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DIECI ANNI DAL PRIMO SUFFRAGIO UNIVERSALE DIRETTO DEL PARLAMENTO EUROPEO.

Il contenuto di questo capitolo vuole continuare ad analizzare il percorso elettorale legato all’istituzione parlamentare europea con la metodologia adottata per le tornate precedenti, ma intende altresì tracciare una sorta di bilancio del primo decennio elettorale del Parlamento europeo analizzando gli aspetti che ne hanno caratterizzato il cammino, per molti versi accidentato, a causa della scarsa fiducia della classe politica nazionale e della conseguente scarsa partecipazione degli elettori. A quali risultati si è giunti dopo dieci anni di dibattiti, di campagne elettorali, di ricerca di dialogo tra rappresentanti nazionali ed europei? Quanta volontà e convinzione da parte della classe politica nazionale è stata presente nel cercare di costruire una via che portasse ad una vera rappresentanza sovranazionale, in grado di rimanere in contatto con i cittadini del proprio Paese? Interrogativi che inducono ad un’attenta valutazione di cosa abbia o meno funzionato, di quali elementi siano stati meno considerati oltre a quanto delle iniziative intraprese sia andato a buon fine. Il notevole lavoro messo in atto dalle forze politiche dei Paesi esaminati per affrontare una competizione, estremamente differente rispetto a quelle nazionali, è stato in grado di far comprendere agli elettori la portata delle elezioni europee? Come si colloca inoltre l’evoluzione istituzionale del Parlamento europeo all’interno del processo d’integrazione portato avanti nel decennio in esame?

4.1 Il dibattito politico nazionale (Regno Unito, Italia, Francia) 4.1.1 Regno Unito

Il governo Thatcher, successivamente ai risultati ottenuti durante l’incontro di Fontainebleau, in cui finalmente veniva risolta la questione della BBQ, proseguì la propria attività sottolineando l’importanza di un single and free

Le preoccupazioni legate alla PAC e al così detto regional aid, non abbandonarono comunque la Lady di ferro confermando la sua opposizione ad un maggiore rafforzamento istituzionale comunitario. La richiesta di stabilire una tabella di marcia, relativa alla costruzione di un vero e proprio mercato unico, scaturì durante il Consiglio di Bruxelles nel marzo 1985; compito assai complesso e delicato che venne assegnato al commissario britannico Lord Cockfield trovatosi immediatamente alle prese con un impegno verso numerose misure volte a ridurre i controlli verso capitali, merci e valute. Si sarebbe reso necessario per la costituzione di un vero e proprio mercato unico un ampliamento delle politiche comunitarie; la presenza di norme unitarie subordinate al controllo di Bruxelles avrebbe garantito il raggiungimento dell’obiettivo favorendo lo sviluppo di “pratiche comunitarie” indispensabili per il suo consolidamento. A questo proposito lo stesso Cockfield sottolineò l’esigenza di applicare l’IVA in modo uniforme in tutta la Comunità, ipotesi immediatamente respinta dalla Thatcher. Le idee per la realizzazione del mercato unico furono pubblicate da Lord Cockfield nel suo libro bianco “Il completamento del mercato interno” nel quale vennero riportate circa trecento proposte finalizzate a far diventare la CE “uno spazio senza frontiere”379, una Comunità europea da completare entro il 1992. “Un bel programma che, se si riuscirà ad attuarlo, ‘cambierà la nostra vita’ ”380.

Il libro bianco venne distribuito appena due settimane prima del summit di Milano, il che non lasciò ai governi nazionali il tempo necessario per poter rappresentare eventuali osservazioni. Durante il suddetto vertice Germania, Francia, Italia e Benelux proposero che il mercato unico fosse inserito in una più ampia serie di riforme. Ricevuto il rapporto del comitato Dooge, istituito, come si può ricordare, nel giugno del 1984, si prese atto della proposta di inserire il mercato unico all’interno di un nuovo trattato, il quale

379Il completamento del mercato interno: Libro bianco della Commissione per il Consiglio europeo (Milano, 28-29 giugno 1985), COM(85) 310, giugno 1985, http://ec.europa.eu/white-papers/index_en.htm#block_17 .

380 F. Papitto, Un’Europa senza dogane tra i temi del summit di Milano, “La Repubblica”, 16 giugno 1985. L’articolo apparve all’indomani della conferenza stampa in cui Lord Cockfield espresse le sue aspettative. “Cercar lavoro dove esiste ed è meglio remunerato, spostarsi da una parte all' altra d' Europa senza controlli, barriere doganali, permessi di soggiorno. E per le industrie, produrre potendo programmare per un mercato di 320 milioni di consumatori. E' il progetto che dovrebbe essere approvato dal prossimo vertice europeo di Milano. […]Sono novanta pagine zeppe di dati, di provvedimenti concreti da adottare, di scadenze. Dovrebbe essere il vademecum dei governanti della nuova Europa per i prossimi sei anni. Potrebbe essere invece il nuovo "libro dei sogni" della Comunità europea nella seconda metà di questo decennio. Il fatto è che non si fa una Comunità di liberi commerci se prima non si è preparata la Comunità della produzione”.

avrebbe rafforzato le istituzioni della Comunità conferendo, nello stesso tempo ai Paesi membri un’identità comune. Una conferenza intergovernativa (CIG) sarebbe stata la sede per la redazione del trattato; Margaret Thatcher fu dell’avviso che una riforma istituzionale non fosse necessaria, sostenendo che quanto già in essere si dimostrava adeguato alle necessità. Di fatto, dopo alcune accese discussioni, Bettino Craxi presidente del summit, tenendo conto della possibilità indicata nell’articolo 236 del trattato della CEE, secondo cui era permesso convocare per mezzo di un voto a maggioranza semplice, una conferenza intergovernativa, passò alle vie di fatto381. Appoggiato da tutti gli Stati membri, con esclusione di Gran Bretagna, Danimarca e Grecia, mise ai voti la proposta.

Come sostiene John W.Young, “Howe, who increasingly came to call Thatcher’s European tactics into question, believed that Craxi was tempted into using such tactics as a reaction above all to the sharp tone of British leadership”382. E’ pur vero che l’ipotesi di disertare la conferenza intergovernativa tentò il Primo Ministro britannico, ma il timore ancora presente di trovarsi in un’Europa a “due velocità” cancellò ogni dubbio. Il costante dilemma legato allo stare fuori dall’Europa, o farne parte, rendeva tormentato l’atteggiamento anglosassone che, tuttavia, dal 1985 si mostrò maggiormente propenso verso l’impegno per un futuro più europeo, tenuto anche conto di quanto, per il mondo della finanza presente presso la City, l’appartenenza alla Comunità si coniugasse con l’esigenza di interagire maggiormente nei mercati europei per creare attrattive verso possibili investimenti.

Nonostante lo strumento della conferenza intergovernativa venisse considerato capace di rafforzare l’assetto istituzionale comunitario, la Lady di ferro non poté trascurare le osservazioni a lei sottoposte dal Foreign

Office, che misero in risalto come molti rappresentanti del Cabinet fossero

381 Al termine del vertice venne redatta una relazione pubblicata successivamente sul bollettino della Comunità europea nella quale si legge “Mr Craxi's statement at the end of the European Council was in general terms: ‘Today's decision was a difficult and contested one, but it was eventually carried because of the logic of political will and what is possible under the Treaty. We would have preferred a general consensus and unanimity, but these were not to be had. I believe we shall work steadfastly to overcome the obstacles set before us and to achieve the necessary consensus to go forward together towards the objectives of European Union… In Milan new initiatives were born and new impulses are pushing out in different directions and into different fields. The European Council has avoided the dangers of paralysis and regression, and its decisions have not disappointed expectations but have given legitimate grounds for new hopes…’ ”

http://www.margaretthatcher.org/document/114157.

impegnati all’interno della Comunità, particolare che convinse la Thatcher a partecipare alla CIG che si sarebbe tenuta nel mese di settembre 1985, in occasione della quale venne presentata la bozza dell’Atto Unico europeo. Alcuni argomenti trattati nel progetto, che formalmente si inserivano nelle attività della Comunità europea, come la definizione del fondo regionale o la cooperazione in fatto di politica estera, già sviluppatasi nei primi anni Settanta e verso la quale il governo britannico mostrò il suo favore, contribuirono a far ritenere che l’Atto rappresentasse la maggiore revisione dei Trattati di Roma del 1957 “dressed in Euro-rethoric, but largely codified policies which had already developped since 1957”383. Il tema che tuttavia richiamò maggiormente l’attenzione, non solo da parte britannica, fu quello legato all’impegno per un mercato unico a partire dal 1992.

Il contenuto del documento contemplava altri potenziali allargamenti all’attività comunitaria verso il sociale, verso il rispetto dell’ambiente, oltre a prevedere un rafforzamento istituzionale nei confronti del Parlamento e una definizione dei poteri della Commissione. Un aspetto estremamente considerevole sembrò essere l’estensione del voto di maggioranza nel Consiglio dei ministri che avrebbe così ridotto il potere di veto britannico. L’approvazione dell’Atto non avvenne senza difficoltà; in Danimarca si procedette ad un referendum nel febbraio 1986, poiché nel mese precedente il Parlamento danese aveva bocciato il testo dell’atto, invitando il proprio governo a rinegoziarne i contenuti. Nell’impossibilità di far fronte ad una simile richiesta da parte della Comunità, fu considerata la soluzione del referendum, che registrò comunque il 56% di voti favorevoli. Intanto nel corso di una cerimonia tenutasi a Lussemburgo il 17 febbraio del 1986, nove Paesi firmarono formalmente il trattato. Soltanto l’Italia e la Grecia attesero il 28 febbraio per conoscere i risultati del referendum danese.

L’opinione diffusa nell’ambito della burocrazia britannica fu quella che l’Atto unico non rappresentasse una vera e propria minaccia verso la sovranità nazionale. Ciò che si lamentò fu piuttosto il fatto che l’istituzione del mercato unico sarebbe potuta avvenire senza l’armonizzazione delle politiche comunitarie in settori come l’IVA, la normativa sul lavoro e la libera circolazione dei cittadini, aspetto quest’ultimo che maggiormente

preoccupava il Primo Ministro. Lo spettro dell’Europa a “due velocità”, tuttavia, rispetto al quale la Thatcher non poté trascurare il comportamento di Germania e Francia che, pur non condividendo le stesse preoccupazioni del Primo Ministro, furono comunque attente a non lavorare verso una sua possibile affermazione, rappresentò la spinta per il consenso favorevole; le concessioni verso l’ambito istituzionale comunitario sembrarono giustificate in previsione dell’istituzione di un mercato unico, principale risultato sperato dai britannici. Gli ostacoli incontrati per l’approvazione dell’Atto Unico (ricordiamo l’entrata in vigore dal 1°luglio 1987) lasciarono, in ogni caso, un senso di diffusa delusione, Mark Gilbert evidenzia come,

[…] il Parlamento [europeo] approvò il trattato facendo passare una mozione in cui si affermava che la conferenza intergovernativa era stata “antidemocratica” tenendo a distanza il Parlamento per tutta la durata dei negoziati e dichiarò che l’AUE “non rappresentava affatto l’autentica riforma della Comunità di cui i popoli europei avevano bisogno”384.

Il sentimento di delusione non interessò particolarmente il governo britannico, che considerava il troppo parlare di unità europea pieno di “euro- frottole o euro-fesserie, un’adorazione di culto bizzarra all’altare di Jean Monnet, che per grazia di Dio non sarebbe mai arrivata fino alla transustanziazione nel corpo di una legislazione rivelata e significativa”385. Nel giugno 1987 Margaret Thatcher ottenne con chiari margini la sua rielezione a Primo Ministro e immediatamente la propria linea d’azione si orientò verso l’obiettivo previsto per il 1992. Da parte del suo ministro al Commercio e Industria, Lord Young, fu promossa una campagna informativa indirizzata al mondo dell’industria britannica; il pericolo di una maggiore integrazione anche in altri settori non doveva essere sottovalutato. La costante attenzione nei confronti della PAC si ripresentò in occasione dell’incontro a Bruxelles nel giugno 1987, incentrato sull’impatto che l’entrata della Spagna e del Portogallo avrebbe avuto sul futuro della Comunità. Nel corso del summit si propose di aumentare la spesa per gli aiuti regionali, iniziativa che provocò l’immediato rifiuto della Thatcher, la quale riportò l’interesse su una maggiore razionalizzazione della spesa per

384 M. Gilbert, Storia politica dell’integrazione europea, cit., p. 155. Le dichiarazioni del Parlamento europeo riportate nella citazione sono contenute nel “Bollettino della CE”, n. 1/86, p.10.

385 H. Young, This blessed plot, Macmillan, London, 1998, p. 338, in M. Gilbert, Storia politica dell’integrazione europea, cit., p. 155.

la PAC, politica che secondo la Thatcher era ancora carente di una necessaria disciplina.

La Lady di ferro, però dovette prendere atto che gli altri membri avrebbero potuto opporle che se vi fosse stato un aumento dei proventi comunitari, quanto stabilito a Fontainebleau sarebbe stato rimesso in discussione e i risultati ottenuti sarebbero stati compromessi. Questo pericolo fu affrontato durante un vertice speciale tenutosi a Bruxelles nel febbraio 1988 in cui, superati alcuni momenti di tensione, si concordò di non modificare quanto deciso a Fontainebleau e di accettare alcuni limiti posti nei confronti della PAC, tuttavia la Gran Bretagna dovette accettare il raddoppio della spesa a favore dei fondi regionali e sociali in aiuto dei Paesi del Mediterraneo. Quanto deciso a Bruxelles nel febbraio 1988 non rappresentò l’ultimo affronto che la Thatcher dovette subire, infatti nello stesso anno un altro vertice tenutosi, questa volta, ad Hannover nel mese di giugno, trattò il tema della moneta unica, idea già apparsa nella lontana conferenza de L’Aia nel 1969 e ripresentata all’interno dell’Atto Unico. D’altra parte era opinione comune che una volta istituito il mercato unico, la necessità di una moneta unica sarebbe stata inevitabile e avrebbe altresì contribuito a costruire un’economia stabile. Lo studio per la realizzazione del programma fu affidato a Jacques Delors, spesso definito dalla stampa anglosassone, come un fanatico federalista. Quali che fossero in realtà le sue idee non modificarono affatto l’opinione del governo britannico riguardo alla sovranità della Sterlina, pertanto fin dall’inizio Margaret Thatcher dichiarò la sua contrarietà sia alla moneta unica che all’ipotesi di una banca centrale europea, “she did not expect to see a European central bank in her lifetime ‘nor , if I’m twanging a harp, for quite a long time afterwards’ and she privately believed that the proposal would be opposed on the Delors Committee by the governors of the British and German Central banks”386.

Nigel Lawson, Chancellor of the Exchequer, cercò addirittura di proporre un progetto alternativo a quello di Delors, all’interno del quale era prevista una sorta di competizione tra le unità di moneta degli Stati membri all’interno della Comunità. In realtà il piano fu considerato come un tentativo di sottrarre a Delors l’iniziativa. Lo stesso Lawson dovette

riconoscere l’inevitabile necessità di accettare l’integrazione in Europa, così come Howe si dichiarò convinto che l’appartenenza alla Comunità fosse necessaria anche per tenere sotto controllo i prezzi all’interno del Paese. Il Primo Ministro, tuttavia mantenne il proprio disappunto nei confronti di un processo di integrazione che stava proseguendo su una direzione che non trovava la sua condivisione. Le sue esternazioni in proposito trovarono piena espressione nel famoso discorso di Bruges, tenuto il 20 settembre 1988, al punto da essere considerato a tutt’oggi come una pietra miliare del “Thatcherism”. Inizialmente basato su una bozza del Foreign Office, venne successivamente riscritto da Charles Power, consigliere della Thatcher in materia di politica estera. Suddiviso in otto parti - Britain and Europe,

Europe’s future, Willing cooperation between sovereign States, Encouraging change, Europe open to enterprise, Europe open to the world, Europe and defence, the British approach – ribadì nei contenuti

l’importanza di conservare l’identità nazionale nella costruzione di un’Europa più forte e più potente, sia da un punto di vista economico che da quello politico. L’ottica federalista, secondo il Primo Ministro britannico, puntava ad una spersonalizzazione degli Stati nazionali e non si rivelava necessaria per portare avanti un percorso che, iniziato negli anni Cinquanta non poteva ritenere in ogni caso l’Europa come creazione dei trattati di Roma - “Europe is not the creation of the Treaty of Rome. Nor is the European idea the property of any group or institution”387. Per alcuni versi l’atteggiamento della Thatcher fu paragonato a quello di De Gaulle, soprattutto riguardo alla possibilità di costruire una politica estera e di difesa in ambito comunitario anche se fino ad allora non vi erano stati sostanziali progressi, in parte a causa della sua insistenza nell’esercitare pressioni attraverso politiche incentrate su temi quali le sanzioni contro il Sud Africa388. La sua “Europe’s future” offriva una visione ben definita rispetto

a quella degli altri Stati membri, sostenendo l’appartenenza della Comunità a tutti i suoi membri,

“The European Community belongs to all its members. It must reflect the traditions and aspirations of all its members. [...] And let me be quite clear. Britain

387 Thatcher Archive, http://www.margaretthatcher.org/document/107332 : COI transcript, Speech to the College of Europe ("The Bruges Speech"), College of Europe Archive, video,http://www.margaretthatcher.org/document/113688 . 388 Cfr. J.W.Young, Britain and European Unity, 1945 – 1999, London MacMillan, cit.

does not dream of some cosy, isolated existence on the fringes of the European Community. Our destiny is in Europe, as part of the Community. That is not to say that our future lies only in Europe, but nor does that of France or Spain or, indeed, of any other member. The Community is not an end in itself. Nor is it an institutional device to be constantly modified according to the dictates of some abstract intellectual concept. [...] Europe has to be ready both to contribute in full measure to its own security and to compete commercially and industrially in a world in which success goes to the countries which encourage individual initiative and enterprise, rather than those which attempt to diminish them. This evening I want to set out some guiding principles for the future which I believe will ensure that Europe does succeed, not just in economic and defence terms but also in the quality of life and the influence of its peoples”389.

Il discorso di Bruges servì anche per ribadire il concetto di nuova Destra che abbinava l’importanza della sovranità nazionale alla possibilità di una economia di libero mercato. L’Europa, secondo la sua visione avrebbe dovuto rappresentare una famiglia di nazioni in grado di comprendersi l’una con l’altra, apprezzandosi reciprocamente, ma rimanendo legate alla propria identità,

“doing more together but relishing our national identity no less than our common European endeavour. Let us have a Europe which plays its full part in the wider world, which looks outward not inward, and which preserves that Atlantic community—that Europe on both sides of the Atlantic—which is our noblest inheritance and our greatest strength”390.

I toni del Primo Ministro chiari e decisi, se ad un prima impressione poterono dare l’idea di uno spiccato nazionalismo, rivelarono piuttosto una propensione internazionalista nel ritenere la CE un’espressione della cultura e dell’identità europee. I richiami alla storia e alla cultura britannica che trovarono riferimento perfino nella citazione della Magna Charta

Libertatum contribuirono a rendere il discorso ancor più incisivo, soprattutto

a giudizio della stampa conservatrice, ma nella sostanza riuscì anche a provocare margini di incertezza riguardo ad una visione europea quasi impossibile da mettere in pratica. Se difetti vi si possono riscontrare, non si può sottovalutare l’impossibilità di raggiungere l’obiettivo del mercato unico senza incorrere in una graduale cessione di potere alle istituzioni europee per la gestione stessa del processo di realizzazione. Ciò in cui la

389Thatcher Archive, COI transcript, Speech to the College of Europe ("The Bruges Speech"), cit. 390 Ibidem.

Thatcher avrebbe potuto sperare, nel caso in cui gli altri membri fossero stati ben decisi a continuare, sarebbe stato un lento procedere del percorso verso l’integrazione. E’ pur vero, tuttavia che anche ministri del calibro di Howe e Lawson cominciarono a nutrire qualche dubbio sulla lungimiranza