• Non ci sono risultati.

Diciannovesimo secolo ed emigrazion

CAPITOLO I : TRATTAZIONE STORICA E DOCUMENTAZIONE

1.3 Diciannovesimo secolo ed emigrazion

La storia locale sembra proseguire senza alcunchè di grandioso da annotare sino al 1900. A dire la verità tra l'epoca dell'arrivo dei primi boscaioli bellunesi e il 1900 un evento storico di grande rilievo per tutta l'Europa segnerà la nascita di una grande tradizione che qui si ripete ogni anno da circa circa 400 anni. Questo evento tradizionale sarà l'oggetto della seconda parte della mia ricerca.

Durante gli ultimi anni del diciannovesimo secolo e la prima metà del ventesimo, una grande massa di lavoratori della zona emigrarono sopratutto verso territori di lingua germanica in cerca di lavoro. Sono gli anni nei quali l'impero degli Asburgo in Austria dà avvio alla costruzione di chilometri e chilometri di ferrovie e gli abitanti della zona,sopratutto cassani ma in maniera minore anche ertani, troveranno impiego come operai presso ditte austriache e tedesche.

Ancora una volta la toponomastica del luogo si rivela curiosa pista da seguire. Nella Erto vecchia vi è una via denominata Via dell'esembon.

Anche per questo toponimo la comunità ha una spiegazione. A suo modo di vedere

Esembon sarebbe l'italianizzazione del termine tedesco eisenbahn, ferrovia.

Il periodo più duro della comunità, tolto il post disastro del Vajont, giungerà con la prima guerra mondiale.

Come quasi tutto l'arco settentrionale del Veneto e del Friuli, anche queste zone saranno teatro di scontri tra l'esercito italiano e quello austro-ungarico.

Più precisamente la zona della Valcellina, di cui fanno parte Erto e Casso, sarà il territorio che vedrà opporsi gli alpini alle truppe comandate dal giovane uomo d'armi tedesco Erwin Rommel.

Durante la seconda guerra mondiale invece circa quaranta tra ertani e cassani verranno inviati lungo il confine greco-albanese dal regime fascista.

Tolto il periodo pre e post disastro del Vajont, è la seconda guerra mondiale il tempo più nitido nei ricordi della gente del posto. Mi è bastato, durante un pranzo all'Osteria “Gallo cedrone”, fare un breve riferimento agli anni della prima e seconda guerra mondiale che subito un gruppo di tre persone, due uomini di 72 anni ed una donna di circa 80, si è dimostrato interessato all'argomento.

Il più giovane di loro, Mario Filippin, risponde al mio appello raccontandomi di suo nonno:

“Mio nonno ha partecipato alla guerra al seguito dell'esercito italiano. Lo hanno mandato oltre confine tra gli slavi. Ricordo mia nonna che ci raccontava di come era difficile restare da sola ad attendere notizie sperando che non fossero brutte ovviamente. Non ricordo quanto stette laggiù.”

Gli ultimi mesi della guerra furono i più difficili da vivere quando l'agonizzante regime fascista, supportato dall'alleato tedesco, tentava un'ultima e disperata resistenza nei territori dell'Italia settentrionale. Durante questi mesi anche qui come in molte altre parti d'Italia i generi alimentari erano razionalizzati e la distribuzione del cibo avveniva tramite tessera e le truppe nazi-fasciste ostacolavano ogni tipo di commercio per impoverire i territori che di lì a poco le truppe volontarie del Comitato di liberazione nazionale avrebbero conquistato.

Di quegli anni invece ha memoria Maria Corona, 80 anni, una delle ultime rimaste ch e abbia in mente il ricordo vivo del tempo:

“Io e mia mamma andavamo, ricordo ancora in piazza che avevano usato un locale disabitato, a prendere il pane e la farina e le uova con la tessera perchè era tutto razionalizzato qui. A causa della guerra non c'era più tanto cibo e dovevamo farcelo bastare per tutti. Qui erano tutti in queste condizioni...eravamo tutti sulla stessa barca. Abbiamo patito la fame per tanti giorni che ancora oggi ricordo il senso di

che non riesci a mandare via soltanto dormendo.”

Il locale adibito alla distribuzione delle risorse alimentari di prima necessità è ancora presente nell'unica piazza del paese. Ovviamente è in stato di abbandono.

La casa della signora è semplice e posizionata lungo la strada che dal centro del paese si articola, aggrappandosi allo strapiombo, verso la chiesa di San Bartolomeo, la chiesa principale del paese.

Vive da sola, ma la figlia, che abita a Longarone, ogni giorni passa per trovarla e controllare che stia bene.

“Erano tempi duri! Mia madre faceva il pane in casa in grande quantità e doveva bastarci per tanto tempo. Quei maledetti fascisti e tedeschi ci facevano fare la fame per non far trovare niente ai partigiani.”

Difatti l'agonizzante regime fascista, che non si arrendeva alla sconfitta, cercò in ogni modo di resistere anche a costo di portare alla fame gli abitanti di questo territorio.

“Mio padre era artigiano e costruiva mobili ed altri attrezzi in legno mentre mia madre badava alla casa e alla piccola stalla che avevamo. Avevamo quello che ci serviva alla fine. Io e mia sorella aiutavamo in casa mentre mio fratello quando diventò più grande seguì mio padre nel lavoro.”

Con la fine della seconda guerra mondiale, i due paesi sembravano destinati a tornare nell'anonimato se non fosse stato che il 9 Ottobre del 1963 un'ampia parte della facciata del Monte Toc franò all'interno del bacino idrico creato dalla società SADE, Società Adriatica di elettricità, che provocò l'esondazione dell'acqua contenuta all'interno della diga del Vajont.

Su quanto successe il 9 Ottobre e sulle ricadute a livello sociale e lavorativo tornerò più avanti.