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CAPITOLO 3: METODI ANALITIC

3.4 DIFFRATTOMETRIA A RAGGI X (XRD)

La diffrattometria a raggi X (XRD) è una metodologia potente e non invasiva che permette di studiare la composizione mineralogica e la struttura cristallina delle sostanze. Si possono determinare, con questa metodologia, non solo le singole specie minerali ma anche, in qualche caso, ottenere una determinazione semiquantitativa dei diversi minerali presenti. Ciò è importante specialmente per le rocce argillose per le quali le normali

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pratiche petrografiche diventano insufficienti. Questa tecnica fu introdotta all'inizio del ventesimo secolo da Max Von Laue e si basa sul fatto che la maggior parte dei composti a stato solido in natura si presenta nella forma cristallina; ciò significa che gli atomi o le molecole di cui questi sono formati sono disposti in modo regolare nello spazio a formare un reticolo periodico, e non in modo casuale, come nelle sostanze amorfe. Per le sostanze cristalline, un'onda elettromagnetica con una lunghezza d'onda opportuna può interagire con il reticolo e produrre interferenza, esattamente come la luce visibile viene diffratta da un reticolo ottico. Poiché le distanze interatomiche tipiche sono molto più piccole della lunghezza d'onda della luce visibile (dell'ordine di un decimo di nanometro, mentre quella della luce è dell'ordine di un decimo di μm), quest'ultima non è adatta a produrre diffrazione, ma bisogna usare i raggi X. Qui il termine "diffrazione" è perciò usato impropriamente, infatti esso si riferisce di fatto ad un fenomeno basato sull'interferenza. Se un cristallo viene colpito da un fascio di raggi X monocromatici, cioè con una ben precisa lunghezza d'onda, grazie alla diffrazione questi sono deviati dai piani del reticolo lungo ben precise direzioni. Una utile schematizzazione per comprendere questo fenomeno è data dalla legge di Bragg (fig. 3.7):

nλ = 2dsin(θ)

dove λ è la lunghezza d'onda della luce incidente, d è la spaziatura fra i piani cristallini e θ l'angolo formato dal fascio di raggi X e i piani stessi. Essa quindi permette di mettere in relazione la direzione dei fasci diffratti con le caratteristiche strutturali sub-microscopiche del cristallo in esame.

Fig. 3.7: Rappresentazione della legge di Bragg.

Il diffrattometro utilizzato (fig. 3.8) possiede la geometria Bragg-Brentano, che è quella attualmente più diffusa commercialmente, a variante verticale θ:2θ. Questa modalità di

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scansione comporta un movimento di campione e detector con velocità angolari pari a θ e 2θ rispettivamente. Questo diffrattometro è costituito dalle seguenti componenti (fig. 3.9):

− una sorgente di raggi X (L) che emette un raggio policromatico non collimato; − un set di Soller slits (G) che minimizza la divergenza assiale (lungo la normale al

piano del foglio in fig. 3.9);

− una divergence slit (B) che attenua la divergenza laterale;

− una receiving slit (D) che collima lateralmente la radiazione diffratta;

− un secondo set di Soller slits (E) che riduce la divergenza assiale del raggio diffratto;

− un monocromatore (F) che seleziona la lunghezza d’onda desiderata; − un detector (T) che misura l’intensità della radiazione diffratta.

Fig. 3.8: Diffrattometro da polveri a geometria Bragg-Brentano e variante verticale θ:2θ prodotto dalla Philips, in dotazione al Dipartimento id Scienze della Terra di Pisa. Il generatore è un modello pw 1830, il goniometro pw 1050 e la componente elettronica pw 1710.

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Fig. 3.9: Rappresentazione schematica dei componenti e delle caratteristiche ottiche di un diffrattometro con geometria Bragg-Brentano. La descrizione specifica dei vari componenti è riportata nel testo.

I componenti sopra descritti sono fissati ad un goniometro che ha la duplice funzione di agire da supporto e, soprattutto, di regolare la rotazione di campione e detector. La posizione dei componenti sul goniometro (fig. 3.10) è tale che le distanze sorgente- campione (FS) e campione-receiving slit (SG) siano sempre coincidenti: sorgente e receiving slit descrivono una circonferenza (cerchio goniometrico) di raggio fissato R = FS = SG. La strumentazione definisce una seconda circonferenza (cerchio focale) di raggio r, lungo la quale giacciono sorgente, campione e receiving slit. Le circonferenze goniometrica e focale individuano il piano focale o equatoriale; la normale a tale piano, parallela all’asse del goniometro, individua la direzione assiale. Il campione è posto nel

centro focale dell’ottica strumentale, presso il centro del cerchio goniometrico. Receiving

slit e detector sono mossi in modo sincrono lungo il cerchio goniometrico con velocità angolare 2θ. In questo modo, per ogni posizione angolare 2θ si campiona una porzione di uno specifico cono di Scherrer: il triangolo SGG’ in fig. 3.10 è la sezione assiale di un cono di Scherrer divergente da S, di semiapice 2θ e raggio di base:

b = R sin(2θ)

Riformulando, SGG’ è l’intersezione tra il cono di diffrazione ed il cerchio goniometrico. Durante una scansione il campione viene ruotato lungo il cerchio focale con velocità

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dimezzata, garantendo che la sua superficie risulti costantemente tangenziale al cerchio stesso e in condizioni ottimali di focalizzazione.

Fig. 3.10: Posizione reciproca di sorgente (F), campione (S) e receiving slit (G) in un diffrattometro automatico a geometria Bragg-Brentano. F e G descrivono il cerchio goniometrico di raggio R = FS = SG costante durante la scansione, lungo il quale si muove il detector. F, S e G definiscono il cerchio focale di raggio r variabile durante la scansione, lungo il quale si muove il campione (S). Per ogni posizione 2θ si campiona una porzione del cono di Scherrer, divergente da S, di semiapice 2θ (di cui il triangolo SGG’ è la sezione assiale).

Conseguentemente il cerchio focale non ha raggio costante: quando il detector viene spostato verso valori crescenti di 2θ, r decresce secondo la relazione:

r = R [2 sin(θ)]-1

Con una disposizione di sorgente, campione e detector come quella descritta è teoricamente possibile focalizzare i singoli riflessi di Bragg in un unico punto (geometria

focalizzante). Per la realizzazione di quest’ultima, sarebbe necessario che la superficie del

campione giacesse sul cerchio focalizzante. La superficie dovrebbe quindi essere curva e di curvatura variabile (si è detto che il raggio del cerchio focale varia durante la scansione), una richiesta, questa, di difficile realizzazione. Nella maggior parte degli strumenti, pertanto, il campione è piatto, quindi tangente al cerchio: in questo caso si pala di geometria parafocalizzante. Come conseguenza, la radiazione diffratta, parzialmente divergente, viene focalizzata all’interno di un’area circoscritta e non in un punto.

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