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4. DATI EMERSI I FAMILIARI

4.1. Primo impatto con il reparto

4.2.4. Difficoltà nella relazione col paziente

Un aspetto molto critico legato alla difficoltà nella vicinanza al paziente riguarda il fatto di trovarsi ad affrontarlo direttamente senza che ci sia stata una mediazione da parte del personale, senza essere stati preparati alle sue condizioni cliniche. Vengono espressi ad esempio timori di non riconoscerlo o di non essere da lui riconosciuti (e- stratto 14), esperienze negative nell’averlo inaspettatamente incontrato in uno stato confusionale senza essere stati precedentemente avvisati, con la conseguente preoc- cupazione che la situazione si ripeta nei giorni successivi (estratto 525), shock nell’impatto e dubbi relativi al fatto che possa provare dolore (estratto 413). Si rende quindi evidente come possa risultare della massima rilevanza prevedere un accompa- gnamento all’approccio al paziente, soprattutto in riferimento ai primi momenti di avvicinamento o nei casi di aggravamento o cambiamento del quadro clinico.

14 perché fai proprio anche fatica ad avvicinarti cioè come sai se facessi fatica a riconoscerlo che non sai finché tipo pri- ma... che apre gli occhi che mi dice ah sei qui, non sai sei come se non ti dovesse riconoscere non so come dire

525 Solo ieri… ieri sono arrivata e non avendolo mai visto non lucido, ieri sono arrivata e sono rimasta proprio male perché lui era completamente confuso addirittura non mi ha riconosciuto e per una figlia con un rapporto come abbiamo io e lui non essere riconosciuta è stata una bella botta

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558 stamattina arrivi e hai paura a entrare in stanza, perché non hai potuto capire se oggi è peggiorato o se magari oggi è meno confuso no? quindi uno non si prepara e aspetti tre volte prima di entrare dalla porta lo guardi da lontano in base ai movimenti che fa… no stamattina russa però io l'ho visto subito, russa ma è molto rilassato, dorme un sonno rilassato...

413 Cioè quando tu entri qua quando tu apri quella porta che si apre, ti dicono: sovrascarpe, mani, letto 8, e tu arrivi ai piedi del letto 8 e fai: ooh. Perché cacchio cioè tua mamma che non c'è… respiro attaccato ad un respiratore cioè tubo in gola la bocca già storta la vedi sofferente non ti rendi conto se lei soffre non soffre se c'è se non c'è, cioè proprio tu non sai niente

Come sarà in seguito mostrato, la possibilità di stare vicini al proprio familiare rappresenta un aspetto molto positivo per i parenti, tuttavia emergono dalle narra- zioni anche diverse difficoltà che possono essere fonte di malessere anche profondo. Viene riportata ad esempio la fatica di affrontare il paziente quando mantiene la luci- dità in una situazione clinica molto critica e fa sentire tutto il disagio di dover perma- nere in una simile condizione. Il parente può sperimentare dolorosi vissuti conflittua- li, sentirsi responsabile, provare sensi di colpa e sentirsi privo di strumenti che lo aiu- tino a stare accanto al proprio caro (estratto 198). Non è facile inoltre gestire le pre- occupazioni e le reazioni emotive che può esprimere il paziente, in particolare rispet- to al contesto in cui si trova, ai timori per la propria vita, alla gravità delle situazioni delle altre persone ricoverate che vede attorno a sé (estratto 552). Si aggiunge talvolta una sorta di imperativo e di sforzo che i parenti possono sentire nel nascondere il di- sagio che provano per doversi mostrare sempre positivi e capaci di dare forza al pa- ziente e ad altri parenti (estratto 551).

189 Ma più che altro è la situazione che è stagna diciamo, per cui mio padre non ce la fa più, è lucido di testa e anche se è sedato a livello di morfina per cui non sente tanto dolore anzi dice che non ne sente, però la testa c'è, per cui co- mincio a far fatica a venire a trovarlo perché quando vengo come ieri sera, lui mi fa capire che vuole scendere vuole essere portato a casa vuole firmare vuole andare via, senza questo tubo non

respira non è che possiamo dire vabbè invece che andare avanti un anno andiamo avanti tre settimane a casa.

191 e in più sembra quasi di essere cattivi, perché qui ce l'ho fatto arrivare io, no veramente è stato

accompagnato dalla sua dottoressa di base che gli ha provato la pressione e l'ossigeno nel sangue, e ha chiamato il 118 subito però diciamo che dopo da lì in poi sono stata... mi sento quasi responsabile io che sia finito qui.

192 solo che io faccio fatica andare lì di sentire vedere lui che vuole scendere dal letto. Allora se non mi vede è meglio (…)

198 Ecco la mia difficoltà è quando sono qui cosa posso fare per alleviare quella mezz'ora quell'ora che sono qui cosa poter dire cosa poter fare.

552 Purtroppo il reparto è questo, anche il paziente che si gira e vede magari una persona dall'altra parte più grave, non riesce, è difficile fargli credere tu che sei sua figlia dirgli: papà stai tranquillo sì sei in rianimazione ma non è perché stai morendo perché sta diventando grave così è perché devono sistemarsi i parametri, sono già a posto i parametri dobbiamo passare in reparto. Però comunque lui non vedeva l'ora di andare via da qua anche sapendo che non era ri- schia di vita ma lui voleva uscire perché comunque il paziente dice prima sono fuori di qua prima so che non muoio. È così è proprio così lui l'unica sua domanda sempre quando andiamo via? quand'è che

usciamo? quando vado via da qua?

336 soprattutto per andare davanti a mia mamma, devo avere il sorriso devo essere comunque tranquilla anche quando vengo con mio papà non devo cedere perché devo fare forza a me stessa, vabbè a mio papà, ma soprattutto a lei. Quindi anche se apre a malapena gli occhi ma io devo farmi vedere sorridente…

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