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Una riflessione va dedicata alla costituzione, lenta ed inarrestabile, di diversi Sistemi Sanitari Regionali che sostanzialmente rendono l’accesso alle cure non solo differente, ma soprattutto diseguale. Le Regioni finanziano, ormai dal 1998, i rispettivi servizi sanitari tramite le imposte regionali, la perequazione statale e le ulteriori risorse attinte dal bilancio regionale e dalle imposizioni di imposta61. La diversa capacità fiscale, in funzione di differenti livelli di sviluppo economico (compresa la presenza di lavoro sommerso ed evasione fiscale), determina necessariamente una diversa disponibilità di risorse (al di là poi dell’uso che se ne possa fare.) Secondo i dati raccolti62 da Mapelli (2012), il prelievo fiscale nel 2009 copriva mediamente il 46,5% del fabbisogno di spesa per i Lea: in Lombardia la copertura era del 61%, in Emilia Romagna il 46%, in Lazio il 59%, in Veneto il 49% e nelle regioni del Nord in media il 55%. Al Sud, invece, la media era il 35%, e in Campania era il 17%, in Puglia il 16%, in Calabria il 7%, in Basilicata l’8%. Il Fondo perequativo, alimentato dal gettito Iva, allora colmava la differenza fino all’81% in Campania e il 92% in Calabria. Nonostante tali trasferimenti di fondi, molte Regioni del Sud hanno conti in deficit e tutte, salvo la Basilicata, sono sottoposte a piani di rientro. In più, tale indebitamento si deve anche al deflusso di risorse verso le altre Regioni a causa della mobilità sanitaria63. Per molte Regioni, soprattutto nel Mezzogiorno, la sanità è la prima industria per numero di occupati e creazione di fatturato; la spesa pubblica pro capite è in linea di massima allineata tra le Regioni, mentre varia il mix pubblico-privato nella produzione dei servizi sanitari: nel Ssn la Valle d’Aosta è la regione con la più alta percentuale di servizi a gestione pubblica (75%), e seguono 11 regioni del centro-nord, tra cui il Veneto, con percentuali tra il 65-75%; Lombardia e Lazio hanno invece solo il 57% di produzione pubblica, ricorrendo in gran misura al privato accreditato e sono anche le realtà con la più alta offerta di servizi privati, a pagamento o convenzionati. Umbria, Toscana, Basilicata, Sardegna, Valle d’Aosta e Bolzano hanno una scarsa presenza di privati, mentre Emilia- Romagna, Sicilia, Campania e Veneto sono caratterizzate da un mix equilibrato tra pubblico e privato. Inoltre, il mercato privato predilige l’area convenzionata rispetto a quella del libero concorrenza, anche se in Emilia-Romagna e Toscana le quote di presenza nelle due aree si equivalgono. Rispetto alla creazione di aziende ospedaliere, le Regioni hanno adottato strategie diverse, e così alcune non ne hanno costituita

61 I Lea sono finanziati dalle prime due fonti (imposte regionali e perequazioni statale), invece le altre servono per le

prestazioni aggiuntive date dalla Regione o per ripianare i debiti.

62 Fonte: Elaborazione su dati del Ministero della Salute, Agenas, Istat. 63

Dal Sud si muovono verso le Regioni del Centro-Nord annualmente circa 250.000 pazienti e conseguentemente escono dalle casse regionali quasi 1 miliardo di euro. A tal proposito, va sottolineato che la mobilità interregionale è compensata secondo una tariffa unica convenzionale a costo pieno, più elevata del costo variabile di produzione dei ricoveri importati; ogni Regione si affida ad una rete ospedaliera calibrata sul proprio fabbisogno di ricoveri e la produzione di casi importati porta solo un aumento dei costi variabili (farmaci, costi alberghieri) e non dei costi fissi di apparecchiature e personale; le Asl e le Ao sono incentivate ad importare pazienti, anche perché gli eventuali ricavi non rientrano nei tetti di finanziamento.

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nessuna (Valle d’Aosta, Abruzzo, Molise, Trento e Bolzano), altre davvero poche, altre (Sicilia) un numero tale da arrivare allo scorporo di tutti gli ospedali dalle Asl, come avviene in Lombardia. Tra il 1993 e il 1995 si sono configurati diversi modelli istituzionali di Asl che contemplano sia la totale integrazione che la completa separazione degli ospedali e, conseguentemente, diversi tipi di rapporti e di concorrenza. Dopo tre riforme sanitarie, si contano oggi 21 modelli regionali, riconducibili tutti ad alcuni idealtipi; le diverse scelte, in ragione del particolare contesto socio-economico o degli orientamenti più o meno favorevoli alla concorrenza (Lombardia), hanno costruito l’intero sistema regionale come integrato o separato, in un continuum di situazioni intermedie (Mapelli, 2012): integrato ( > 66% di posti letto a gestione diretta delle Asl), quasi-integrato (tra 40-66%), quasi-separato (tra 20-40%), separato (< 1%).

La Valle d’Aosta, Abruzzo, Molise, Trento e Bolzano - realtà di piccole dimensioni - hanno sistemi integrati come lo stesso Veneto in cui sono presenti solo 2 Ao (Padova e Verona); 10 Regioni sono caratterizzate da sistemi quasi-integrati, ma con uno scarso numero di Ao, mentre 4 (Friuli V.G., Lazio, Campania, Calabria) hanno sistemi quasi-separati, per la presenza importante del privato-accreditato (salvo il Friuli V.G.), ed un numero cospicuo di Ao, finanziate però dalla Regione (separazione funzionale); la Lombardia, salvo una comunità montana, si affida al sistema separato64. Nel Ssn sono presenti contemporaneamente diversi modelli organizzativi e di governance che possono essere così elencati: modello burocratico, modello accentrato, modello contrattuale. La visione dei rapporti tra Regione e Aziende sanitarie, la condivisione o imposizione degli obiettivi aziendali, l’esistenza di molteplici e distinti strumenti di governo (a livello centrale e periferico) e la stipula di contratti interaziendali (Asl-Ao e Asl-case di cura) sono tutti requisiti che diversificano i modelli di governance così come sono stati prima articolati.

Un modello burocratico, comune nelle Regioni del Sud (salvo Basilicata e Sardegna), si distingue per una visione gerarchica dei rapporti tra Regione e Aziende, governate quest’ultime tramite leggi, delibere, circolari, sanzioni e con una insignificante condivisione delle decisioni. La cultura aziendale non si è radicata nelle Asl, prive dunque di strumenti di controllo manageriale, mentre le Regioni finanziano le Ao e i rapporti con i privati sono regolati da delibere regionali e tetti di spesa.

Più vicino alla “riforma ter”, tranne negli accordi contrattuali tra Asl-Ao, è il modello accentrato che si caratterizza per la disponibilità di risorse, strumenti e capacità di governo; la regione si presenta come la holding operativa che controlla le aziende sanitarie definendo obiettivi, standard, tetti di spesa e attività anche grazie ad una logica di sistema e di cooperazione tra tutte le componenti, pubbliche e private; il Veneto ha adottato questo modello nella sua forma più compiuta.

Quello contrattuale è il modello che meglio risponde alle istanze della “riforma Bindi”, cercando di conciliare stabilità e crescita del sistema sanitario, equilibrio nelle sue componenti (ospedale-territorio), partecipazione e collegialità delle decisioni tra Regione e aziende sanitarie. Operativo soprattutto dove vi sono le Ao separate dalle Asl, è un sistema che necessita di una forte capacità centrale di produrre strategie e

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Solo in 4 Regioni (Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana e Umbria) la separazione degli ospedali ha concretizzato la stipula di accordi contrattuali con le Asl; in 12 delle 16 Regioni il finanziamento delle Ao proviene direttamente dalle Regioni (in base ai Drg erogati alle Asl).

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di una cultura di budgeting e controllo direzionale, agevolando rapporti di tipo partecipativo anche in vista degli obiettivi; Lombardia, almeno dal 2003, Emilia-Romagna e Toscana hanno adottato questo modello. Questi pochi dati confermano, tra le altre cose, le preoccupazioni espresse all’inizio del paragrafo quando si è ravvisata nell’evidente diversificazione all’interno del Ssn una conclamata spaccatura nel territorio nazionale dove, di fatto, l’acceso alle cure è diseguale (Mapelli, 2012).

Diseguaglianza confermata anche dall’ultima indagine sulla sanità italiana condotta dall’Istat nel 2013 e ulteriormente esasperata dalla particolare congiuntura economica.