Capitolo terzo DISCOVER
3.7 Diciotto occhi in uno specchio
Sotto il vessillo della commistione di competenze e stili diversi, tralasciando la musica si torna all’uso delle mani in senso più ristretto per parlare di un progetto che ormai da otto anni consecutivi porta forme e cervelli creativi a sfidarsi sulla scena laghese.
Mediante una call, LFF invita nove giovani artisti da tutta Italia affinché in nove giorni riescano a offrire un racconto del festival con tutta la loro travolgente emozione visionaria. Vivendo nel festival, discorrendo con altri ospiti, la loro costituisce di fatto una residenza artistica diffusa, in cui confrontarsi sia riguardo alle tematiche sia ai metodi utilizzati, per dare libero sfogo ai pensieri e tramutarli in disegni analogici o meno. Inizialmente il progetto era pensato esclusivamente per videomaker, fotografi, sound designer e illustratori, ma negli ultimi anni questi ultimi hanno saputo dare un contributo unico e irripetibile, rendendo DICIOTTOCCHI un progetto altamente specifico, un fiore all’occhiello di LFF.
Il lago viene abitato allora da questi personaggi e dalle creature che essi portano con sé da tempo, come angeli custodi, insieme alle altre che vengono generate sul momento. Non essendo parte del mondo cinematografico, questi osservatori interni hanno così una possibilità privilegiata con cui offrire il loro stravagante punto di vista, cimentandosi nelle più disparate tecniche illustrative per far corpo ai loro pensieri, costruendo storie che vivono di fantasia.
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Tali favole diventano la cartina tornasole che svela la riuscita del progetto: impulsi provenienti dall’esterno che vengono elaborati e riproposti carichi di nuova personalità si fanno sintomi del festival stesso. Produrre un lavoro singolare con cui mettere in comunicazione l’intera comunità, di cui tale immagine ne diventa un’istantanea non è certamente un compito facile. Bisogna possedere uno spiccato senso di osservazione, bisogna saper leggere tra le righe delle conversazioni e dei fenomeni fisici che influenzano la vita degli abitanti, bisogna sapersi rapportare a diverse figure.
Il tutto a testimoniare che LFF non è solo film, ma sono molteplici gli ingredienti che ne creano la ricetta. È il sapiente equilibrio tra di essi a dar gusto a ogni occasione capiti durante quei nove giorni.
Nel 2015 il carattere relazionale era stato ancora più sottolineato da Lago Pulsart, esperienza importata da un festival di Schio, che prevede una sorta di residenza artistica, una manifestazione simbiotica tra un luogo e alcuni estranei che cercano di descriverlo. La pluralità dei linguaggi a disposizione dei personaggi prescelti fornisce già di per sé una formidabile base di partenza da cui poter osservare e sperimentare le dinamiche che saranno trasformate in opere, opere concentrate sulla partecipazione, sui sogni della comunità del paese. Volendo rispondere al quesito se sia possibile o meno convivere, dialogare e creare insieme, la modalità su cui si è puntato è proprio quella del condividere spazi e momenti: gli ospiti si fermano a parlare con gli abitanti fuori dalle case, discutendo del passato, delle fatiche del presente e dei punti interrogativi del domani, si offrono di aiutare artisti mentre stanno costruendo le loro opere, si riposano in spiaggia assaporando ogni minima variazione nell’aria e nei rumori dal bosco.
Il risvolto pratico di tutto questo affaccendarsi sta non in un semplice resoconto delle giornate del festival, ma risiede nei dettagli che gli eventi hanno prodotto e travolto, dando loro un filo a cui aggrapparsi, organizzandoli così da renderli più accessibili. L’arte contemporanea funziona proprio nel momento in cui abbandona la sua maschera criptica trovandosi davanti queste illustrazioni come frutto di un vissuto diretto, anche coloro che le osservano potranno convincersi di avere lo stesso potere immaginativo.
Quasi curando se stessi ognuno con i propri mezzi, in una sorta di terapia intima e capace al tempo stesso di un respiro collettivo.
In tal senso, l’artista ha il compito di raccontare l’oggi, le situazioni che vive e che lo circondano, ma ciò non gli impedisce di indagare il reale con una lente che pochi possono concedersi, coltivando il suo essere visionario, tramutando gli oggetti in altri oggetti,
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dando colori alle emozioni, avendo per amici figure fantastiche. Ed è esattamente questo che si prefigge DICIOTTOCCHI: immergendosi in profondità nella vita di paese, gli illustratori sanno ri-donare le stesse strade, gli stessi volti colmi di una linfa dal sapore completamente inaspettato. Le loro opere sanno dunque parlare una lingua familiare, possono essere capite e stimate per l’autenticità di quello che sono, soprattutto per gli abitanti più che per i visitatori esterni.
Si tratta di un progetto che più di molti altri proposti da LFF si prefigge di far attecchire con forza le proprie radici al lago e al borgo, perché sebbene gli ospiti possano succedersi di anno in anno, il luogo resta sempre lì, vede variare il livello dell’acqua, vede crescere i bambini e gli adulti, vede nuove estati da far fiorire. Certamente il rapporto simbiotico non avanza sempre con andamento costante, ma tale resta la caratteristica principe del progetto.
In alcuni momenti non è facile leggerlo sotto l’organizzazione dell’insieme, ma a ben vedere il fatto che si sia sviluppata una cosa flessibile e stabile al contempo come DICIOTTOCCHI è una prova tangibile del circolo virtuoso che genera il festival. Partendo dalla possibilità - qui molto sentita - di una contaminazione inventiva e trasversale delle arti tutte, LFF continua a sorprendere con altrettante innumerevoli collaborazioni, in cui il motto che governa sulle azioni è darsi da fare, concentrarsi sull’obiettivo escogitando mezzi e vie alternative per raggiungerlo, cosicché l’arte perseveri nel generare altra arte.