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2.5 IDROBRECCIATURA DELLE ROCCE

2.5.2 FRATTURAZIONE DELLE ROCCE

Ci sono tre principali modalità di rottura delle rocce (Bons et al., 2012) (fig. 2.35):

• Tipo I (opening mode): il vettore di dislocamento della frattura è perpendicolare al piano di frattura.

• Tipo II (in-plane shear o sliding mode): il vettore di dislocamento della frattura è parallelo al piano di frattura e alla direzione di propagazione della frattura.

• Tipo III (out-of-plane shear o tearing mode): il vettore di dislocamento della frattura è parallelo al piano di frattura e perpendicolare alla direzione di propagazione della frattura.

Fig. 2.35: I tre tipi di rottura in relazione al piano di frattura e al dislocamento dei due blocchi generati dalla frattura (Bons et al., 2012).

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Le suddette modalità di rottura delle rocce rappresentano i tre end members teorici dei possibili meccanismi di fatturazione che avvengono in natura. In geologia, solitamente, i tipi II e III di frattura vengono raggruppati in un’unica categoria (fratture di taglio o shear

fractures) mentre il tipo I fa parte delle fratture estensionali. Invece le fratture che

presentano, contemporaneamente, cinematica estensionale e di taglio vengono chiamate fratture ibride (Engelder, 1999; Ramsey and Chester 2004).

Il criterio di rottura di Mohr-Griffith-Coulomb si è dimostrato un utile strumento per interpretare i differenti tipi di rottura e l’orientazione delle fratture risultanti in funzione degli stress principali, della loro orientazione e delle proprietà meccaniche del materiale fratturato (Brace, 1960; Phillips, 1972; Price and Cosgrove, 1990; Sibson, 1998; Cox, 2010). Il diagramma di Mohr è un grafico 2D che rappresenta tutte le possibili combinazioni tra lo stress normale σn (asse orizzontale) e quello di taglio τ (asse verticale)

su differenti piani (fig. 2.36). In un materiale isotropo è sufficiente considerare solo il piano che contiene gli stress compressivi massimo (σ1) e minimo (σ3). Risulta che tutte le

possibili combinazioni tra lo stress normale e quello di taglio per un dato piano giacciono in un cerchio che è centrato sull’asse orizzontale e che contiene sia lo stress massimo (σ1)

che minimo (σ3) (fig. 2.36a). Ciascun punto all’interno del cerchio rappresenta la

condizione di stress per un dato piano che forma un angolo α con lo stress compressivo minimo (fig. 2.36b). L’inviluppo di rottura di Mohr-Griffith-Coulomb rappresenta le condizioni limite di stress su un piano che una roccia può sostenere. Nel caso più semplice l’inviluppo di rottura può essere definito da tre parametri (Bons et al., 2012) (fig. 2.36c):

− La resistenza a trazione (T), che costituisce lo stress normale massimo che un materiale può sostenere.

− La coesione (C), che è rappresentato dallo stress di taglio alla rottura quando σn =

0. In accordo con il criterio macroscopico di Griffith, τ e σn (quando sono ≤ 0) sono

legati a T dalla relazione τ2 ≈ 4σnT + T2 , da cui si ricava C ≈ 2T.

− L’angolo di attrito interno (β), che costituisce la pendenza del criterio di rottura lineare di Coulomb per σn ≥ 0. Questo parametro rappresenta l’aumento di

difficoltà a rompere una roccia con una pressione di confinamento sempre più alta. In alternativa, può essere usato il coefficiente di frizione, μ = tan(β).

Ciascuna combinazione τ – σn al di fuori dell’inviluppo è impossibile e siccome la roccia

non può sostenere queste condizioni di stress, si romperà. Una roccia, perciò, subirà rottura appena il cerchio di Mohr tocca l’inviluppo di rottura e il punto del cerchio che per primo interseca l’inviluppo rappresenta il piano lungo il quale si forma la frattura (fig. 2.36c). Possono essere definiti tre tipi principali di fratture in base al punto in cui il cerchio di Mohr tocca l’inviluppo di rottura:

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− Fratture oblique o ibride (tipo II, fig. 2.36e). − Fratture di taglio (tipo III, fig. 2.36f).

Nella crosta la pressione aumenta costantemente con la profondità, però le fratture estensionali si formano a qualsiasi profondità, anche quando, in profondità, la pressione di confinamento è elevata. In questi casi le fratture si verificano per la presenza di fluidi o fusi magmatici, la cui pressione contrasta quella litostatica spostando il cerchio di Mohr verso sinistra e quindi avvicinandolo all’inviluppo di rottura (fig. 2.36a).

Fig. 2.36: Rappresentazione del criterio di rottura di Mohr-Griffith-Coulomb. a) Diagramma di Mohr con stress di taglio (τ) vs stress normale (σn) per un piano che forma un angolo α con lo stress

compressivo minimo (σ3). Quando la pressione idrostatica (Pf) contrasta la compressione, gli stress

effettivi (σn – Pf) sono utilizzati per determinare la possibile rottura di una roccia (questo provoca

uno spostamento del cerchio di Mohr verso sinistra pari al valore di Pf). b) Un esempio di stress

normale (n) e di taglio (t) su un piano che forma un angolo α con σ3, l’intensità del quale può essere

ricavato dal diagramma di Mohr in a). c) Tre esempi di rotture in differenti condizioni di stress: d) frattura estensionale con forza di trazione normale alla frattura, e) frattura ibrida in cui la forza di trazione ha una componente estensionale e una di taglio e f) frattura di taglio in cui la forza di trazione ha una componente di taglio e una estensionale (Bons et al., 2012).

Le fratture che si formano principalmente per l’effetto di un’elevata pressione dei fluidi vengono chiamate idrofratture (Beach, 1980; Sibson, 1981; Cox et al., 1991; Bons, 2001a; Dahm et al., 2010). Le fratture estensionali si generano quando il cerchio di Mohr tocca

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l’inviluppo di rottura nel punto T (fig. 2.36a) e perciò lungo il piano di rottura non si registrano sforzi di taglio (σ3 = T). La presenza quasi di vene estensionali nella crosta

indica che la pressione dei fluidi in profondità, in genere, si avvicina a quella litostatica e gli stress differenziali sono abbastanza bassi, essendo limitati dalla coesione relativamente bassa delle rocce. Le fratture oblique o ibride si hanno quando il cerchio di Mohr tocca l’inviluppo di rottura a sinistra dell’asse verticale (σn = 0). A causa della

simmetria del sistema, il cerchio di Mohr toccherà l’inviluppo di rottura in due punti simmetrici rispetto l’asse orizzontale (τ = 0), producendo due set coniugati di fratture estensionali con opposto senso di taglio e disposte simmetricamente alla direzione dello stress principale. Quando l’inclinazione dell’inviluppo di rottura è elevata, l’angolo fra i due set coniugati di fratture è basso. Perciò le fratture estensionali rappresentano un caso limite delle fratture ibride, in cui l’angolo è 0 e i due set di fratture si combina in uno. Le fratture di taglio si formano quando il cerchio di Mohr tocca l’inviluppo di rottura in un punto a destra dell’asse verticale (σn = 0). Anche in questo caso si genereranno due set di

fratture coniugate, con un angolo che li separa più grande. Le fratture estensionali si formano perpendicolarmente alla direzione dello stress principale minimo (σ3), ma non

forniscono informazioni sulla disposizione degli altri due stress compressionali (σ1 e σ2).

Invece i set di fratture coniugate ci danno informazioni sull’orientazione di tutti gli stress compressionali. Quando l’angolo di attrito interno è positivo o le fratture in rocce anisotrope sono formate principalmente da processi duttili, σ1 giace sulla bisettrice

dell’angolo acuto, σ2 lungo l’intersezione e σ3 sulla bisettrice dell’angolo ottuso fra i due

set coniugati di fratture (fig. 2.37). Misurando l’orientazione delle fratture è così possibile ricavare l’orientazione del paleo-stress. Inoltre l’angolo tra i set coniugati di fratture fornisce un ulteriore informazione sulla pressione dei fluidi, un piccolo angolo indica un elevata pressione dei fluidi.

Finora si è trattato di rocce isotrope intatte, ma questa situazione è solamente teorica in quanto, nei casi reali, le rocce sono comunemente piene di eterogeneità (strati differenti) e superfici di debolezza (contatti stratigrafici, foliazioni e fratture). In questi casi non sarà presente un singolo inviluppo di rottura, ma uno per ciascuna litologia nella quale, o struttura lungo la quale, una roccia può potenzialmente rompersi (fig. 2.38). Nel caso di rocce con anisotropia pervasiva la nucleazione delle fratture può essere descritta da due criteri di rottura (fig. 2.38a): uno parallelo e uno perpendicolare all’anisotropia (Oliver et al., 1990; Twiss and Moores, 1992). Le fratture parallele all’anisotropia si formano quando il cerchio di Mohr più interno tocca l’inviluppo di rottura, mentre quelle perpendicolari all’anisotropia quando il cerchio di Mohr più esterno tocca l’inviluppo. Studi sperimentali (es. Donath, 1961; McLamore and Gray, 1967; Twiss and Moores, 1992) hanno mostrato che le fratture tendono a svilupparsi lungo l’anisotropia quando l’angolo tra il clivaggio e σ1 è basso (< 60°). Questo è dovuto al fatto che il clivaggio è generalmente un piano di

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deformate da processi duttili mostrano che spesso le fratture si formano obliquamente all’anisotropia, perfino per basse orientazioni rispetto a σ1 (Platt and Vissers, 1980; White

et al., 1980). La stima dell’orientazione del campo di stress dalle fratture nelle rocce anisotrope è un compito complicato, poiché il campo di stress dedotto dai set di fratture coniugate può discostarsi significativamente dal campo di stress reale (Gomez-Rivas and Griera, 2012). In una sequenza laminata, ciascun livello può avere i propri parametri di rottura (coesione e angolo di attrito interno), oltre ad altre proprietà meccaniche ed elastiche. Inoltre la pressione dei fluidi può variare nei differenti livelli. Questo aiuta a spiegare perché i sedimenti spesso mostrano vene più antiche negli strati competenti e fratture di taglio o ibride più recenti parallele al layering (fig. 2.38b e c). I sedimenti sepolti di solito subiscono estensione parallela alla stratificazione durante la formazione dei bacini. Gli strati competenti (arenarie e calcari) subiscono stress differenziali maggiori rispetto ai livelli incompetenti (come argilliti o marne), perché la compatibilità alla deformazione richiede ad entrambe le litologie un allungamento di pari entità. Per questo motivo i loro cerchi di Mohr hanno dimensioni diverse. Lo stress normale alla stratificazione (σ1 per l’estensione parallela al layering) deve essere bilanciato, il che

implica che entrambi i cerchi devono condividere la stesso punto a σ1 e τ = 0. Il cerchio di

Mohr dei livelli competenti è quello che probabilmente toccherà per prima l’inviluppo di rottura (fig. 2.38b). La diminuzione di stress dovuta alla rottura dei livelli competenti impedisce allo stress differenziale di aumentare e raggiungere il punto di rottura nei livelli incompetenti.

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Fig. 2.37: Determinazione dell’orientazione delle condizioni di stress da un set di fratture coniugate. a) Set di fratture coniugate con σ2 parallelo all’intersezione dei due set di fratture e σ1 e

σ3 paralleli alle bisettrici dell’angolo acuto e ottuso fra i due set di fratture, rispettivamente. b) Un

esempio di stereonet utilizzato per determinare l’orientazione degli stress compressionali principali. In questo caso l’angolo acuto fra i due set di fratture è di 60°, dal quale può essere dedotto un angolo di attrito interno pari a 30° (Bons et al., 2012).

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Fig. 2.38: Criterio di rottura di Mohr-Griffith-Coulomb per le rocce anisotrope. a) Rottura di una roccia con piano di debolezza (clivaggio in questo esempio) dato da due inviluppi di rottura: uno per la roccia intatta e l’altro per il clivaggio e le fratture preesistenti. se la rottura avviene lungo il piano di debolezza (sinistra) o no (destra), dipende dall’orientazione di questo piano (cerchio più piccolo) rispetto al campo di stress. b) Esempio di estensione parallela al layering nel caso in cui i livelli competente e incompetente hanno le stesse proprietà di rottura. Quando il cerchio di Mohr del livello competente (grigio chiaro) tocca per primo l’inviluppo di rottura, le fratture si formano nel livello competente (boudinage). c) Esempio di raccorciamento parallelo al layering. In questo caso le fratture estensionali si formano parallele al layering nei livelli incompetenti, come si può comunemente osservare negli stadi iniziali di piegamento, e le fratture di taglio si generano nei livelli competenti dove gli stress sono maggiori (Bons et al., 2012).

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Perfino se il contatto stratigrafico può costituire una superficie di debolezza ( bassa coesione), la rottura lungo questo piano non avverrà poiché questo è perpendicolare a σ1.

Una volta rotto il livello competente, lo sforzo sulla frattura può variare significativamente. Se la frattura si dilata, la pressione interna diminuisce, essendo protetta dagli sforzi applicati, dal livello competente circostante. All’interno di queste fratture, solitamente, precipitano minerali a causa sia della relativamente bassa pressione presente che del flusso dei fluidi attraverso il nuovo vuoto creato (Beach and Jack, 1982). Quando i sedimenti subiscono compressione parallela alla stratificazione si ha la situazione opposta. I cerchi di Mohr dei livelli competenti e incompetenti avranno sempre dimensioni diverse, ma questa volta avranno in comune il punto a σ3 e τ = 0 (fig. 2.38c).

Ora ci sono due situazioni possibili: fratture di taglio si formano nei livelli competenti, che si raccorciano per thrusting, o quando la pressione dei fluidi è alta e/o i contatti stratigrafici hanno bassa coesione, o si formano fratture estensionali paralleli alla stratificazione. Nel caso di piegamento questo porta alla formazione di pieghe flexural-slip con vene estensionali iniziali che ai lati della piega evolvono in fratture di taglio o miste, durante lo sviluppo della piega (Cox et al., 1991; Jessell et al., 1994). Nella zona di cerniera le fratture rimangono ad alto angolo rispetto allo sforzo compressivo minimo, consentendoli di aprirsi come fratture estensionali. L’effetto può essere accentuato dall’inevitabile problema di spazio generato dal piegamento flexural-slip, nel quale si possono formare fratture (o vene, se riempite da minerali precipitati), chiamate saddle

reefs. L’aumento di permeabilità e lo spazio generato per la precipitazione dei minerali

rende queste strutture importanti depositi di minerali preziosi (Cox et al., 1986, 1991; Windh, 1995). Una volta rotta, in una roccia variano il campo di stress locale e le proprietà meccaniche. Il piano di frattura perde completamente o per la maggior parte la sua coesione e può variare il suo angolo di attrito interno. Se, dopo la diminuzione dello stress iniziale sulla frattura, lo sforzo aumenta di nuovo, il piano di frattura svilupperà un proprio inviluppo di rottura e la rottura molto probabilmente avverrà ancora lungo questo piano. Questo spiega le ripetute rotture e la precipitazione di minerali che spesso si osserva nelle vene (meccanismo di crack-seal di Ramsey (1980)). Se, tuttavia, il processo di sigillazione è abbastanza efficiente da ristabilire completamente la coesione della roccia, le nuove fratture si formeranno in siti diversi.

Quando una frattura è riempita da un fluido stagnante, il gradiente verticale di pressione del fluido sarà nell’ordine di 10 kPa/m, mentre quello delle rocce circostanti è circa 27 kPa/m (Bons et al., 2012) (fig. 2.39a). La pressione litostatica e idrostatica possono essere in equilibrio solo in un determinato punto della frattura. All’interno della frattura, al di sopra di questo livello, la pressione idrostatica è maggiore mentre, verso il basso, è minore di quella litostatica (fig. 2.39a). La rilevanza della differenza di pressione dipende dall’altezza della frattura nella crosta, sopra una certa altezza (nell’ordine di decine di metri per fratture riempite da fluidi) la roccia non può sostenere la sovrappressione

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idrostatica sull’estremità superiore e la frattura si propagherà verso l’alto. La velocità di propagazione è controllata dalla viscosità del fluido che scorre verso l’alto insieme alla propagazione del bordo superiore della frattura e dalla terminazione verso il basso della frattura. Se il bordo inferiore della frattura non è chiuso perfettamente, il fluido rimarrà all’interno della frattura e non potrà essere utilizzato per riempire la propagazione verso l’alto della spaccatura.

Fig. 2.39: a) Andamento della pressione idrostatica (Pf) e litostatica (Plith) in una frattura verticale

riempita da un fluido. Le due pressioni sono in equilibrio nel punto centrale della frattura. A causa della differenza di densità tra il fluido e la roccia (circa 1000 kg/m3 e 2700 kg/m3, rispettivamente), il fluido è in sovrappressione verso il bordo superiore e in sottopressione verso l’estremità inferiore della frattura. Se la sovrappressione supera la soglia massima che la roccia può sostenere (ad un altezza critica della frattura), la frattura si propagherà verso l’alto e si chiuderà alla base (“mobile

hydrofracture”). b) Le “mobile hydofractures” risalgono preferenzialmente lungo superfici di

debolezza (precedenti fratture) e tendono a intrecciarsi e unirsi fino a formare una rete di fratture interconnesse che permettono la risalita sempre più veloce e di quantità maggiori di fluidi (Bons et al., 2012).

La velocità di propagazione delle fratture è stimata nell’ordine di metri al secondo (Weertman, 1971b; Dahm, 2000). Eichhubl and Boles (2000) e Okamoto and Tsuchiya (2009) hanno determinato velocità minime comprese tra 0.01 e 0.1 m/s per particelle

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trascinate verso l’alto da fluidi in risalita. Bons (2001a) ha utilizzato il termine “mobile

hydrofractures” per le fratture che si propagano trascinandosi i fluidi con se. Queste

fratture consentono una risalita molto rapida di masse di fluidi attraverso la crosta. Questo meccanismo di trasporto può spiegare la presenza di grandi vene di quarzo e di brecce idrotermali senza il bisogno di ricorrere a flussi di fluidi estremamente grandi. Le “mobile hydrofractures” risalgono preferenzialmente lungo piani di debolezza, come faglie o percorsi aperti da idrofratture precedenti (Maaløe, 1987; Bons et al., 2001). Questo porta ad una graduale interconnessione delle idrofratture ascendenti che si propagano sempre più velocemente, poiché la loro velocità di propagazione è legata al volume delle fratture (fig. 2.39b). Questo processo così porta a un effettivo mescolamento dei fluidi estratti dalla regione sorgente (Bons et al., 2001, 2004b).

Il grado di pressione dei fluidi all’interno della crosta può essere espresso in termini del fattore “pore-fluid” (λv = Pf / σv = Pf / ρgz), dove ρ è la densità media delle rocce, g è

l’accelerazione gravitazionale e z è la profondità (Sibson, 1998). Nelle porzioni di crosta sature in fluidi e/o con fratture interconnesse alla superficie, prevalgono le condizioni di pressione idrostatica (λv = ρf / ρ ≈ 0.4). Le porzioni della crosta che si deformano

attivamente, tuttavia, spesso si trovano nel campo di sovrappressione dei fluidi (0.4 < λv <

1). La sovrappressione può essere aumentata dalla compattazione in spesse sequenze sedimentarie, dalla disidratazione metamorfica nella crosta intermedia e inferiore, dal riscaldamento dovuto a un intrusione magmatica e dal degassamento del mantello. Tutti questi fattori possono contribuire ad aumentare il gradiente di pressione dei fluidi verticale, ma possono anche sviluppare un forte gradiente idraulico laterale, soprattutto vicino ad un intrusione magmatica (Sibson, 1998). Quali sono le condizioni di pressione dei fluidi che permettono la formazione di reti di fratture interconnesse a profondità e regimi tettonici diversi? La formazione di queste strutture in un materiale relativamente competente richiede Pf > σ3 e (σ1 – σ3) < 4T localmente, ma il campo di stress in ogni parte

dell’intreccio di fratture sarà molto eterogeneo. Tuttavia, se consideriamo, dal punto di vista cinematico, un insieme di fratture equivalente a una singola frattura estensionale possiamo utilizzare la condizione Pf ≈ σ3. Poiché la fatturazione estensionale idraulica è

fondamentale per lo sviluppo di una zona ad alta permeabilità secondaria e T < 10 MPa per le rocce più competenti, il limite superiore dello stress differenziale durante la propagazione delle fratture è 40 MPa. Adattando la procedura implementata da Secor (1965), le condizioni di pressione dei fluidi per l’attivazione di una rete di fratture interconnesse a diverse profondità nella crosta sono espresse in un grafico λv – profondità

(z) per differenti regimi di stress, assumendo un valore massimo di 40 MPa (fig. 2.40). Da questo grafico è evidente che se l’attivazione di una rete di fratture interconnesse in un regime compressivo (σv = σ3) richiede una pressione dei fluidi pari a quella litostatica (λv ~

1) a qualsiasi profondità, la formazione di una rete di fratture interconnesse con un discreto volume può avvenire a pressioni di fluidi uguale o minore di quella idrostatica (λv

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≤ 0.4) in zone più superficiali in un regime estensionale (σv = σ1). In un regime

trascorrente (strike-slip) (σv = σ2), la pressione dei fluidi può assumere qualsiasi valore tra

la situazione estensionale quando σv = σ2 ≈ σ1, in regime transtensivo, e quella

compressiva quando σv = σ2 ≈ σ3, in regime transpressivo. Il caso illustrato riporta la

situazione intermedia dove σv = σ2 = ½(σ1 + σ3). A profondità maggiori in regimi

estensionali – transtensionali, la sovrappressione dei fluidi (0.4 < λv < 1) è necessaria per

generare la rete di fratture. La dimensione e la velocità di sviluppo dell’area interessata dalle fratture interconnesse sono fortemente influenzate dall’afflusso del fluido, dal mantenimento di un appropriato gradiente idraulico e dalle caratteristiche di permeabilità della massa di roccia.

Fig. 2.40: Diagramma fattore pore-fluid (λv) – profondità (z) con condizione limite (σ1- σ3) < 4T =

40 MPa che descrive le condizioni di pressione dei fluidi necessarie per l’attivazione di una rete di fratture interconnesse in regime compressionale (thrust-fault), estensionale (normal-fault) e trascorrente (strike-slip) (Sibson, 1998).

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