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LE PRIME ELEZIONI A SUFFRAGIO UNIVERSALE DIRETTO In questo capitolo si affronta la prima elezione diretta del Parlamento

2.1 Il dibattito politico nazionale sulle elezioni (Regno Unito, Italia, Francia)

2.1.1 Regno Unito

Le elezioni europee furono per il Regno Unito come “un sasso gettato dall’esterno nella pozzanghera della politica inglese: le onde potevano sembrare piccole, ma avrebbero raggiunto gradualmente gli angoli più lontani”129. Già dal dicembre 1979, infatti l’impegno e la convinzione degli europarlamentari inglesi si manifestò attraverso il voto che respinse il bilancio comunitario, voto che ebbe il duplice effetto di dimostrare, sia la conferma sul disaccordo nei confronti della spesa per la politica agricola, che la capacità di rafforzare l’autorità del Parlamento, la sua visibilità e credibilità. Essere eletti a Strasburgo consentiva di inserirsi in un nuovo gradino della politica britannica. I rappresentanti al Parlamento europeo provenivano da ambienti diversi: qualche uomo d’affari più noto, alcuni funzionari comunitari, pochi personaggi della politica locale che mai si

sarebbero sognati di raggiungere l’elezione al Parlamento nazionale e che, al contrario, attraverso la collocazione al livello europeo avrebbero messo in atto le loro potenzialità, colmando così un senso di frustrazione presente fino ad allora. Un’attività nuova che si faceva conoscere progressivamente attraverso le tematiche affrontate e che vide anche uno sconvolgimento delle iniziali idee portate avanti dai rappresentanti; qualche Conservatore convinto europeista divenne più scettico, così come alcuni Laburisti anti-

Marketeer si ritrovarono perfettamente a proprio agio nella partecipazione ai

lavori parlamentari.

Gli argomenti che caratterizzarono il dibattito politico nel periodo precedente l’evento elettorale europeo, oltre ad essere indirizzati verso l’individuazione del sistema elettorale, misero in evidenza alcuni aspetti legati sia all’atteggiamento pro o contro la CEE, che altri propriamente connessi al ruolo degli eletti, alla loro posizione rispetto al contesto nazionale, al loro trattamento economico.

Il dibattito politico inglese, prima di discutere la normativa da adottare per le elezioni europee, era stato molto tormentato a causa dell’indecisione sull’appartenenza o meno alla Comunità europea, motivo che poneva a monte difficoltà sostanziali per qualsiasi altro argomento afferente l’Europa. Il governo conservatore di Edward Heath, insediatosi il 19 giugno 1970, consapevole delle compromesse condizioni economiche del Paese, vedeva nell’adesione la possibilità di ottenere risorse per “riattivare” le aree depresse dell’economia nazionale e pertanto sarebbe stato disposto a non creare difficoltà.130

Gli Stati membri a questo punto approfittarono subito di una simile posizione ponendo condizioni che costrinsero il Paese ad accettare qualche concessione riguardante le importazioni di prodotti agricoli dai Paesi del

Commonwealth, i diritti relativi alla pesca e - punto dolente delle richieste -

la quantificazione del contributo inglese al bilancio della Comunità. Dopo numerose discussioni sul tema del bilancio, un’intesa venne raggiunta durante un vertice tra Heath e Pompidou nel maggio 1971 permettendo ai

130 Sir Roy Denman, alto funzionario del Foreign Office facente parte del gruppo dei negoziatori affermò che nessun passeggero di buon senso a bordo del Titanic avrebbe detto “entrerò nella scialuppa di salvataggio soltanto se è stata ben pulita, ben verniciata e dotata di rifornimento, cibo e bevande” Cfr. R. Denman, Missed Chances, Indigo, London

negoziati di proseguire fino al mese successivo, quando il Regno Unito assunse l’impegno di adeguare i prezzi dei propri prodotti alimentari a quelli comunitari entro il termine del 1° gennaio 1978, procedendo all’abolizione delle tasse sui prodotti comunitari attraverso quattro fasi a decorrere dal 1° gennaio 1973 fino al 1° giugno 1977. La ritrosia del Regno Unito ad entrare nella Comunità europea, considerata principalmente come “mercato comune”, ha rappresentato un tema estremamente vivace nell’ambito della politica nazionale fino alla metà degli anni Ottanta superando i limiti posti dall’appartenenza al proprio partito:

L’Europa infatti – scrive Gilbert - avvicinò marxisti a incalliti conservatori nazionalisti come Enoch Powell in una crociata contro l’ingresso nella Comunità. La questione accomunò inoltre la “ragionevole fascia di centro “ della politica inglese – i conservatori progressisti, i socialdemocratici e i liberali – tanto da far innervosire in particolare la leadership del Partito laburista131.

Ne è un esempio il fatto che negli ultimi tempi della campagna elettorale il Conservatore nazionalista Enoch Powell invitava a votare Labour i Conservatori contrari alla CEE.

Il 1° gennaio 1973 finalmente il Regno Unito insieme all’Irlanda e alla Danimarca entrarono a far parte della Comunità europea. Convocati a Parigi nel vertice per ribadire il rafforzamento della Comunità, i tre nuovi Stati membri si unirono agli altri nel redigere una dichiarazione che prevedeva il rispetto dei principi democratici, l’istituzione di una unione economica e monetaria, il sostegno a popolazioni più svantaggiate, oltre alla promozione del commercio internazionale, lavorando nella direzione volta a conseguire un’evoluzione nei rapporti con l’Europa dell’Est132.

All’interno della dichiarazione veniva inoltre considerato un rafforzamento delle istituzioni, le quali venivano invitate a redigere una relazione entro la fine del 1975, per indicare i cambiamenti necessari alla riconfigurazione del proprio assetto.

Nel febbraio 1974 la sconfitta del governo di Edward Heath a favore del laburista Harold Wilson provocò un effetto diretto sul “mercato comune”. Infatti il manifesto del Partito Laburista prevedeva la rinegoziazione dei termini di adesione, in considerazione di una riforma della Politica Agricola

131 M. Gilbert, Storia politica dell’integrazione europea, Laterza, Roma-Bari, 2012, p. 100. 132 Cfr. “Bollettino” CE n. 10/72.

Comune – PAC -, una riduzione del contributo finanziario del Regno Unito e l’assicurazione di condizioni migliori per i Paesi del Commonwealth. Era contemplato inoltre il voto per l’adesione alla Comunità non necessariamente attraverso un referendum, tenendo presente comunque l’eventualità di un ripensamento da parte del Regno Unito. Harold Wilson puntò sul timore degli elettori nei confronti dell’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari all’interno della CEE. Era consapevole inoltre che l’argomento Europa rappresentava una costante minaccia all’interno dello stesso governo per la presenza di un consistente numero di anti-marketeers, che rendeva il suo compito più difficoltoso. In più il fatto di collocare in una posizione “sospesa” la decisione di appartenere o meno alla Comunità nell’ipotesi di un eventuale ritiro, posto come una minaccia, era oggetto di aspre critiche da parte degli avversari, in quanto ritenuta dannosa per il Paese.

E’ vero anche che l’idea di rinegoziare fu messa in atto da Wilson al fine di consentire ai pro-Community di riaccendere il dibattito all’interno del

Cabinet e dell’opinione pubblica. Questo sottile modo di agire mirava ad

ottenere il gradimento di tutte le componenti; i risultati positivi della rinegoziazione avrebbero comunque dovuto assicurare al Regno Unito un ruolo di primo piano in Europa; per proseguire su questa linea si profilava, tuttavia la necessità di ottenere una maggioranza pro-market all’interno del

Cabinet. Incaricato alla rinegoziazione fu James Callaghan, nuovo ministro

degli Esteri, che accettò di impegnarsi in qualsiasi modo necessario per dare garanzie al proprio Paese e lo dimostrò durante il primo Consiglio dei ministri illustrando con toni accademici gli obiettivi della ridiscussione britannica, anche se poi l’iniziale atteggiamento fermo e apparentemente duro si sarebbe “ammorbidito”133; in particolare durante un incontro

speciale al Cabinet Callaghan esternò i suoi timori riguardo il futuro della nazione, sia all’interno che all’esterno dell’Europa, affermando che lo spazio per il Regno Unito nel mondo si stava restringendo134, ma l’obiettivo

133 Cfr. K.O. Morgan, Callaghan: a life, Oxford University Press, Oxford, 1997 e P. Kelner, C. Hitchens, Callaghan, the road to number ten, Cassell, London, 1976.

134 The National Archives – UK (d’ora in poi TNA – UK), meetings July – December 1974, CAB 128/55, testualmente l’esternazione ai suoi colleghi nel novembre 1974: "Our place in the world is shrinking: our economic comparisons

grow worse, long-term political influence depends on economic strength - and that is running ou. If I were a young man, I should emigrate".

di rafforzare la propria economia doveva essere raggiunto in ogni caso fuori o dentro l’Europa; Callaghan era consapevole tuttavia che l’appartenenza alla CEE sarebbe stata la base sulla quale costruire un simile rafforzamento. Nel frattempo i negoziati furono rallentati dalle elezioni presidenziali francesi, nel maggio 1974, a seguito della morte di Georges Pompidou, che videro la vittoria di Valéry Giscard d’Estaing e contemporaneamente dalle dimissioni del Cancelliere tedesco Willy Brandt a cui successe Helmut Schmidt.

In ogni caso da parte dei pro-marketeers veniva proposto di rinegoziare l’adesione alla CEE attenendosi ai trattati; gli avversari realizzarono troppo tardi che sarebbe stato meglio per loro insistere con gli emendamenti ai trattati i quali sarebbero stati eventualmente respinti da altri membri della CEE. Callaghan veniva intanto criticato all’interno del suo partito135, in quanto ritenuto responsabile di sviluppare una politica favorevole alla CEE in assenza di consultazioni all’interno del Cabinet, ma il suo atteggiamento voleva dimostrare una sorta di apertura mentale verso l’adesione del Regno Unito alla CEE attraverso un serio lavoro che impediva di fatto un completo coinvolgimento del Cabinet.

In questo vivace e contrastato clima politico, l’idea di un referendum prese piede per effetto delle pressioni esercitate da parte del ministro per l’Industria Tony Benn, il quale si dichiarava favorevole ad inserire una simile iniziativa all’interno del Manifesto laburista per le successive elezioni. Callaghan da parte sua era propenso a darsi ancora un anno di tempo per la rinegoziazione, al termine del quale indire un indispensabile referendum. Questo finalmente ebbe luogo nel giugno 1975 indetto dal Primo Ministro Harold Wilson, il quale intravedeva in questa iniziativa un’opportunità utile anche a spegnere i contrasti tra anti e pro- marketeers. La partecipazione alla consultazione fu inferiore rispetto alle elezioni nazionali (circa il 64%), sebbene le dispute precedenti fossero state numerose e soprattutto accese; l’allora ministro dell’Interno Roy Jenkins affermò che “La nazione discusse del suo futuro come non succedeva da molto tempo, almeno dalle elezioni del 1945”136. I risultati si dimostrarono a

135 Tra coloro che criticarono l’operato di Callaghan ricordiamo Barbara Castle, ministro della Salute e dei Servizi Sociali e Peter Shore, ministro del Lavoro.

favore della permanenza nella Comunità (circa il 67%) e lo stesso Jenkins, il quale si era notevolmente impegnato in tale direzione, oltre a guadagnare consenso, fu individuato da Helmut Schmidt per la presidenza della Commissione europea nel 1976, incarico che assunse nel giugno dello stesso anno, anche a seguito della fallita successione a Wilson come capo del Partito laburista, nonché Primo Ministro.

In realtà l’esito del referendum ebbe l’effetto di scoraggiare gli “euroscettici” consentendo invece ai “filoeuropei” di guadagnare nuova forza, ancorché compromessa all’interno dello stesso Partito laburista. La delusione di coloro che durante i primi anni Settanta si erano opposti all’adesione comunitaria provocò una sorta di umiliazione che andava “vendicata” cercando di addossarne la colpa a qualcuno. La campagna per il “sì” era stata organizzata e portata avanti dal movimento Britain in Europe, capeggiato da Roy Jenkins; questo movimento fu generosamente finanziato da grosse imprese sollevando un grosso dissenso da parte degli “sconfitti”, al punto che si parlò di vittoria illegittima o quanto meno virtuale. Inoltre gli

anti-marketeers accusarono i pros di comportamento sleale e contrario al

Partito, in quanto collusi con i Liberali e i Conservatori. Significativa la dichiarazione da parte di un delegato durante il Congresso Laburista del 1976: “If ever there was a cooked referendum, that was it. […]. In that referendum there was ten times as much money spent on putting the case for us as on putting the case against”137. Queste accuse, insieme alla crisi che in quel periodo stava attraversando la Sterlina, rafforzarono i sentimenti “euroavversi” all’interno del partito, in particolar modo in seno alla rappresentanza parlamentare laburista tra gli anni 1976 – 77; parte della responsabilità nel ravvivarsi di tali atteggiamenti è da ricondurre alla riluttanza del Governo nell’indirizzare la legislazione per le elezioni dirette del Parlamento europeo in modo da rispettare i tempi per la scadenza fissata nel 1978138. La corrente “antieuropeista” riteneva l’elezione diretta del Parlamento europeo capace di offrire maggiore potere alla Comunità, dirigendola verso il federalismo auspicato sia dai “filoeuropeisti” che dai movimenti per l’unità europea presenti nel continente; un parlamento sovranazionale eletto dai cittadini degli Stati membri avrebbe inoltre reso

137 D.Butler, D.Marquand, European elections and British politics, cit., p.46.

più difficile un eventuale ripensamento sulla decisione presa a seguito del referendum del 1975. I timori appartenenti a questa frangia del Partito Laburista sfociarono nel considerare la possibilità che a seguito delle elezioni europee si venisse a creare una situazione di spaccatura netta, attraverso la costituzione di un gruppo allargato di Laburisti europei, indipendenti anche dal punto di vista delle risorse economiche, da quelli legati alla Transport House139. C’è da dire che preoccupazioni simili

avevano già serpeggiato all’interno del Partito fin dal 1931140, legittime

quindi le perplessità verso elezioni che avrebbero interessato addirittura la sfera sovranazionale.

Da parte loro i laburisti favorevoli al consolidamento della Comunità europea intravedevano nelle elezioni, oltre agli aspetti propriamente legati alla membership comunitaria, un modo per legittimare l’appartenenza del Partito alla CEE riuscendo ad ottenere maggiore popolarità o in ogni caso meno impopolarità141, sia nei confronti dell’opinione pubblica che degli stessi attivisti del Partito. Le contrapposte posizioni presenti tra i Laburisti ebbero tuttavia peso diverso nell’affrontare il tema delle elezioni europee. Di fatto i “filoeuropei” subirono un indebolimento considerevole dopo l’abbandono di Roy Jenkins per l’incarico di presidente della Commissione europea; infatti nonostante al referendum avessero superato di gran lunga gli oppositori, pochi di essi erano veramente convinti sulle elezioni europee; accettavano di rimanere all’interno della CEE, ma consideravano la Comunità come un’associazione di Stati membri che non necessariamente sarebbe dovuta diventare un’entità sovranazionale, distaccata dai Paesi che

139 Sede sindacale delle associazioni Laburiste dei lavoratori del trasporto (Transport and General Workers' Union - T&G), e originariamente del Partito Laburista, dei Congressi sindacali. Il termine "Transport House" era un tempo

metonimo sia per Quartier generale del Partito Laburista che per il T&G.

140 Gli ultimi anni del XIX sec. videro un intenso diffondersi di gruppi, leghe e movimenti politici e sindacali, alcuni dei quali di ispirazione vagamente marxista. Nel 1893 James Keird Hardie fondò l'Independent Labour Party (Partito indipendente del lavoro), di ispirazione socialista. Il nuovo partito cercò con successo di orientare le organizzazioni sindacali inglesi verso una propria autonoma rappresentanza partitica, che cominciò a configurarsi con il Labour

Representation Committee del 1900 e, sei anni dopo, a seguito del successo elettorale del 1906, con la fondazione del

Labour Party (Partito laburista) in cui l'Independent Labour Party finì per confluire, pur mantenendo una posizione critica “da sinistra”, orientata sulla base dell'ideologia marxista. Fino alla prima guerra mondiale il Partito laburista, sotto la guida di Ramsay MacDonald, rimase sostanzialmente un gruppo di appoggio dell'ala sinistra del Partito liberale; successivamente seppe aumentare la sua forza autonoma, tanto da ottenere una rappresentanza parlamentare, in grado di esprimere nel 1924 il primo governo laburista. Nel 1931 MacDonald uscì dal movimento, per dar vita al National Labour Party favorendo all'interno del laburismo un processo di dibattito e approfondimento teorico sui temi economici e politici della lotta alla crescente disoccupazione, legata alla crisi del 1929 e della strategia contro il pericolo fascista.

http://www.labour.org.uk/history_of_the_labour_party.

ne facevano parte; pertanto, poco attratti dall’evento elettorale, accettarono comunque che il Parlamento europeo dovesse essere eletto a suffragio universale diretto, ma lo fecero senza entusiasmo: l’importante era tenere unito il Partito sull’aspetto della politica economica. L’incertezza anglosassone per la completa adesione alla Comunità europea ha provocato un singolare dibattito politico nazionale. I conflitti interni di partito hanno confermato posizioni trasversali che si riallacciano ad una cultura nazionale profondamente convinta che una realtà sovraordinata avrebbe rappresentato un indebolimento della propria autonomia, non offrendo in cambio vantaggi che potessero colmare il vuoto di potere ceduto in cambio della propria adesione.

Se l’aspetto della politica economica poteva suscitare interesse, le elezioni parlamentari europee fecero riemergere tutte le perplessità preesistenti ed evidentemente mai superate, la presenza di pros e antis all’interno dello stesso partito rivelava una divergenza che superava l’ideologia. In particolare, il Partito Laburista “euroscettico”, rassegnato ad accettare le elezioni europee, si impegnò affinché il minor numero di Laburisti filoeuropei venisse scelto per essere candidato a Strasburgo: per ottenere questo risultato venne redatto un Manifesto dai toni talmente antieuropeistici che difficilmente l’altra componente di partito avrebbe potuto riconoscersi all’interno di esso o, ancora peggio, una volta eletti, comportarsi da filoeuropei. In ogni caso la sinistra inglese auspicava di utilizzare l’appartenenza alla Comunità come un’arma per sconfiggere la destra e, come evidenziato da David Butler e David Marquand,

[...]it was a good tactics from their point of view to prepare party opinion for the post-mortem which they expected to follow the elections by fostering anti – Market opinion within the party, and by doing all they could to put the pros on the defensive. A vigorous anti-European manifesto would serve a useful purpose in that regard as well142.

Il Manifesto rappresentava un importante documento anticomunitario. Nel suo contenuto ricorrevano accuse contro i comportamenti a favore della CEE adottati dai pros nel corso della leadership parlamentare oltre ad una serie di punti chiaramente incompatibili con i principi sui quali la Comunità poneva le sue basi; tra questi la possibilità in un futuro che il Partito

Laburista ne promuovesse il ritiro del Regno Unito. I toni utilizzati definivano la PAC come una “costosa farsa” e altrettanto duramente ritenevano la membership europea causa dell’indebolimento del diritto britannico ad un “autogoverno” democratico. I Laburisti promettevano che il Partito avrebbe ostacolato qualsiasi spostamento verso il federalismo, insistendo pertanto che il Parlamento europeo non necessitasse di acquisire ulteriore potere. Nel Manifesto si chiedeva persino di emendare l’European

Communities Act143 al fine di restituire alla House of Commons il potere di

decidere se applicare o meno qualsiasi direttiva o decisione europea.

Tutte queste proposte portarono i Laburisti filoeuropei ad individuare un’azione di delegittimazione del Manifesto.

Il risultato fu la costituzione di due fazioni che all’interno del Partito erano discordi riguardo alla questione europea; da una parte il Labour Safeguards

Committee, dall’altra il Labour Committee for Europe, entrambi giocarono

comunque un ruolo importante alternando temi contrari e favorevoli al processo d’integrazione, vivacizzando inevitabilmente il dibattito politico. Dal canto loro i Conservatori affrontarono il tema delle elezioni dirette in modo più favorevole, considerandole piuttosto come un’opportunità. Il referendum del 1975 aveva consolidato la loro posizione all’interno dell’Europa; inoltre più la sinistra Laburista osteggiava le elezioni, più i Conservatori si mostravano favorevoli e naturalmente non solo alle elezioni, ma allo stesso processo di’integrazione.

In ogni caso, sebbene il parlare d’Europa fosse un’attitudine conservatrice, l’argomento non si poteva di certo definire popolare. Il timore che i Conservatori eletti a Strasburgo potessero essere troppo assorbiti dall’attività parlamentare sovranazionale provocò un effetto totalmente differente rispetto ai Laburisti, ma prevalse l’idea che fosse “Inutile temere senza conoscere la realtà”, e di conseguenza molte sezioni del Partito si recarono presso il Parlamento europeo per vedere realmente di cosa si sarebbero dovuti interessare. La partecipazione ad alcuni briefing illustrativi contribuì ad offrire quella dose di reale consapevolezza necessaria ad affrontare la potenziale candidatura.

143 Legge con la quale la Gran Bretagna ha aderito alla Comunità Europea e che espressamente prevede la possibilità

La situazione politica presente prima che le elezioni europee fossero