310.

insisteva sull’essenza dello spirito romeno che veniva associato allo spazio rurale, autoctono e all’ortodossia cristiana, il concetto di nazione si concentrava invece sull’aspetto etnico. Perciò il modello esistente, costruito sul piano sociale è etnico: esso impone come incompatibili le due appartenenze e determina l’esclusione, attraverso la divisone tra “la nazione” e “gli altri”, oppure l’assimilazione totale, non auspicabile e, comunque, impossibile da realizzare. In questa situazione, il modello identitario di tipo occidentale e moderno proposto da Mihail Sebastian entra in conflitto aperto con l’identità concentrata sull’etnico e sull’autoctono, elementi impliciti nella definizione della nazione romena:

[…] è una questione che si pone abbastanza spesso e non solo in Romania, ma quasi dappertutto. […] In modo più drammatico o più calmo, secondo le diverse circostanze […], questi casi di coscienza dell’ebreo che vive in un paese a cui si sente fisicamente e spiritualmente legato, questi casi di coscienza esistono da sempre e incontreranno sempre la resistenza di questa teoria che fa dello specifico nazionale una nozione psicologica, razziale e metafisica, un valore impenetrabile, intrasmissibile, inassimilabile. […] Si capisce molto bene che questo modo di pensare non sarà facilmente accettato, ma egli [l’eroe] ha tempo di attendere405.

Mihail Sebastian non è stato il primo intellettuale, nella storia della cultura romena, ad aver proposto questo modello identitario. Già il grande filosofo del periodo interbellico, Iosif Brucar alias Iosef Bruker (1888-1960), ebreo militante che aveva sostenuto l’emancipazione degli ebrei, si riferiva, sin dal 1919, a questo stesso fenomeno sulla rivista «Lumea Evree»406. Anche lo scrittore Ury Benador teorizzava questo modello in un articolo407, ma l’autore del romanzo De două mii de ani è l’unico che lo discute all’interno di un’opera letteraria: assicura così al tema dell’identità doppia un’apertura più vasta verso il pubblico e lo mette al centro dei dibattiti del periodo interbellico.

Il modello dell’identità multidimensionale di Mihail Sebastian ha origine da uno spazio simile a quello dell’integrazione ebraica dell’Europa Occidentale dalla seconda metà dell’Ottocento e dell’inizio del Novecento. Questo tipo identitario si ritrova su tutti i meridiani ed è presente soprattutto “in coloro che non attribuiscono alcun senso religioso a tale appartenenza e, qualche volta, alcun senso in assoluto: sono quelli che […] non hanno altro da dire oltre all’affermazione ‘io sono ebreo’”408. È il caso, per fare qualche esempio, di Italo Svevo, di Primo Levi, ma anche di Iacob Wassermann che si è

405 Ivi, pp. 309, 311.

406 Cfr. C. Iancu, Evreii din România. De la emancipare la marginalizare 1919-1938, cit., p. 74. 407 Cfr. U. Benador, De două ori eu=1 (Due volte io=1), in «Adam», n. 117-118, marzo 1938. 408 E. Lévinas, Difficile libertà. Saggi sul giudaismo, cit., p. 309.

considerato ebreo e tedesco, anche se gli è stata rifiutata l’appartenenza alla spiritualità tedesca. Toccato da questa realtà, per lo scrittore tedesco l’antisemitismo culturale della Germania diventa, come per Sebastian, un’ossessione esistenziale. Egli ha risentito della relazione difficile tra gli ebrei e i tedeschi in modo doloroso in un periodo in cui il nome di Hitler non era ancora noto. Mihail Sebastian conosceva il saggio di Wassermann Il mio

cammino di tedesco e di ebreo e se ne riferisce in Cum am devenit huligan, dove annota:

“Jakob Wassermann scriveva già, sin dal 1920, quando l’hitlerismo non esisteva, un libro pieno di lucida tristezza: Mein Weg als Deutscher und Jude”409.

De două mii de ani diventa così un libro coraggioso per la denuncia

dell’antisemitismo latente o manifesto nella società romena interbellica, per la difesa dei valori razionalisti e umanisti e per la scelta della doppia identità tanto controversa all’epoca. Il romanzo rimane una testimonianza attuale e un documento di valore storico per la comprensione delle ossessioni identitarie e del dramma vissuto dall’intellighentia ebraica ancor prima della Shoah.

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