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La diffrazione di raggi X di polveri viene utilizzata per identificare le componenti cristalline che compongono un campione, tramite confronto con una banca dati di pattern di diffrazione, e per calcolare le dimensioni dei cristalli, che sono correlate alla larghezza dei picchi di diffrazione. Un cristallo è un materiale che possiede una struttura atomica regolare e ripetuta nello spazio che può essere descritta tramite ripetizione di un elemento di volume detto cella elementare, descritto tramite tre assi (a,b,c) e tre angoli compresi tra loro (α,β,γ). Le facce di un cristallo possono essere descritte tramite una serie di piani paralleli ognuno dei quali è individuato con tre indici, detti indici di Miller (h,k,l): i piani tagliano gli assi a,b,c della cella elementare in h,k,l sezioni. I raggi X hanno lunghezza d’onda di pochi

Å

, quindi dell’ordine delle tipiche distanze interatomiche nei solidi cristallini. Interagendo con gli atomi che compongono un piano cristallino, i raggi X possono essere diffratti e si otterrà un’interferenza costruttiva se vengono rispettati una serie di parametri geometrici, indicati dalla legge di Bragg, Equazione 19:

37 2𝜆 = 2𝑑 sin 𝜃

Equazione 19

con λ lunghezza d’onda della radiazione incidente in

Å

, d distanza tra i piani atomici del cristallo (

Å)

e θ angolo di incidenza misurato in gradi. In un campione di polveri policristallino i fasci diffratti diventano dei coni con centro l’origine e asse nella direzione del fascio incidente. Un tipico esperimento di diffrazione di raggi X prevede di inviare sul campione un fascio di raggi con un angolo di incidenza noto, , che viene variato nel corso della misura. Il detector ha, rispetto al campione, lo stesso angolo del fascio incidente e si muove durante la misura in maniera analoga alla sorgente affinché l’angolo tra fascio incidente e fascio diffratto rimanga lo stesso. I raggi X vengono generati facendo passare corrente in un filamento conduttore, solitamente di tungsteno, in modo che il calore generato sia tale da far sì che vengano emessi elettroni. Gli elettroni vanno a colpire un anodo e, se sono sufficientemente energetici, possono causare l’espulsione di elettroni interni dagli atomi dell’anodo con la conseguente emissione di raggi X per il riarrangiamento elettronico interno. I raggi X prodotti possono essere inviati sul campione e i raggi diffratti analizzati con un detector. Il portacampione è un monocristallo di silicio, ma può essere utilizzato anche un disco di plexiglass, con una cavità in cui la polvere del campione viene distribuita uniformemente. Dall’analisi XRD si possono ottenere informazioni sui tipi di fasi presenti nel campione, sulla loro purezza e sulla dimensione dei cristalliti. L’identificazione delle fasi avviene per confronto del diffrattogramma sperimentale con quelli di un database (JCPDS,

Joint

Committee on Powder Diffraction

Standard

). La larghezza del picco di diffrazione permette di calcolare il diametro del cristallo attraverso la formula di Scherrer (Equazione 20):

𝐵 = 0.89𝜆 𝑑 cos 𝜃

Equazione 20

con B larghezza di riga a metà altezza del picco XRD, λ lunghezza d’onda del raggio XRD incidente, θ angolo di diffrazione e d diametro del dominio coerente di diffrazione, o diametro cristallino della nanoparticella. Dato che le ferriti hanno una cella cubica, dal diffrattogramma è possibile anche ricavare il parametro reticolare, a, correlato alla distanza tra i piani del cristallo dalla formula in Equazione 21:

𝑎 = 𝑑√(ℎ2+ 𝑘2+ 𝑙2) Equazione 21

38

4.3 - Spettroscopia atomica di emissione con sorgente al plasma (ICP - AES)

L’ICP-AES (Induced Coupled Plasma – Atomic Emission Spectrophotometry) è una spettroscopia di emissione atomica che utilizza alte energie per l’atomizzazione del campione. Per atomizzare il campione viene utilizzato un plasma (generalmente di Ar), ovverosia un gas ad elevata temperatura (tra 600 e 8000 K), composto da ioni ed elettroni ma globalmente neutro. Il plasma viene generato in un dispositivo chiamato torcia formato da tre tubi concentrici di quarzo nei quali scorre un flusso di Ar. L’estremità superiore di un tubo è circondata da una bobina di induzione raffreddata ad acqua e alimentata da un generatore di radiofrequenze. La ionizzazione dell’Ar viene iniziata con una scintilla e le coppie ione/elettrone che si formano interagiscono con il campo magnetico alternato prodotto dalla bobina di induzione e sono costretti a percorrere un moto anulare causando per resistenza un riscaldamento ohmico. Il campione viene introdotto nella torcia tramite flusso di Argon. L’elevata temperatura che si raggiunge nella sorgente permette di ridurre le interferenze e ottenere condizioni di atomizzazione sufficienti per la maggior parte degli elementi, permettendo di registrare simultaneamente gli spettri di molti elementi diversi. Le specie atomiche vengono rilevate per lettura dell’intensità della luce emessa a determinate frequenze, rendendo possibile rilevare numerosi metalli anche in concentrazioni di ppm o di ppb con adeguati sistemi di rilevazione del campione.

4.4 - Magnetometria

Le misure magnetiche riportate sono state eseguite con un magnetometro SQUID (Superconducting Quantum Interference Device), il cui funzionamento si basa sul passaggio di corrente in circuito chiuso sottoposto a un flusso di campo magnetico che varia nel tempo. Il dispositivo è formato da una spira, che diventa superconduttrice a bassa temperatura, e da una giunzione Josephson, ovvero un dispositivo formato da tre zone: superconduttore-ossido- superconduttore. La corrente passa lo strato isolante per effetto tunnel, oscillando tra un massimo e un minimo in funzione della variazione tra le bobine del flusso del campo magnetico indotto dalla magnetizzazione del campione. Il campione, immesso in una camera costituita da un criostato, viene mosso in un campo magnetico omogeneo, prodotto da una bobina superconduttrice immersa in elio liquido. Il movimento del campione genera un flusso di campo magnetico proporzionale al momento magnetico del campione, che è la quantità che viene misurata. Il criostato è inserito in una camera sottovuoto. Il bagno di elio liquido ha la funzione di mantenere nello stato superconduttore il solenoide che genera il campo magnetico principale, il sistema di misura della corrente indotta accoppiato a un dispositivo SQUID e lo SQUID stesso. Il dispositivo permette di

39 rilevare flussi con sensibilità dell’ordine di 10-14 Wb, corrispondenti a magnetizzazione di 10-7 – 10-9 emu, secondo la relazione in Equazione 22:

𝐼 = −𝐼𝑐sin(2𝜋 ( 𝜑 𝜑𝑐

))

Equazione 22

con Ic corrente limite per cui il sistema non si comporta più da superconduttore e φ/φc numero di quanti di flusso magnetico misurati. La misura consiste nel muovere il campione tra alcune bobine, dette pickup coils, accoppiate altre bobine, dette input coils, che trasmettono per induttanza la variazione di flusso magnetico allo SQUID. Lo strumento converte tali variazioni in un segnale elettrico e le invia al sistema di acquisizione dati del computer (attraverso un’altra serie di bobine, chiamate output coils). Le bobine attraverso cui si muove il campione costituiscono un gradiometro, ovvero un sistema in grado di misurare solo il gradiente di campo magnetico. Per realizzare il dispositivo un filo di materiale superconduttore viene avvolto in maniera tale da formare due bobine contenenti lo stesso numero di spire avvolte in direzioni opposte, e tale forma serve a eliminare qualsiasi contributo al flusso del campo magnetico non derivante dal campione. Il controllo della temperatura avviene attraverso termometri costituiti da due diodi di GaAs, collegati a un controller.

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