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CAPITOLO 3: METODI ANALITIC

3.3 SCANNING ELECTRON MICROSCOPE (SEM)

Il Microscopio Elettronico a Scansione (SEM) è uno strumento elettronico che permette, in seguito all’emissione di un fascio di elettroni, di analizzare i vari segnali prodotti dall’interazione degli elettroni del fascio con il campione in esame. L’elaborazione di questi segnali consente di ottenere un’ampia gamma di informazioni morfologiche e composizionali (strutturali). In questo lavoro di tesi lo strumento è stato utilizzato principalmente per determinare analiticamente il contenuto di alcuni elementi nelle porzioni di Porfido layered e per identificare le fasi contenute nei campioni. Il potere di

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risoluzione del SEM utilizzato è di 5 μm. Il campione è posto in una camera ad alto vuoto (13.3·10-3 Pa), poiché l’aria non consentirebbe la produzione del fascio (data la bassa energia degli elettroni), e deve essere conduttivo per non produrre cariche elettrostatiche che disturbano la rivelazione degli elettroni secondari. Poiché il materiale analizzato non è conduttivo, è stato

Fig. 3.1: Macchina da taglio modello SUPER F.048, serie “New Generation” prodotta dalla Ghelfi, in dotazione al CNR di Pisa. Il macchinario è costituito interamente in alluminio ed è dotato di una vasca in poliestere per il riciclaggio dell’acqua e di un pratico carrello di lavoro (50x50 cm) in ferro ricoperto di gomma per migliorare la stabilità del materiale. Possiede un motore monofase da 3.4 HP e monta dischi di diametro pari a 500 mm.

Fig. 3.2: Troncatrice manuale da tavolo modello Labotom-3, prodotta dalla STRUERS, che possiede un motore da 3.0 – 3.2 kW e una sega circolare di diametro 90 mm. E’ dotata di un pannello di sicurezza mobile.

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necessario rivestirlo con un sottilissimo film di un elemento conduttore (grafite) (metalizzazione). Un microscopio elettronico a scansione (SEM) consiste di una colonna elettronica che produce e muove un sottile fascio di elettroni a esplorare (scanning) una piccola area della superficie di un campione solido. La colonna elettronica di un SEM è schematizzata in fig. 3.4.

Fig. 3.3: Microscopio ottico Axioplan (Zeiss) del Dipartimento di Scienze della Terra di Pisa.

Quindi il SEM è schematicamente costituito dai seguenti elementi:

1) un cilindro di Wehnelt dove viene creato il fascio di elettroni;

2) una camera da vuoto dove il fascio elettronico interagisce con il campione; 3) vari tipi di rilevatori che acquisiscono i segnali dell’interazione fascio- campione e li trasferiscono agli elaboratori;

4) uno schermo in cui si ricostruisce l’immagine del segnale.

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La sorgente elettronica in cima alla colonna genera un fascio elettronico mediante un filamento (comunemente di tungsteno) contenuto nel cilindro di Wehnelt, che, portato ad elevata temperatura, produce elettroni per effetto termoionico. Gli elettroni vengono quindi fatti accelerare da una ddp di 15 – 20 kV, per mezzo di un anodo posto sotto il filamento. Il fascio così ottenuto risulta essere divergente per questo deve essere focalizzato da una serie di lenti elettromagnetiche e di fenditure all’interno della colonna. All’estremità inferiore della colonna, una serie di bobine di scansione deflette il fascio fornendogli un movimento alternato lungo linee parallele ed equidistanti, in modo che, una volta raggiunta la superficie del campione, vada a scansionare un’area predefinita. Infine il fascio focalizzato dalla lente finale esce dalla colonna e va a colpire il campione all’interno della camere sotto vuoto. Nel momento in cui gli elettroni del fascio penetrano all’interno del campione perdono energia che viene riemessa sotto varie forme ed ogni tipo di emissione generata è potenzialmente un segnale dal quale ricavare un immagine.

Fig. 3.5: Microscopio elettronico a scansione (SEM) modello XL 30, prodotto dalla PHILIPS, in dotazione al Dipartimento di Scienze della Terra di Pisa.

Dall’istante in cui il fascio elettronico colpisce la superficie del campione gli elettroni iniziano ad interagire con le nuvole elettroniche degli atomi di cui è costituito il campione, attraverso due meccanismi principali:

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− Diffusione elastica: cioè variazione direzionale senza importante perdita di energia, dovuta a urti di tipo elastico degli elettroni con i nuclei degli atomi del bersaglio. − Diffusione anelastica: riguardante una diminuzione energetica senza variazione di

direzione causata da urti di tipo anelastico.

Il risultato di questi processi è la produzione di una notevole varietà di segnali: elettroni secondari, elettroni retrodiffusi, elettroni assorbiti, elettroni trasmessi, elettroni Auger, coppie elettrone-lacuna, radiazione elettromagnetica (nello spettro UV-IR) e radiazione X. La regione del campione da cui si originano i segnali di interazione con il fascio e da cui questi escono per venire rilevati è chiamata volume di interazione (fig. 3.6).

Fig. 3.6: Sezione del volume di formazione delle varie radiazioni prodotte dall'interazione tra elettroni e materia.

Il SEM utilizzato durante il lavoro di tesi è dotato di tre diversi rilevatori per l’acquisizione di tre segnali prima elencati ed esattamente: elettroni secondari (Secondary Electrons, SE), elettroni retrodiffusi (Backscatter Electrons, BSE) e radiazione X (EDS). Gli elettroni

secondari (SE) sono elettroni a bassa energia (fino a poche decine di eV) provenienti dalla

porzione più superficiale del campione (pochi nm). La proprietà principale di questo tipo di segnale è quella di essere fortemente controllato dalla morfologia del campione, pertanto l’immagine risultante è in bianco e nero e il contrasto delle tonalità di grigio mette in risalto l’aspetto tridimensionale dell’oggetto in esame. L’utilizzo di questo tipo di

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segnale è intuitivo, rivolto allo studio delle caratteristiche morfologiche di oggetti tridimensionali o dei loro rapporti strutturali. Gli elettroni retrodiffusi (BSE) sono elettroni ad alta energia (da 50 eV all’energia degli elettroni del fascio) prodotti fino ad una certa profondità del campione (pochi μm). La loro energia dipende direttamente da quella del fascio incidente e dalla composizione chimica (più precisamente dal peso atomico medio) del materiale di cui è costituito il campione, quindi l’immagine risultante è sempre in bianco e nero ma il contrasto delle tonalità di grigio mette in risalto la variabilità di composizione chimica delle diverse parti che compongono il campione. In particolare risultano relativamente più chiare le parti composte da un materiale a peso atomico medio elevato e più scure quelle a peso atomico medio inferiore. Il caso estremo è il nero che corrisponde a non emissione (parti vuote del campione). Infine, per completezza, è doveroso aggiungere che una piccola parte degli elettroni retrodiffusi è controllata dal reticolo cristallino del minerale colpito dal fascio elettronico. Quando un fascio di elettroni con energia sufficiente incide su un solido, gli elettroni interagiscono con gli elettroni degli atomi eccitandoli a livelli con energie più alte. La diseccitazione degli elettroni causa l’emissione dei raggi X. I raggi X possono essere emessi generando un background continuo di raggi X e un salto di livello atomico che dà lo spettro caratteristico dei raggi X, tipico degli elementi presenti sul campione esaminato. La lunghezza d’onda dei raggi X caratteristici ha un’energia pari alla differenza tra lo stato iniziale e finale dell’atomo: le lunghezze d’onda dei raggi X caratteristici di una certa specie chimica sono legate ad un livello di energia discreto (E). Esaminando quindi i raggi X caratteristici si può risalire agli elementi presenti ottenendo un’analisi chimica qualitativa. Il rilevatore è costituito da un monocristallo di Si drogato con Litio, che deve stare a una temperatura di -170° C per funzionare, al quale viene trasferita l’energia dei fotoni X (da cui la denominazione di spettroscopia X a dispersione di energia EDXS). Successivamente l’energia viene trasmessa, tramite un segnale, ad un computer che produce lo spettro utilizzando il software Genesis. Questa tecnica presenta tra i vantaggi quello di non essere distruttiva: il campione, infatti, non viene modificato nel corso dell’analisi.

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