Capitolo terzo DISCOVER
3.4 Le sale e i film
Durante il festival l’intero paese si trasforma in una scenografia vivente. I cortili e le strette vie diventano le sale per le proiezioni, i palchi per le performance dei ballerini, intime hall per concerti e azioni sperimentali. Il tutto confluisce poi nella sala principale, verso cuore pulsante di ogni festival di cinema, che in questo caso è rappresentata da uno spettacolare unicum: in riva al lago, dalla superficie traslucida dell’acqua emerge la struttura di uno schermo, le cui immagini si riflettono nelle increspature creando atmosfere oniriche, ideali per sognatori di tutte le età.
È qui che avvengono anche le cerimonie di apertura e di premiazione, oltre che incontri e proiezioni speciali. Tutto sembra tramutare aspetto in questo luogo, che diventa capace di conferire luce e colori diversi a ciò che vi accade, alle persone che vi si soffermano, ai loro cuori. C’è chi osa lamentarsi delle sedie scomode, ma non appena ogni cosa si spegne
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e resta acceso solo lo schermo, ogni lamento scompare per lasciar posto a emozioni ben più travolgenti.
Poco distante, costeggiando il bagnasciuga, la sala del Lido è adibita ai cortometraggi firmati in Veneto. Per loro vi è un concorso a parte e in questo spazio si susseguono solitamente anche degli incontri con le numerose collaborazioni di Lago con altri eventi nella regione.
Il Vicolo Arco, invece, si trova all’estremo opposto del lago e in qualche modo apre l’ingresso più distante dalle sponde. Qui vengono proiettati tutti i diversi focus che di anno in anno vengono pensati dallo staff, oltre che presentazioni e talk con ideatori di progetti affini al festival.
L’ingresso principale è costituito però dal parco archeologico del Livelet, che con la sua struttura armoniosa ha saputo inserirsi in un contesto già molto specifico e particolare. Oltre a ospitare il bookshop, è la sede della radio e di moltissimi workshop che hanno luogo nei pomeriggi, insieme a performance sonore e di danza nel grande prato che lo circonda. A volte capita di ritrovarsi nel bel mezzo di uno di questi eventi senza neanche rendersene conto, con i ballerini che si muovono attorno a qualche persona, mentre il resto del pubblico osserva questi novelli protagonisti, divenuti scenografia integrante dello spettacolo. La medesima cosa può accadere tra le stradine del paese, dove prendono forma altrettante azioni, che nascono quasi dal silenzio, dall’inconsapevolezza dei visitatori di stare proprio nel luogo esatto di una performance.
La riuscita di tutto dipende da fattori non prevedibili dagli artisti, ma principalmente dalla risposta innescata dal pubblico. Il fatto di non avere confini prestabiliti e visibili, che separano un io da un altro sconosciuto che andrà a compiere gesti parimenti non noti, costituisce un rischioso banco di prova, sia per gli ospiti che si esibiscono sia per gli astanti, a cui viene idealmente richiesto il palesare le proprie emozioni.
In siffatti momenti, ci si rende conto di entrare a far parte di un fenomeno, dove la coscienza è legata all’essere coscienza di un qualcosa e la realtà circostante si manifesta con mano nell’istante in cui il soggetto si dimostra cosciente di essa (Farné, 2016). Seguendo la scia della fenomenologia husserliana, Farné prosegue affermando che l’asse portante dell’intero meccanismo è individuabile nel concetto di intenzionalità che, capace di superare il profondo orrido che disgiunge soggetto e oggetto, mondo e uomo, ne ritrova il legame fondante, che i due poli abitano allo stesso modo, con consapevolezza e responsabilità.
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La conoscenza diventa allora bidirezionale, in quanto la novella relazione tra mondo esterno e interno fa crescere una molteplice gamma di significati, che hanno origine dai diversi vissuti. L’intenzionalità sancisce il risultato di una connessione dove ciò che si mostra alla coscienza altro non è che un qualcosa, la cui conoscenza è a sua volta il termine ultimo di un procedimento che porta all’acquisizione di senso. Un significato che non è mai definito del tutto, ma che può continuamente accorparne degli altri.
Nel fenomeno si rende visibile il legame io-oggetto sviluppatosi mediante un processo intenzionale, costantemente aperto al mondo. Se, dunque, si sostituisce all’oggetto un secondo chi, un’altra personalità, la questione assume ancora un’ampiezza maggiore, poiché si colora di ulteriori possibilità causate dalla presenza di (almeno) due intenzionalità.
Le altre categorie dividono i cortometraggi in concorso tra le sezioni Internazionale, Nazionale e Nuovi Segni, sotto cui sono radunati gli short film sperimentali, di video arte, e Unicef, ovvero di animazione adatta ai bambini.
Più di tremila film si sono candidati per l’edizione scorsa, a cui è seguito un duro lavoro di selezione svolto da una parte del team. Certamente sarà stato commesso qualche errore nella scelta della rosa cinematografica di Lago, ma questo non significa una diminuzione del valore. Infatti, a posteriori potrà comunque offrire uno spaccato di tutto rispetto della scena filmica di questi anni, restando attuale con la sua carica di inquietudini e gioie sfrenate.
La scena musicale, altro aspetto emergente e sempre più peculiare di LFF ha la propria casa nel Cortile Carlettin, che chiude una viuzza. In genere ogni serata prevede due concerti, eseguiti da band che formano il programma di Lago Live Music.
Appena accanto vi è un’ampia zona in cui rilassarsi e mangiare qualcosa, dove molto spesso si accumula buona parte del pubblico, sebbene lo spazio non sia molto. La stessa cosa la si può notare nell’area col medesimo scopo all’interno del parco del Livelet. È molto interessante come aspetto. Anche i questionari somministrati ai visitatori durante le serate confermano questo andamento. Sembra che dunque la convivialità, il sentirsi parte di un gruppo racchiuso da mura accoglienti così come libero di passeggiare nel prato sia un fattore decisivo per la gente che approda a Lago.
Per quanto eterogena sia se si indaga sulla specificità di ogni partecipante, la comunità si riunisce per un unico scopo, quello di affermare “sono stato anch’io al Lago Film Fest!”.
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Questo diventa un importante segno di appartenenza che marchia un gruppo fino a qualche giorno prima inesistente. Chi per scappare dalla routine quotidiana, chi per curiosità, chi perché “finalmente accade qualcosa di diverso in questa zona”, chi per tornare a casa con qualcosa in più, chi per conoscere realtà e persone da tutto il mondo. Insomma, un caleidoscopico spettro di motivazioni fungono da stimoli per la partecipazione al festival (Abreu-Novais, Arcodia, 2013), che alimento proprio questa diversità può contare ogni anno un pubblico sempre più ampio e entusiasta. Negli anni Lago è riuscito proprio a far leva su questa intrinseca differenza, che con le dovute difficoltà iniziali, ha poi saputo svilupparsi in modo proficuo, cosa che perdura tuttora.