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Alla ricerca di una definizione: le esternalizzazioni nella sanità

Le risorse della Sanità in Italia

2.6 Alla ricerca di una definizione: le esternalizzazioni nella sanità

Sembra alquanto comune sostenere che non vi sia un’unica definizione condivisa di outsourcing, termine spesso preferito a quello italiano di esternalizzazione, anche se in generale ci si riferisce a questa scelta strategica come alla volontà di affidare all’esterno un processo o un’attività operativa che inizialmente veniva gestita all’interno. De Rose esprime il concetto descrivendo l’outsourcing come quel processo che

porta all’acquisizione da un fornitore esterno di prodotti o servizi attualmente risultanti dalla diretta attività produttiva e di gestione interna dell’azienda151

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In base a calcoli di convenienza in termini di costi e qualità del prodotto, si decide se e quali attività, o sezioni di attività, possano essere realizzate e gestite da fornitori esterni che rivestono tradizionalmente il ruolo di partner più o meno strategici, in quanto la decisione di dare alcune attività in outsourcing implica una durata del rapporto di fornitura piuttosto lunga, e sottende la creazione e l’osservanza di una relazione fiduciaria con i partner.

Inoltre, la presenza sul mercato di operatori adeguatamente professionali e specializzati è, insieme ad una decisa volontà del management societario, una condizione necessaria perché si sviluppi tale tecnica di gestione la cui introduzione all’interno di un’azienda può determinare problematiche organizzative e incontrare resistenze di vario genere a tutti i livelli della struttura gerarchica aziendale oltre che sindacale. In virtù della sua complessità e potenzialità, l’outsourcing si è imposto come strumento manageriale - di carattere tattico e strategico – e, secondo autorevoli osservatori, rappresenterà nei suoi diversi ambiti e nelle sue varie applicazioni un percorso necessario per la sopravvivenza sul mercato delle imprese, senza distinzione di industria, dimensione o missione aziendale.

L’esternalizzazione delle attività considerate non strategiche costituisce un passaggio imprescindibile per un’azienda destinata a snellirsi (alleggerirsi) allo scopo di competere o sopravvivere in un Mercato sempre più globale dove la flessibilità della produzione è divenuta una necessità.

In ragione di ciò, l’esternalizzazione è uno degli esiti dell’organizzazione del lavoro toyotista che mira ad aumentare la produttività del lavoro in una fase storica dove il taglio dei costi è fondamentale per la

151 Cfr. L. J. De Rose, In the disciplines of outsourcing: a panel discussion, The Outsourcing Institute, 2000, cit. in F.

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riproduzione del capitale. Azzeramento delle scorte attraverso il “just in time”, la riduzione dell’eccedenza di manodopera diventano i principali obiettivi per un’organizzazione del lavoro che mira ad intensificare al massimo la prestazione lavorativa e a ridurre il lavoro retribuito152.

E’ questa struttura reticolare, di rischi globali distribuiti, dove ciascuna impresa, piccola o grande che sia, è sottoposta a pressioni incessanti (sui prezzi, sulla qualità, sulla riduzione dei costi, sui tempi) da parte d’una cascata di altre imprese operanti in ogni parte del mondo, ciò che motiva le imprese, siano esse piccole, medie o grandi, a richiedere una maggior quantità di lavori flessibili tanto in termini di occupazione quanto in termini di prestazione. La flessibilità è figlia primogenita della globalizzazione. Lo è, si badi, non nel senso che esiste un processo universale chiamato globalizzazione al quale forzatamente le imprese debbono forzatamente adeguarsi, ricorrendo, tra gli altri, allo strumento del lavoro flessibile. Ma piuttosto nel senso che la globalizzazione è derivata dalla ricerca d’una complessiva riorganizzazione della produzione secondo le linee sopra riassunte, che per un verso premia le imprese che sanno usare la maggior quota di lavoro flessibile e per l’altro impone di ricorrere a quest’ultimo al fine di ridurre i rischi di interdipendenza.153

Per quanto riguarda le esternalizzazioni nella pubblica amministrazione, il ricorso a tale strategia rientra nel generale percorso di trasformazione delle logiche di erogazione di servizi pubblici che da qualche anno sono in linea con quelle proprie dei settori privati, legate a concetti di aumento dell’efficienza e di riduzione dei costi.

In generale, la Pubblica Amministrazione, coinvolta in un processo di riorganizzazione, ricorre sempre più all’outsourcing come soluzione strategica, anche a fronte di un processo di integrazione europea che sta comportando una serie di mutamenti rilevanti all’interno delle singole amministrazioni nazionali, con l’adozione di politiche di privatizzazione, liberalizzazione e trasformazione degli assetti strutturali. Le recenti leggi finanziarie, leggi anche Patto di Stabilità, hanno avviato un processo di riorganizzazione e razionalizzazione della PA con lo scopo evidente di aumentare l’efficienza e ridurre i costi154.

L’outsourcing nella PA si deve alle necessità relative ad adempimenti da rispettare o da carenze di organico e, nello stesso tempo, a valutazioni ex ante dei costi-risultati o costi-benefici e - conseguentemente si argomenta - alla necessità di alzare i livelli di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa: tale tipo di

outsourcing vedrebbe anzitutto esternalizzate le attività legate agli acquisti, alla manutenzione, alla gestione

dei servizi accessori.

Dunque, la PA opterebbe per l’esternalizzazione al fine di disporre di risorse utili a concentrare lo sforzo su attività core e rispondere in tempi rapidi all’innovazione tecnologica e all’accelerazione della riorganizzazione della struttura che, va sottolineato, risente anche del cosiddetto “blocco delle assunzioni”. La selezione dei servizi da esternalizzare riguarda singole aree di attività; in certi casi, essa è legata intimamente all’impatto che la tecnologia ha sulla modalità di produzione di alcuni servizi e infatti prevale la

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Cfr. F. Coin, Il produttore consumato, cit., p. 80.

153 Cfr. L. Gallino, Il lavoro non è una merce., cit., p. 37.

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gestione delle reti informatiche, i centri di elaborazione dati e la gestione degli archivi: da ciò risulta più facile esternalizzare aree di attività integrate invece di singole attività.

A tal proposito, l’outsourcing in sanità ha inizialmente interessato i servizi non clinici e ha visto una sua prima espansione in servizi “periferici” come la sicurezza, la lavanderia, la gestione dei servizi di ristorazione, i servizi di pulizia, di parcheggio, i Centri Unificati di Prenotazione (CUP) e i call-center. Secondo Macinati, tra i servizi esternalizzati, sicuramente più alta è l’incidenza dei servizi accessori, considerati quindi di scarsa importanza strategica, mentre i servizi diagnostici e clinici verrebbero esternalizzati più raramente; tra quelli esternalizzati ci sono i test di laboratorio, l’assistenza infermieristica e la sterilizzazione.

In modo simile a quanto discusso per la PA in generale, anche per la Sanità le esternalizzazioni vengono giustificate con la necessità di ridurre i costi ed aumentare l’efficienza e con considerazioni di carattere strategico, relative alla scelta di esternalizzare attività non-core e di focalizzare le risorse su quelle aree in cui è maggiore il vantaggio competitivo.

Quindi, le pressioni per il contenimento della spesa sanitaria avrebbero portato i gestori di servizi medico- sanitari a esternalizzare servizi e attività precedentemente gestiti internamente, facendo leva sulle economie di scala e sull’expertise dell’outsourcer.

In tal senso, l’efficienza verrebbe raggiunta mediante accordi con partner dotati di competenze distintive nelle funzioni esternalizzate, nonché mediante la flessibilità e le capacità innovative che possono essere raggiunte con l’accesso alle tecnologie e conoscenze del fornitore.

In riferimento alla riduzione dei costi, però, i benefici non sempre rispondono alle aspettative dei manager e hanno scarsi effetti positivi sulla performance finanziaria degli erogatori di prestazioni sanitarie155.

Non mancano perplessità nemmeno in merito alla qualità dei servizi garantita dai fornitori in quanto sarebbe sempre presente il rischio di una perdita di qualità nelle prestazioni, soprattutto in caso di mancato rispetto degli standard da parte degli outsourcer o di errata definizione delle specifiche al momento del contratto156. Un ulteriore fattore di analisi, interessante ai fini della mia ricerca, è la problematica distinzione tra attività core e non-core da esternalizzare e, dunque, il rischio palese che l’azienda sanitaria esternalizzi competenze critiche per il successo dell’organizzazione e comunque improduttive157

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La questione andrebbe approfondita con adeguati strumenti di analisi, soprattutto rispetto al reale impatto delle esternalizzazioni sui costi e sulla qualità dei servizi; il mio intento, come in parte espresso dal titolo del paragrafo, si è però limitato a fornire una sintetica descrizione dell’esternalizzazione partendo proprio dalla problematizzazione della sua definizione.

155

Cfr. M. S. Macinati, Outsourcing in the Italian National Health Service: findings from a national survey, “International Journal of Health Planning and Management” 23 (1), 2008, pp. 21-36.

156 Tale aspetto è stato ricordato durante l’intervista all’Ing. Bizzarri, responsabile del Servizio Programmazione e

Comunicazione dell’Azienda Ulss 9, che a riguardo mi ha mostrato un documento redatto dall’Azienda e intitolato

Monitoraggio e controllo per i servizi in outsourcing: il modello dell’Azienda Ulss 9 Treviso.

157 Cfr. V. Roberts, Managing Strategic Outsourcing in the Healthcare Industry, Journal of Healthcare Management

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Semplificando, alcuni fraintendimenti potrebbero insorgere se un osservatore dovesse maliziosamente chiedere a chi di competenza (politica o tecnica?!) come mai si stia evidenziando una tendenza ad esternalizzare servizi sanitari, altrimenti definibili core (o “produttivi”), in netto contrasto con quanto inizialmente “assicurato” per giustificare tale strategia aziendale.

E’ legittimo scorgere nella natura caotica ed incrementale di questo processo un’inevitabile deriva verso la privatizzazione?

Tale interrogativo mi ha spinto ad indagare il processo delle esternalizzazioni all’interno dell’Azienda Ulss 9 di Treviso, scelta solo per motivi di residenza; ne ho tentato una ricostruzione, seppur parziale, della storia attraverso i documenti ufficiali e rintracciato le motivazioni, più o meno ufficiali, mediante interviste ai testimoni privilegiati (dirigenti, lavoratori, sindacalisti).

Un’istituzione pubblica ben disposta a “socchiuderti la porta”, in nome ovviamente del cosiddetto “principio di trasparenza”, ha reso l’esperienza per certi versi kafkiana. Ma anche queste difficoltà, da leggere come dato del quadro complessivo, mi hanno indirizzato verso un protagonista che non gode di molta visibilità quando si discute di costi e benifici delle esternalizzazioni.

Il lavoratore esternalizzato è per definizione invisibile, invisibile all’Azienda e nemmeno tanto percepito dalle stesse RSU impegnate a tutelare il comparto, i lavoratori pubblici.

Questa profonda disarticolazione riflette in parte quella contraddizione che muove necessariamente il processo di outsourcing verso fasi già riconoscibili nelle condizioni di lavoro di chi vive sulla propria pelle le reali ragioni delle esternalizzazioni.

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