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Nel trattare il disastro del Vajont mi sono avvalso della lettura del libero “La rabbia e

la speranza. La montagna, l'emigrazione, il Vajont” di Tina Merlin (2004) giornalista

per l'Unità. Ho reperito questo volume nella biblioteca di Longarone ove sono sceso il giorno 19/07/2018 per ricercare del materiale utile. Come ho precisato in precedenza non ho trovato alcunchè che potesse essere utile per controllare gli avvenimenti storici prima del diciannovesimo secolo ma inerente il disastro del Vajont esiste uno scaffale interamente dedicato a Longarone. Il testo di Tina Merlin mi è utile poiché, attraverso suoi numerosi articoli apparsi sull'Unità, sono riuscito a ricostruire le fasi precedenti al disastro vero e proprio e le considerazioni degli abitanti del posto riguardo la progettazione della diga. Leggendo questi articoli si viene a conoscenza dell'esistenza, ben prima della tragedia, di avvisaglie funeste in altri paesi non troppo lontani da Erto e Casso.

A parere dell'autrice la tragedia non fu una catastrofe accidentale come a posteriori l'azienda SADE e lo stato italiano tentarono di far credere all'opinione pubblica. Le avvisaglie erano già ben evidenti alla popolazione prima della tragedia.

Da sottolineare prima di tutto il grave danno al livello di economia locale di questa opera. Queste tre citazioni che seguono sono estratti di un articolo della stessa sull'Unità datato 26 Maggio 1955:

“I danni causati dalla Società elettrica all'economia montana sono nella nostra provincia incalcolabili proprio perchè gli impianti sono stati effettuati nei luoghi più floridi e più redditizzi, già così pochi nella nostra provincia, togliendo ai montanari, che vivono del raccolto dei boschi,dei pascoli e dei campi, l'unica risorsa di vita.” (MERLIN 2004: 30)

I danni invece alle struttre cominciarono ben prima della tragedia.

“A Vallesella di Cadore ad esempio, tutto il centro abitato subiva degli sconvolgimenti all'inizio della costruzione del grande bacino di Pieve di Cadore: case crollate, grosse screpolature nei muri, tutto un paese minacciato di distruzione dalle acque fatte convogliare nel sottosuolo, penetrando nella cantine e negli interrati delle case minacciandone la stabilità.” (Ibid.: 39)

Ecco i risultati su una comunità nel feltrino:

“Ad Arsiè di Feltre, un altro esempio: quasi tutta la terra coltivabile e un quinto di vigneti sono stati distrutti tanto che su una popolazione di 1600 abitanti, solo per 20 famiglie, ora, dopo l'intervento della Società elettrica,esiste la possibilità di rimanere nel luogo. Gli altri sono costretti a fare fagotto e ad andarsene in città lontane dell'estero.” (Ibid.: 45)

Il 24 Luglio 1956 Tina Merlin raccontava:

“Vallesella di Cadore è ora ridotto ad uno squallido paese. I guai del paese risalgono infatti a 7 anni fa quando la SADE, coinvogliando le acque del Piave costruì il lago artificiale che da Pieve di Cadore arriva fino a Domegge. La gente di Vallesella, frazione di questo ultimo comune, si vide arrivare l'acqua del bacino fino sulla soglia di casa. Un brutto giorno,una famiglia si accorse di strane fessure che si aprivano nella propria casa. Un altro giorno un tratto di terreno, sulla piazza, cedette, insaccandosi e creando una strana buca. In altre case ci si accorse di inclinamenti di pareti fin che un giorno la popolazione notò con stupefatto terrore di una lunga striscia nera, larga alcuni centimetri, che spezzava perpendicolarmente in due la piazza del paese.” (Ibid.:60)

Le avvisaglie di quello che sarebbe successo quindi erano evidenti ma nessuno da parte statale se ne occupò. Ad Erto però cominciarono le prime forme di resistenza ed è sempre la stessa Tina Merlin a suggerircelo:

“Ad Erto i 130 capi famiglia uomini e donne si sono consorziati per creare un organismo che abbia veste giuridica nel difendere i diritti e gli interessi dei singoli e della collettività del paese di fronte alle propotenze della SADE [...] Sono intervenute le famiglie direttamente interessate alla difesa dei loro beni minacciati dalla SADE che nell'egoismo della società elettrica intravedono un pericolo grave per la stessa esistenza del paese a ridosso del quale si sta costruendo un bacino artificiale di 150 milioni di metri cubi di acqua che un domani erodendo il terreno di natura franosa , potrebbero far sprofondare le case nel lago. Per di più il lago dividerebbe irrimediabilmente il villaggio dalle sue terre più fertili isolando oltre valle decine di case.” (Ibid.: 87)

Con un salto di qualche anno arriviamo al dopo disastro del Vajont.

Ho scelto di non citare passi dei primi giorni dopo il disastro per non appesantire e rendere pietistico il racconto. Il dolore delle famiglie smembrate fu immane e forse è meglio che a scendere su queste tragedie sia il silenzio. Ciò che più strettamente ci interessa in questo ambito di ricerca è l'effetto che questo disastro ebbe sui due paesi dal punto di vista sociale.

“La popolazione di Erto e Casso ha fatto le proprie scelte sul luogo dove vuole andare ad abitare. Un travaglio lunghissimo e difficile che ha avuto come risultato quello di smembrare la comunità ertana , in tre tronconi e ogni singola famiglia in diverse unità familiari, ognuna delle quali ha deciso per il trasferimento in un luogo diverso.

Gli abitanti di Erto e Casso erano in tutto 1684 alla data della tragedia, con 325 nuclei familiari stabiliti ad Erto e 83 a Casso. Con il referendum del '64 erano diventati 1140, avendo 642 di questi optato per Maniago, 343 per Erto a monte e 155 per Ponte nelle

Lo smembramento della comunità aveva avuto inizio e se sommiamo questo processo all'emigrazione all'estero o verso le pianure dei più giovani, abbiamo i principi di ciò che oggi vediamo come risultato, cioè una lenta e prolungata agonia di due paesi che fanno difficoltà a risollevarsi.