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Nanoeterostrutture a base di oro e ossidi di ferro: effetto dei parametri sintetici su morfologia e dimensione

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale

Corso di laurea magistrale in Chimica

Curriculum inorganico

Nanoeterostrutture a base di oro e ossidi di ferro:

effetto dei parametri sintetici su morfologia e dimensione

Candidato Relatore

Alessandro De Fecondo Francesco Pineider

Correlatore

Elvira Fantechi

Controrelatore

Valentina Domenici

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Indice

Capitolo 1 - Introduzione...3

Capitolo 2 – Principi e applicazioni di plasmonica e magnetismo di nanoparticelle ...7

2.1 - Plasmonica ...7

2.2 - Magnetismo ... 10

2.3 Nanoparticelle plasmoniche e magnetiche in campo biomedico ... 15

Capitolo 3 - Principi di sintesi di nanoparticelle inorganiche ... 24

3.1 - Nucleazione e crescita delle nanoparticelle da mezzo liquido ... 24

3.2 - Sintesi di nanoparticelle inorganiche ... 27

3.3 - Nucleazione eterogenea ... 30

3.4 - Sintesi di nanoparticelle di Au e Fe3O4 ... 32

3.5 - Sintesi di nanoeterostrutture ... 33

Capitolo 4 - Tecniche sperimentali ... 35

4.1 - Microscopia a trasmissione elettronica (TEM) ... 35

4.2 - Diffrazione di raggi X di polveri (XRD) ... 36

4.3 - Spettroscopia atomica di emissione con sorgente al plasma (ICP - AES) ... 38

4.4 - Magnetometria ... 38

4.5 - Specific absorption rate (SAR)... 39

Capitolo 5 - Sintesi e caratterizzazione ... 41

5.1 - Introduzione... 41

5.2 - Sintesi di nanocristalli di Au ... 42

5.3 - Sintesi di nanoeterostrutture dimeriche Au-MFe2O4 ... 45

5.4 - Trasferimento in acqua... 69

5.5 - Misure magnetometriche ... 71

5.6 - Misure di ipertermia ... 74

5.7 - Sintesi di manganese ferriti ... 75

5.8 - Parte sperimentale ... 78

Conclusioni ... 86

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Capitolo 1 - Introduzione

Negli ultimi anni è sorto un grande interesse verso i materiali in cui una o più delle tre dimensioni siano comprese tra 1 e 100 nanometri. Questi ultimi, detti nanomateriali, presentano proprietà differenti rispetto ai corrispettivi materiali massivi o microstrutturati e, anche rimanendo all’interno dell’intervallo 1-100 nm, variazioni di dimensioni portano cambiamenti significativi nelle proprietà chimico-fisiche. Infatti, a seguito della diminuzione delle dimensioni alla scala del nanometro, aumenta il rapporto superficie/volume del materiale e fenomeni dovuti a interazioni della superfice (tensione superficiale, forze di van der Waals, etc…) risultano avere un peso maggiore rispetto a quello che hanno in materiali tridimensionali. Inoltre, la riduzione delle dimensioni alla scala nanometrica conferisce alle nanoparticelle di metalli nobili e a quelle magnetiche proprietà peculiari nel campo della ottica e del magnetismo, quali la risonanza plasmonica e il superparamagnetismo.

Queste e altre proprietà delle nanoparticelle hanno fatto sì che trovassero applicazione in catalisi,1,2 biomedicina,3,4 diagnostica5 e sensoristica.6 In catalisi particelle di oro o platino sono utilizzate per l’ossidazione di CO,1 mentre nanoparticelle a base di ferriti sono utilizzate per la decomposizione di metanolo a CO e idrogeno,7 ossidazione di alcheni e deidrogenazioni. Nanoparticelle bifunzionali eterostrutturate Au-Fe3O4 sono utilizzate in reazioni di ossidazione di CO, riduzione di perossido di idrogeno e nitrofenoli. 8,9,10 Un altro campo in cui le nanostrutture sono studiate è quello delle applicazioni biomediche,3,4,5,11 nel quale i possibili utilizzi sono numerosi: come agenti di contrasto per imaging, per il trasporto di farmaci in tessuti malati, o come mediatori di calore in terapie antitumorali. Nel campo dell’imaging, nanoparticelle magnetiche sono utilizzate come agenti di contrasto per risonanza magnetica (MRI) e il loro funzionamento è simile a quello degli agenti di contrasto molecolari che sfruttano ioni paramagnetici, nanoparticelle composte da elementi ad elevato numero atomico possono essere utilizzate come agenti di contrasto per tomografia computerizzata (CT), particelle di metalli nobili, per esempio Au, possono essere utilizzate per imaging ottico. Tramite la funzionalizzazione della superficie delle nanoparticelle, necessaria anche per garantirne la stabilità quando disperse in un liquido, è possibile far sì che si accumulino in zone specifiche dell’organismo (targeting) in modo da ridurre la quantità di metallo utilizzata. Oltre ad essere utilizzato per le tecniche di imaging, il targeting può essere utile in ambito terapeutico. Infatti, oltre a legare alla superficie molecole in grado di interagire con recettori specifici delle cellule che si vogliono trattare, è possibile funzionalizzare le nanostrutture con molecole biologicamente attive, in modo tale che, in base alle condizioni fisiologiche dei tessuti malati o in seguito a uno stimolo esterno, possa avvenire il rilascio del farmaco (drug delivery). In nanoeterostrutture magnetiche il targeting, oltre che di natura

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4 molecolare, può essere di natura magnetica, ovvero è possibile sfruttare le caratteristiche magnetiche dei materiali utilizzati per muoverli all’interno dell’organismo. Un altro trattamento terapeutico che è possibile eseguire con i nanomateriali è quello dell’ipertermia, ovvero utilizzare nanoparticelle come mediatori di calore in terapie antitumorali. Questo tipo di trattamento si basa sull’osservazione che le cellule di tessuti tumorali risultano più sensibili al calore di quelle presenti nei tessuti sani.12 L’ipertermia si basa quindi sull’esposizione prolungata di cellule tumorali a temperature maggiori di quella fisiologica, in modo da causarne l’indebolimento o la morte in base alla temperatura utilizzata. Si parla di ipertermia quando l’aumento di temperatura è compreso tra 40 - 45 °C. Queste temperature non sono sufficienti a causare la morte delle cellule tumorali ma le rendono più sensibili ai trattamenti classici, come chemio- e radioterapia. L’esposizione per lunghi periodi a temperature superiori a 45°C può portare alla morte delle cellule, e il fenomeno viene detto termoablazione.12 I trattamenti che sfruttano le nanoparticelle come mediatori di calore sono principalmente due: ipertermia magnetica o fototermica. 3,11,13

Una interessante possibilità che offre l’utilizzo delle nanoparticelle è quella di combinare in un unico sistema due o più nanoparticelle per formare delle nanoeterostrutture. Il vantaggio che l’utilizzo di eterostrutture comporta, rispetto all’uso di nanoparticelle formate da un singolo materiale, deriva dalla possibilità di combinare le singole funzionalità in un unico sistema e, a volte, di svilupparne di nuove. Nel campo delle applicazioni biomediche è possibile combinare particelle usate per diversi tipi di tecniche diagnostiche: una struttura con un dominio magnetico e uno formato da una particella in grado di dare risonanza plasmonica superficiale potrebbe essere utilizzata come agente di contrasto sia per MRI, sia per imaging ottico, permettendo di superare i limiti intrinseci alle singole tecniche. È possibile combinare terapia e diagnostica, ad esempio legando a un sistema utilizzato come agente di contrasto, un dominio attraverso il quale è possibile eseguire trattamenti ipertermici o drug delivery. Le nanoeterostrutture possono essere utili anche in catalisi: è possibile legare un dominio magnetico a un catalizzatore eterogeneo nanostrutturato in modo da poter recuperare il catalizzatore, a fine reazione, utilizzando un gradiente di campo magnetico.

Sistemi eterostrutturati costituiti da un dominio di oro e uno di magnetite, F3O4, sono studiati da anni per le loro applicazioni in campo medico: sia l’oro che la magnetite sono materiali non tossici, a differenza di agenti di contrasto molecolari attualmente usati per MRI, che sfruttano ioni paramagnetici di Gd o Mn,5 o per CT, che sfruttano molecole iodate,14 ed essendo utilizzati da tempo in medicina la loro farmaco cinetica è nota. Nanostrutture Au-Fe3O4 sono studiate come agenti di contrasto multimodali per MRI e CT.15,16 L’efficienza come agenti di contrasto delle strutture Au-Fe3O4 è simile a quella riportata per le nanoparticelle di Fe3O4 singole,17 ma queste

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5 strutture permettono di sfruttare anche le proprietà ottiche e chimiche dell’oro. La risonanza magnetica è una tecnica molto utilizzata in diagnostica perché non invasiva, con una buona risoluzione spaziale e, nei tessuti molli, permette di ottenere un contrasto migliore della tomografia computerizzata, che tuttavia è più diffusa in ambito diagnostico perché più efficiente e meno costosa. Con l’utilizzo di tali nanoeterostrutture potrebbe essere possibile unire le due tecniche diagnostiche. Il concetto di multifunzionalità può essere applicato anche ai trattamenti terapeutici: nanoparticelle di oro e di magnetite sono studiate anche per la possibilità di utilizzarle per trattamenti ipertermici. Nel caso della magnetite il rilascio di calore avviene in seguito all‘applicazione di un campo magnetico alternato di frequenza opportuna, mentre per le nanostrutture di oro avviene in seguito all’irraggiamento con una radiazione che possa essere assorbita e riemessa dalle particelle. Tuttavia unendo Au e Fe3O4 in un unico sistema è possibile sfruttare entrambe le modalità di produzione di calore contemporaneamente, e l’efficienza ipertermica di questi sistemi risulta superiore a quella che ottenuta con le singole funzionalità.18 Anche sfruttando esclusivamente l’effetto ipertermico dovuto all’ossido di ferro, in letteratura è riportato che la presenza di un dominio di oro potrebbe contribuire al meccanismo di dissipazione del calore.19 Sono stati riportati anche esempi di nanoeterostrutture Au-Fe

3O4 utilizzate come piattaforme per drug delivery, ad esempio legando un complesso di platino al dominio di oro e un anticorpo specifico per recettori sovraespressi dalle cellule tumorali al dominio di ossido di ferro, e si è osservato un aumento dell’incorporazione del farmaco a base di platino, che ha portato a una maggiore tossicità verso le cellule malate, con i domini di oro e magnetite che possono essere utilizzati come sonde per imaging per le loro proprietà ottiche e magnetiche.20 La formazione di nanoeterostrutture a base di Au e magnetite può essere utile anche in campi diversi rispetto a quello delle applicazioni biomediche. In catalisi ad esempio, nanoeterostrutture di Au-Fe3O4 risultano più attive nel catalizzare la riduzione del perossido di idrogeno rispetto alle nanoparticelle singole, e anche rispetto a una miscela di nanoparticelle di oro e ossido di ferro insieme.9 Questo aumento di attività viene attribuito alla polarizzazione degli elettroni che si verifica all’interfaccia tra il domini di oro e quello di ossido, che rende Fe3O4 più attivo nella reazione. La presenza di un dominio di ossido di ferro, oltre a permettere il recupero del catalizzatore per separazione magnetica dalla miscela reazione, stabilizza le particelle di oro dall’agglomerazione aumentandone il tempo di vita.21

In questo tirocinio abbiamo sintetizzato nanoeterostrutture a base di oro e ossidi di ferro. Ci siamo concentrati in particolare sul cercare di modificare la parte magnetica delle strutture. Nell prima parte del lavoro abbiamo cercato, partendo da sintesi riportate in letteratura, di aumentare le dimensioni del dominio magnetico, mantenendo un controllo sulla morfologia dei domini, e

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6 abbiamo cercato di studiare che effetto abbia la modifica di vari parametri sintetici (come rapporto tra metalli utilizzati, tipo e concentrazione dei tensioattivi) sul prodotto a composizione costante. Nella seconda parte del lavoro ci siamo concentrati sul variare la composizione del dominio magnetico, sostituendo parte dei cationi bivalenti di Fe3O4, con ioni di altri metalli, Co e Mn, al fine di modificarne il comportamento magnetico delle nanostrutture e abbiamo osservato l’effetto sul prodotto finale dei precursori e delle condizioni di reazione utilizzati. Alcune delle strutture sintetizzate sono state trasferite in acqua al fine di valutarne la SAR (Specific Absorption Rate) in vista di un loro ipotetico utilizzo in ambito biomedico come mediatori di calore in terapie di ipertermia magnetica.

Nel secondo capitolo di questa tesi verranno trattate in maniera più approfondita alcune delle proprietà ottiche e magnetiche dei nanomateriali a base di Au e Fe3O4, quali la risonanza plasmonica superficiale e i diversi tipi di comportamento magnetico, e alcune loro applicazioni in campo biomedico. Nel terzo capitolo tesi verranno introdotte le metodologie di sintesi delle nanostrutture, e verrà approfondita in particolare la sintesi colloidale di nanoparticelle metalliche e di ossidi metallici. Nel quarto capitolo verranno presentate le principali tecniche di analisi utilizzate per caratterizzare le nanoparticelle sintetizzate. Nel quinto capitolo verranno poi discusse le procedure sperimentali utilizzate in questo lavoro per le sintesi di nanoeterostrutture di tipo Au-MFe2O4 e la caratterizzazione dei prodotti sintetizzati. Infine, nel sesto ed ultimo capitolo verranno discusse le conclusioni del lavoro svolto.

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Capitolo 2 – Principi e applicazioni di plasmonica e magnetismo di

nanoparticelle

2.1 - Plasmonica

Un esempio delle proprietà dei materiali che subiscono una variazione con la diminuzione delle dimensioni su scala nanometrica è quello delle proprietà ottiche. Passando da un materiale macroscopico a un materiale nanostrutturato, cioè con una o più dimensioni comprese tra 1 e 100 nm, le proprietà del materiale mutano rispetto a quelle massive e acquisiscono maggiore rilevanza fenomeni dovuti alla superficie, trascurabili in un materiale massivo, dando luogo a nuove proprietà: è il caso delle proprietà plasmoniche.

Si definisce “plasmone” un’oscillazione collettiva di elettroni liberi del materiale. In particolare, in materiali nanostrutturati si parla di plasmoni di superficie, cioè oscillazioni di elettroni che avvengono all’interfaccia tra un materiale conduttore e un materiale isolante. Nel caso di materiali 0-D, in cui tutte e tre le dimensioni sono nanometriche, questa oscillazione degli elettroni di conduzione si verifica per interazione della particella con il campo elettrico oscillante della luce, ed è confinata dalle dimensioni della nanoparticella: gli elettroni oscillano in base al campo elettrico della radiazione, generando una separazione di cariche sulla superficie della nanoparticella. La separazione di cariche genera una forza di richiamo, con verso opposto a quello del campo elettrico della luce: di conseguenza si ha un’oscillazione degli elettroni liberi del materiale con un certo periodo e si parla di plasmone oscillante di superficie.22 La risonanza plasmonica di superficie è un’eccitazione coerente di tutti gli elettroni liberi. Si possono sviluppare plasmoni anche in materiali massivi, tuttavia non possono essere eccitati direttamente dalla luce e non saranno trattati in questo lavoro. La teoria alla base dello studio di particelle plasmoniche fu elaborata nel 1908 da Mie, che risolse in modo analitico le equazioni di Maxwell per una particella sferica. La teoria di Mie si basa su alcune assunzioni:

- la particella e il mezzo in cui essa è immersa sono assunti come omogenei e descrivibili tramite le rispettive funzioni dielettriche; tali funzioni dielettriche descrivono le proprietà ottiche del materiale e possono essere determinate sperimentalmente o calcolate attraverso modelli teorici

- sulla superficie della particella di raggio R ci sia una netta discontinuità della densità elettronica;

Le soluzioni delle equazioni di Maxwell permettono di ottenere le cross section di estinzione della particella. Quando una particella interagisce con una radiazione elettromagnetica, i fotoni della

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8 radiazione possono subire un fenomeno di assorbimento o diffusione, chiamato anche scattering. Entrambi i fenomeni contribuiscono alla cross section di estinzione della radiazione, che sarà quindi data dalla somma della cross section di assorbimento e della cross section di scattering: queste indicano la probabilità che uno dei due fenomeni avvenga in seguito all’interazione tra particella e radiazione. Le espressioni delle cross section hanno una forma complessa nel caso generico, ma sono notevolmente semplificate nell’approssimazione dipolare quasi-statica. In tale approssimazione, il diametro della nanoparticella è molto più piccolo della lunghezza d’onda della luce incidente (R<< λ) e il campo elettrico della luce può essere assunto costante all’interno della particella. L’equazione elaborata da Mie per la cross section di estinzione per una nanoparticella è semplificata alla seguente equazione (Equazione 1):

𝜎𝑒𝑥𝑡= 24𝜋2𝑅3𝜀 𝑚 3/2 𝜆 𝜀2 (𝜀1+ 2𝜀𝑚)2+ 𝜀22 Equazione 1

dove R è il raggio della nanoparticella, λ è la lunghezza d’onda della radiazione incidente e εm è la

funzione dielettrica del mezzo in cui è dispersa la nanoparticella, approssimabile a un numero reale costante in regioni dello spettro in cui l’assorbimento del mezzo è trascurabile, come nel caso di un solvente trasparente. ε1 e ε2 rappresentano la parte reale e la parte immaginaria della funzione

dielettrica del materiale di cui è composta la nanoparticella. Assumendo che la costante dielettrica del mezzo non vari significativamente al variare di λ, dato che ε1 e ε2 variano con λ, ci sarà una

lunghezza d’onda per cui ε1=-2 εm. Se per quella λ ε2 è piccolo, la cross section di estinzione (Equazione 1) va ad infinito e si osserva un massimo nello spettro di estinzione corrispondente al picco di risonanza plasmonica di superficie. Il mezzo in cui è dispersa la nanoparticella influenza la posizione del picco nello spettro, poiché al variare della sua costante dielettrica, cambierà la λ per cui ε1=-2 εm per un dato materiale. Al variare del materiale che compone la nanoparticella

cambieranno ε1 e ε2, e quindi le condizioni per cui il denominatore della funzione si annulla. Per

particelle di dimensioni inferiori alla λ della radiazione, il raggio della nanoparticella compare solo come fattore moltiplicativo nell’equazione di Mie. Tuttavia, se le dimensioni della nanoparticella diventano inferiori al cammino libero medio degli elettroni cambiano le caratteristiche di conduzione delle nanoparticelle e questo ha un’influenza su ε1 e ε2. Solo alcuni metalli danno dei

picchi di risonanza plasmonica stretti e ben definiti: ciò si verifica quando ε2 è piccola, così che la

cross section di estinzione venga massimizzata. Tanto più ε2 è grande, tanto meno intenso sarà il

picco di risonanza plasmonica. Gli assorbimenti in un metallo massivo sono dovuti alle transizioni tra bande elettroniche del metallo, dette transizioni interbanda, le quali in genere coinvolgono gli orbitali d e gli orbitali s del metallo. Se gli assorbimenti interbanda sono intensi nelle zone spettrali

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9 dove cade la risonanza plasmonica, l’intensità di quest’ultima sarà smorzata. La differenza si può notare osservando gli spettri di estinzione particelle di argento e oro di 10 nm in acqua (Figura 2.1), calcolati tramite il programma nanoComposix,23 che utilizza la teoria di Mie.

300 400 500 600 700 800 0.00E+000 5.00E-017 1.00E-016 1.50E-016 2.00E-016 2.50E-016 cross section di estinzione lunghezza d'onda (nm) Ag a 300 400 500 600 700 800 0.00E+000 1.00E-017 2.00E-017 3.00E-017 4.00E-017 5.00E-017 6.00E-017 cross section di estinzione lunghezza d'onda Au b

Figura 2.1 Spettri di estinzione calcolati di nanoparticelle sferiche di a) Ag e b) Au con diametro di 10 nm in acqua

Per particelle di dimensioni comparabili con la λ della radiazione incidente l’approssimazione quasi statica della teoria di Mie non vale più e l’equazione semplificata riportata sopra non è più utilizzabile. In questi casi, lo scattering non è trascurabile e la distribuzione di carica non è omogenea su tutta la particella durante l’oscillazione.

Lo studio della plasmonica non è limitato solo ai metalli: a seconda del drogaggio un materiale semiconduttore può diventare un debole conduttore e comportarsi come un metallo “rarefatto”: cambia il numero di elettroni per unità di massa (o di volume), ed è più basso di quello di un metallo. La posizione del picco di risonanza plasmonica dipende linearmente dalla radice quadrata della concentrazione di portatori di carica: maggiore è la densità e maggiore sarà la frequenza di risonanza del plasmone.24 Data la minore densità di elettroni i semiconduttori hanno solitamente risonanze che stanno nell’IR.

Quando la simmetria del sistema diminuisce, e la forma della particella non è più sferica, ci possono essere differenti modi di oscillazione degli elettroni rispetto agli assi della nanoparticella. A seconda della posizione del vettore del campo elettrico della luce rispetto alla particella si possono eccitare modi diversi, a cui saranno associate frequenze di risonanza differenti, per cui nello spettro di estinzione ci saranno più picchi. In Figura 2.225 sono riportati gli spettri di estinzione di nanorods di oro con differenti aspect ratios, cioè il rapporto tra l’asse longitudinale e quello trasversale di una nanostruttura non sferica, (Figura 2.2 A), e un’immagine TEM di nanorods di oro con aspect ratio di 3.9 (Figura 2.2 B). Dagli spettri è possibile notare come, al crescere del aspect

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10 ratio delle particelle, la lunghezza d’onda della risonanza plasmonica di superficie dovuta all’oscillazione degli elettroni lungo l’asse longitudinale aumenti.

Figura 2.2 A) spettri di estinzione di nanorods di oro con differente aspect ratios, B) immagine TEM di nanoparticelle di oro con aspect ratio di 3.9.

2.2 - Magnetismo

Le proprietà magnetiche di un materiale descrivono la sua risposta a un campo magnetico applicato. In particolare, la suscettività magnetica di un materiale, χ, è la costante di proporzionalità tra un aumento infinitesimo del campo applicato, δH, e l’aumento infinitesimo del momento magnetico del materiale, δM. A ogni spin è associato un momento magnetico che può essere rappresentato come una spira di corrente. Se in un’area di A metri quadri circola una corrente di I ampere, il momento magnetico, m, è definito come m = I*A. La magnetizzazione di un materiale è definita come la densità locale di momenti magnetici. Il campo applicato (H) induce un’orientazione degli spin elettronici degli atomi presenti nel campione, e provoca un aumento del momento magnetico del campione. A campi magnetici elevati, si arriva ad una situazione di saturazione, in cui tutti gli spin sono allineati con il campo applicato e anche aumentando il campo non si ha un aumento del momento magnetico. La suscettività magnetica deriva da alcuni contributi:

- Dalla risposta degli spin degli elettroni al campo magnetico;

- Dal momento angolare degli elettroni, classicamente descritti come una carica che si muove attorno al nucleo;

- Dalla variazione del moto degli elettroni dovuta al campo applicato.

La maggior parte dei materiali non hanno elettroni spaiati e la suscettività è dovuta essenzialmente al terzo contributo. La risposta del materiale è quindi di segno opposto al campo applicato e si parla di suscettività diamagnetica. La suscettività è additiva e dovuta a tutti gli atomi

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11 presenti. Se sono presenti degli elettroni spaiati, si osserva una risposta paramagnetica del materiale, generalmente molto più intensa di quella diamagnetica che può essere in questo caso trascurata. La suscettività paramagnetica è descritta dalla legge di Curie (Equazione 2):

𝜒 =[𝑁𝑔 2𝜇 𝑏 2𝑆(𝑆 + 1)] 3𝑘𝑇 = 𝐶 𝑇 Equazione 2

Con C costante di Curie definita come C = [Ng2μ

b2 S(S + 1)]/3k, N numero di elettroni spaiati, g

rapporto giromagnetico, ovverosia il rapporto tra il momento magnetico e il momento angolare di una particella (in questo caso dell’elettrone), μb costante detta magnetone di Bohr, S numero di

spin spaiati del sistema, k costante di Boltzmann e T temperatura. La legge di Curie può essere espressa come χ = C/T, e da questa espressione si osserva che la suscettività ha un andamento che dipende, oltre che dalla molteplicità di spin e quindi dal numero di spin spaiati, da T-1. A bassa temperatura la suscettività di un sistema paramagnetico sarà alta, e ad alta temperatura la suscettività diminuirà. In un sistema a temperatura superiore a 0 K, lo spin tenderà a riorientarsi statisticamente, senza un’orientazione preferenziale, a una velocità che dipende dall’energia termica. Applicando un campo magnetico si ha una direzione di orientamento preferenziale per lo spin, collineare al campo magnetico applicato. I due effetti sono in competizione: ad alta temperatura il sistema avrà energia termica sufficiente a riorientare gli spin statisticamente e il campo magnetico sarà meno efficace a orientare gli spin. A bassa temperatura invece l’efficienza del campo magnetico a orientare gli spin sarà maggiore perché il sistema non ha energia sufficiente a riorientarsi.

Gli spin non si comportano sempre come entità indipendenti, ma ci sono condizioni per cui lo stato di spin di un centro influenza lo stato di spin di un centro adiacente: questo fenomeno è chiamato accoppiamento (o scambio) magnetico. Questo comportamento può essere dovuto a vari tipi di interazioni. Le interazioni che danno origine ad accoppiamento magnetico sono:

- Interazioni dipolare, attraverso lo spazio;

- Interazioni di scambio, attraverso legami chimici;

- Interazione attraverso elettroni della banda di conduzione.

L’interazione di scambio, ad esempio, è responsabile dell’accoppiamento ferromagnetico o antiferromagnetico di centri di spin vicini. Se due spin sono accoppiati parallelamente si parla di accoppiamento ferromagnetico, se l’accoppiamento è antiparallelo di accoppiamento antiferromagnetico.

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12 I diversi tipi di comportamento magnetico, che derivano da queste interazioni, sono:

- Ferromagnetismo: comportamento che descrive una situazione in cui tutti i momenti

magnetici che compongono il sistema sono allineati parallelamente. Anche in assenza di un campo magnetico applicato si può avere una magnetizzazione.

- Antiferromagnetismo: descrive una situazione in cui tutti gli spin sono accoppiati

antiparallelamente. Sebbene la somma dei momenti magnetici che compongono il sistema sia nulla, questo comportamento è differente dal diamagnetismo. Nel caso del diamagnetismo non sono presenti elettroni spaiati nel sistema, mentre nell’antiferromagnetismo gli elettroni appartenenti a orbitali differenti si influenzano tramite interazioni di scambio.

- Ferrimagnetismo: nel sistema sono presenti centri di spin accoppiati antiparallelamente,

ma i momenti di spin non sono uguali per ogni specie presente nel reticolo, per cui non c’è compensazione del momento magnetico. Il momento magnetico risultante non sarà nullo e le proprietà del materiale saranno simili a quelle di un ferromagnete.

Queste interazioni che si instaurano tra centri magnetici prevalgono finché l’energia di agitazione termica prevale sulla forza dell’accoppiamento magnetico. Vi sarà una temperatura oltre la quale l’ordine derivante dalle interazioni magnetiche viene perso a causa dell’agitazione termica che porta a una disposizione casuale dei momenti magnetici. Questa temperatura è detta temperatura di Curie nel caso di sistemi ferromagnetici e di Néel nel caso di sistemi antiferromagnetici. Al di sopra della temperatura di Curie, dato che le interazioni di scambio non sono più presenti, il sistema si comporterà come un paramagnete; questo comportamento può essere osservato riportando in grafico l’andamento della suscettività magnetica in funzione della temperatura (Equazione 3).

𝜒 = 𝐶

(𝑇 − 𝜃)

Equazione 3

Il parametro θ, temperatura di Curie, sarà maggiore di zero per materiali ferromagnetici e minore di zero per materiali antiferromagnetici.

2.3.2 Magnetismo delle nanoparticelle

Un materiale ferromagnetico si organizza in domini magnetici, ovverosia zone del materiale in cui gli spin sono allineati parallelamente tra loro. Tuttavia, globalmente lo spin di un dominio può essere orientato in maniera differente dallo spin dei domini adiacenti; questo fenomeno avviene per ridurre l’energia magnetostatica. Al confine tra due domini ferromagnetici l’orientazione degli

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13 spin cambia gradualmente e la zona di spazio in cui l’orientazione dello spin ruota dalla direzione che ha in un dominio magnetico a quella che ha nel dominio adiacente si chiama parete di Bloch. La dimensione della parete di Bloch dipende da due caratteristiche del materiale, l’energia di scambio e la costante di anisotropia magnetica. L’energia associata a una parete di dominio è espressa dall’ Equazione 4:

𝐸𝜎= 2 (𝐾/𝐴)2

Equazione 4

dove K rappresenta la costante di anisotropia magnetocristallina e A l’energia di scambio, ovverosia l’energia associata alla graduale rotazione della magnetizzazione. Quando le dimensioni del materiale diventano inferiori alle dimensioni di una parete di Bloch, per il sistema non è più conveniente suddividersi in domini magnetici perché l’energia necessaria a formare una parete risulta maggiore del guadagno energetico derivante dalla riduzione dell’energia magnetostatica. Si definisce limite di taglia la dimensione massima di una particella perché questa abbia un solo dominio magnetico, ovvero la dimensione per cui la formazione di più dominio e quindi anche di una parete di Bloch, non sia vantaggiosa dal punto di vista energetico. Sotto una dimensione critica, che dipende da caratteristiche del materiale, si ha un solo dominio magnetico in cui tutti gli spin sono allineati nella stessa direzione. Una particella magnetica a singolo dominio si comporta in maniera simile ad un paramagnete, pertanto si parla di comportamento superparamagnetico. La suscettività in questo caso è descritta in Equazione 5:

𝜒 = 𝑀𝑠 2𝑉 3𝑘𝑏𝑇

Equazione 5

dove MS è il momento magnetico a saturazione e V il volume della particella.

In un cristallo possono esistere direzioni preferenziali lungo cui la magnetizzazione tende a giacere, detti assi di facile orientazione. Ciò è dovuto all’anisotropia magnetica del materiale, una proprietà che deriva da vari contributi, tra i quali il più importante è quello dovuto all’anisotropia magnetocristallina. Questa deriva dalla disposizione spaziale degli orbitali nel cristallo, che fa sì che il vettore magnetizzazione si allinei preferenzialmente lungo alcuni particolari assi cristallografici. Nel caso di anisotropia uniassiale, cioè nel caso in cui sia presente un solo asse di facile magnetizzazione, l’energia associata all’orientazione della magnetizzazione lungo un particolare asse è descritta dall’ Equazione 6:

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14 𝐸 = 𝐾𝑉 sin2𝜃

Equazione 6

dove K è la costante di anisotropia magnetocristallina, V è il volume della nanoparticella e θ è l’angolo tra il momento magnetico e l’asse di anisotropia. Altri contributi all’anisotropia posso derivare dalla forma o dalla superficie della particella, oltre che dalle interazioni dipolari e di scambio tra particelle diverse.

In una particella a singolo dominio con anisotropia uniassiale, ovvero con un solo asse di facile magnetizzazione, sono presenti due orientazioni possibili della magnetizzazione lungo quell’asse, quella parallela e quella antiparallela rispetto al campo applicato lungo quell’asse, ognuna corrispondente a un minimo energetico. I due minimi saranno separati da una barriera energetica che sarà massima in corrispondenza della direzione perpendicolare all’asse di facile magnetizzazione. In assenza di un campo magnetico esterno i due minimi sono degeneri e i due stati di spin sono ugualmente popolati (Figura 2.3).

Figura 2.3 Diagramma di energia di una particella con anisotropia uniassiale in funzione dell’angolo compreso tra il vettore magnetizzazione e l’angolo di facile magnetizzazione.

Nel momento in cui viene applicato un campo magnetico esterno lungo l’asse di facile magnetizzazione, la direzione parallela al campo magnetico sarà energeticamente favorevole e statisticamente la popolazione spin si disporrà in quello stato. Rimuovendo il campo esterno, i due minimi torneranno degeneri ma, se il sistema non ha energia sufficiente per riorientarsi, saranno diversamente popolati, e ci sarà un momento magnetico risultante diverso da zero. È la barriera energetica tra i due minimi a impedire la redistribuzione della popolazione tra i due stati della magnetizzazione. Tale barriera dipende da due fattori (Equazione 7): la costante di anisotropia del materiale Ka e è il volume della particella V.

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15 ∆𝐸 = 𝐾𝑎𝑉

Equazione 7

La barriera energetica aumenta quindi con l’aumentare del volume della nanoparticella e con l’anisotropia del sistema. L’anisotropia permette a un sistema superparamagnetico di bloccarsi in uno stato magnetico. L’agitazione termica, se è maggiore della barriera energetica tra i due stati di spin, permette al sistema di riorientarsi magneticamente, e il sistema si comporta come un paramagnete. In questo caso si parla di regime superparamagnetico. Se invece l’energia termica non è sufficiente a permettere la riorientazione entro il tempo caratteristico della misura, il regime è detto di bloccaggio. La particella è in questo caso bloccata e non è libera di orientarsi col campo. Il tempo di rilassamento è esprimibile tramite la seguente equazione (Equazione 8):

𝜏 = 𝜏0𝑒 (𝐾∆𝐸

𝑏𝑇)

Equazione 8

dove ΔE è la barriera energetica che separa i due stati di magnetizzazione. Tanto maggiore è T tanto più rapido sarà il rilassamento, tanto maggiore è ΔE tanto più lento sarà il rilassamento. La temperatura di bloccaggio, definita come la temperatura al di sotto della quale il sistema ha memoria magnetica, si può esprimere attraverso l’Equazione 9:

𝑇𝐵 = 𝑉 𝑙𝑛 (𝑡𝜏𝑚

0) 𝑘𝑏

Equazione 9

Dove tm è tempo di misura: il sistema sarà bloccato o meno a seconda della scala di tempo

considerata. Se tm > τ il tempo di rilassamento sarà più breve del tempo di misura e si osserverà la

media nel tempo della magnetizzazione. Per τ > tm il sistema si trova in regime di bloccaggio.

2.3 Nanoparticelle plasmoniche e magnetiche in campo biomedico

Grazie alle loro proprietà magnetiche e ottiche, le nanoparticelle magnetiche e plasmoniche sono molto utilizzate in campo biomedico per applicazioni come imaging, targeting, drug delivery o terapia antitumorale ipertermica.5,3,11,4 L’utilizzo di nanoparticelle in applicazioni biomediche può portare a diversi vantaggi rispetto all’utilizzo di agenti molecolari, vantaggi che derivano principalmente dalla possibilità di alterare considerevolmente le proprietà delle particelle anche con piccoli cambiamenti delle caratteristiche del materiale, ad esempio i cambiamenti di comportamento magnetico con le dimensioni o gli spostamenti del picco dovuto alla risonanza

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16 plasmonica superficiale che avvengono al variare dell’indice di rifrazione del mezzo, e dalla multifunzionalità, cioè dalla possibilità di combinare in un'unica struttura diversi domini per poter eseguire contemporaneamente diverse operazioni, ad esempio più tecniche di imaging in grado di fornire informazioni complementari o tecniche di imaging e terapeutiche, per poter seguire l’evoluzione del tessuto malato mentre viene applicato il trattamento terapeutico. Dimensioni e area superficiale, il tipo di molecole legate alla superficie, la carica superficiale e la stabilità nel mezzo acquoso sono fattori cruciali nel determinare la biocompatibilità delle particelle.26 Particelle di dimensioni minori di 8 nm sono eliminate dai reni, mentre quelle di dimensioni maggiori di 200 nm sono rimosse dal flusso sanguigno e accumulate nel fegato dove vengono degradate. Particelle a carica superficiale positiva risultano più citotossiche e hanno maggiore probabilità di causare emolisi di particelle neutre o anioniche.27 Particelle idrofobiche permangono nell’organismo per periodi brevi e sono rimosse rapidamente dalla circolazione. Inoltre, se l’interazione tra la superficie delle nanoparticelle e le molecole d’acqua è minore dell’interazione tra molecole d’acqua si può avere una rapida aggregazione delle particelle. Particelle idrofiliche possono essere invece stabilizzate dalle molecole d’acqua che interagiscono con la superficie formando uno strato che aiuta a mantenere separate le particelle solvatate. Oltre alle interazioni con il mezzo acquoso, le particelle in ambiente fisiologico possono interagire con le proteine, o altre biomolecole, che le ricoprono formando quella cha viene chiamata protein corona.26 Questa interazione può avere un effetto sulla distribuzione nell’organismo delle particelle, sulla loro cattura da parte delle cellule e sulla loro permanenza nella circolazione sanguigna.28 Tutti questi fenomeni sono dovuti all’interazione tra la superficie delle particelle e il mezzo in cui le particelle sono disperse. La funzionalizzazione delle nanoparticelle è dunque essenziale per far sì che possano essere utilizzate per applicazioni biomediche.

2.3.1 Targeting e drug delivery

Con targeting si indica l’uso di una serie di strategie volte a rendere un composto introdotto nell’organismo, un farmaco, una nanoparticella, o altro, in grado di interagire in maniera specifica con un sito bersaglio, aumentando quindi l’accumulo e l’interazione con il tessuto desiderato. Poter rendere un farmaco specifico per un sito permette di ridurre la quantità di materiale che è necessario utilizzare per il trattamento di una patologia e aumenta la probabilità che il farmaco interagisca con i tessuti malati invece che con quelli sani, diminuendo gli effetti collaterali dovuti al trattamento. Il farmaco può essere trasportato legato ad altri composti che hanno lo scopo di garantirne la stabilità e la permanenza nell’organismo. Le nanoparticelle possono essere utilizzate sia come agenti di targeting sia per il trasporto di farmaci. Un metodo per funzionalizzare le nanoparticelle in modo tale da far avvenire un accumulo selettivo in determinate zone del corpo è

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17 quello di legare alle superficie delle nanoparticelle farmaci, proteine, enzimi, nucleotidi, anticorpi o altre molecole biologicamente attive che siano in grado di interagire con specifici recettori che siano presenti sulle cellule bersaglio, ad esempio recettori sovraespressi in cellule malate e presenti in concentrazione minore (o assenti) nelle cellule sane.29 Per questo tipo di applicazione è necessario conoscere in maniera precisa la composizione della membrana delle cellule che si desidera andare a trattare con il farmaco. Un altro metodo per fa sì che vi sia un accumulo di nanoparticelle nella zona dell’organismo da trattare è quello di sfruttare le differenze di attività biologica tra cellule sane e cellule malate. Ad esempio, è noto che i vasi sanguigni nei tessuti tumorali siano più permeabili di quelli presenti nei tessuti sani. Quindi, utilizzando particelle in grado di permanere per lunghi periodi nel flusso sanguigno, si avrà spontaneamente un accumulo maggiore nei tessuti cancerosi rispetto a quello che si ha nei tessuti sani. Inoltre, nel caso di nanoparticelle magnetiche, è potenzialmente possibile utilizzare campi magnetici per muovere le particelle nel flusso sanguigno o farle accumulare in punti specifici del corpo. Come trasportatori di farmaci, le nanoparticelle sono utilizzate per aumentare la solubilità in acqua di farmaci idrofobici e il tempo di permanenza nel flusso sanguigno, per rallentare o impedire le reazioni che porterebbero alla disattivazione del farmaco come idrolisi o degradazione enzimatica. Le nanoparticelle devono poi essere in grado di rilasciare il farmaco in maniera controllata. Il rilascio del farmaco può avvenire in base alle condizioni fisiologiche della zona di interesse: ad esempio i tessuti tumorali hanno un pH più basso del resto dell’organismo ed è quindi possibile sfruttare l’acidità per far avvenire l’idrolisi del farmaco solo in queste zone. Un’altra strategia riguarda l’utilizzo di stimoli esterni: ad esempio è possibile utilizzare le nanoparticelle per produrre calore (con radiazione elettromagnetica per nanoparticelle plasmoniche o con campi magnetici alternati per nanoparticelle magnetiche) e quindi utilizzare l’aumento di temperatura per provocare il rilascio del farmaco.29

2.3.2 Imaging

Alcuni nanomateriali sono utilizzati per aumentare il contrasto delle immagini in tecniche diagnostiche in base alle loro caratteristiche: materiali magnetici sono utilizzati come agenti di contrasto nella risonanza magnetica, mentre particelle di metalli ad alto peso atomico nella tomografia assiale computerizzata e metalli in grado di dare risonanza plasmonica superficiale nella spettroscopia Raman. Gli agenti di contrasto molecolari sono progettati per accumularsi nei siti desiderati, per esempio tessuti malati, sulla base di differenze fisiologiche e biologiche tra la zona di interesse e il tessuto sano.5 Agenti di contrasto molecolari possono spostarsi più facilmente delle nanoparticelle all’interno dell’organismo a causa delle piccole dimensioni, ma possono essere combinati con agenti terapeutici con più difficoltà. I nanomateriali possono risultare agenti di contrasto competitivi rispetto agli agenti molecolari perché, se progettati adeguatamene, sono

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18 biologicamente compatibili e permettono di combinare più funzioni in un unico materiale. Si parla in questi casi di agenti teranostici, i quali permettono di accoppiare a una tecnica di imaging una terapia per il tessuto interessato, o di agenti multimodali di imaging, i quali permettono di combinare più tecniche diagnostiche in modo da superare i limiti intrinseci di ognuna di esse. Lo strato più esterno del nanomateriale deve anche garantire che il farmaco rimanga attivo nell’organismo per un tempo sufficienza a eseguire l’azione desiderata.

Allo stadio attuale, una delle tecniche più utilizzate è l’imaging di risonanza magnetica (MRI), la quale è in grado di fornire informazioni anatomiche, fisiologiche e molecolari su un soggetto. Ha una penetrazione tale da permettere di ottenere immagini su tutto il corpo, ma ha una bassa sensibilità dovuta al meccanismo di acquisizione del segnale. Ciò che si misura è il rilassamento della magnetizzazione dei nuclei a seguito dell’irraggiamento con una radiofrequenza. Gli agenti di contrasto hanno la funzione di modificare la velocità di rilassamento dei protoni dell’acqua nel loro intorno, in modo da massimizzare il contrasto tra zone diverse dei tessuti ed evidenziarne le differenze. Nella risonanza magnetica viene applicato un campo magnetico B0 che ha lo scopo di

orientare il momento magnetico dei protoni. Successivamente, viene inviato un impulso di radiofrequenza perpendicolarmente a B0 che determina un’eccitazione della magnetizzazione, che

rilasserà fino a riallinearsi con il campo applicato. La velocità di rilassamento dei protoni dipende fortemente dall’intorno della molecola. In generale vengono definite due velocità di rilassamento, quella longitudinale, da cui dipende il recupero della magnetizzazione sull’asse lungo cui è applicato il campo magnetico, e quella trasversale, da cui dipende il defasamento delle magnetizzazioni dei protoni sul piano perpendicolare al campo magnetico applicato. Ioni paramagnetici (come Gd3+ o Mn2+) producono un campo magnetico locale che influenza i protoni dell’acqua, in particolare il loro rilassamento longitudinale. Nanomateriali in grado di influenzare il tempo di rilassamento longitudinale (agenti di contrasto T1) dovranno avere sulla superficie ioni metallici paramagnetici in

grado di accelerare il tempo di recupero della magnetizzazione. Esempi sono Gd3+ o Fe3+. Un vantaggio dell’uso di nanomateriali rispetto all’approccio con piccole molecole è che, mentre l’utilizzo di molecole può portare a perdita di metalli pesanti, come gadolinio, che risultano tossici, i nanomateriali che incorporano Gd3+ mostrano perdite minori. In letteratura sono riportati molti esempi di nanomateriali progettati per MRI in vivo, come ossidi (Gd2O3) e fosfati (GdPO4).5 L’uso di nanomateriali inoltre permette di ridurre la quantità di metallo utilizzata, soprattutto a causa del maggiore accumulo e ritenzione del materiale all’interno dei tessuti tumorali. Per evitare completamente il gadolinio, sono stati preparati agenti si contrasto con altri metalli, per esempio ossidi di manganese, MnO o Mn3O4, il cui effetto di contrasto dipende fortemente dalla distanza tra la loro superficie30 e le molecole d’acqua; sono quindi studiati materiali con geometrie più

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19 sofisticate di quella sferica. Per esempio nanomateriali cavi a base di MnO hanno un’ampia superficie in grado di interagire con l’acqua e contemporaneamente permettono di ridurre la quantità di metallo utilizzata.5 Un'altra interessante proprietà dei nanomateriali è che possono comportarsi da agenti di contrasto T1 o T2 in base alle caratteristiche. Nanomateriali a base di ossidi

Mn e Fe si comportano da agenti di contrasto T1 per dimensioni minori di 5 nm e da agenti di

contrasto T2 per dimensioni superiori a 12 nm.31 In generale buoni agenti di contrasto T1 sono

ottenuti con particelle di dimensioni minori di 10 nm, a causa dell’alto rapporto superficie/volume delle particelle. Gli agenti di contrasto T2, grazie ai dipoli generati dagli spin di alcuni elettroni,

determinano un gradiente di campo magnetico che influenza il tempo di rilassamento trasversale della magnetizzazione dei protoni nel loro intorno. Tipici agenti di contrasto T2 sono a base di ossido

di ferro. Le molecole di acqua devono essere nell’immediata prossimità dell’ossido perché questo agisca come agente di contrasto. Gli ossidi più comunemente utilizzati sono magnetite (Fe3O4) e maghemite (γ-Fe2O3) e i parametri che determinano la variazione del tempo di rilassamento T2 sono

forma, dimensione e composizione. La magnetizzazione di saturazione del materiale aumenta all’aumentare delle dimensioni e il comportamento passa da superparamagnetico a paramagnetico al diminuire delle dimensioni, determinando un passaggio da agente di contrasto T2 ad agente di

contrasto T1. Questo fenomeno è dovuto al fatto che al diminuire della magnetizzazione di

saturazione, diminuisce l’effetto di contrasto T2. Incorporando metalli nell’agente di contrasto (per

esempio Co, Au, Pt) si possono facilmente modificare le proprietà magnetiche del materiale, andando quindi a variare la magnetizzazione di saturazione e di conseguenza l’effetto sul rilassamento dei protoni e il contrasto nell’immagine. Un’altra possibilità è quella di combinare due materiali per produrre una particella che possa agire sia come agente di contrasto T1 sia come

agente di contrasto T2, ad esempio formando una nanoparticella con un core superparamagnetico

coperto da uno strato di silice su cui viene fatto depositare un materiale paramagnetico. Questa struttura permette al materiale paramagnetico di essere direttamente a contatto con i protoni dell’acqua, mentre il core superparamagnetico riesce a generare sui protoni dell’acqua un campo magnetico sufficiente a determinare un’accelerazione del tempo di rilassamento.

Un altro tipo di imaging per cui i nanomateriali possono essere utilizzati è quello ottico. Tra questi, la spettroscopia Raman identifica legami chimici e molecole attraverso i loro modi vibrazionali misurando la perdita di energia nello scattering anelastico dei fotoni. La maggior parte dei fotoni che passa attraverso un materiale subisce scattering elastico, mentre solo 1 fotone ogni 107

scattering anelastico, pertanto il segnale della spettroscopia Raman risulta essere quindi molto debole.5 Alcuni nanomateriali possono essere utilizzati per aumentare il segnale nei tessuti profondi. Questo effetto, chiamato SERS (Surfaced-Enhanced Raman Scattering), deriva

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20 dall’aumento del campo elettrico locale intorno alla superficie della nanoparticella, dovuto alla risonanza plasmonica superficiale di nanomateriali metallici. I plasmoni superficiali generano un campo elettrico locale che va ad aggiungersi al campo elettrico incidente. È possibile modulare la forma o la superficie dei nanomateriali per migliorare l’aumento del campo elettromagnetico locale e portare così a un aumento del segnale. L’oro è un materiale largamente utilizzato per tale scopo, ad esempio in forma di nanosfere o nanostelle. L’imaging che sfrutta l’effetto Raman si basa su due metodologie principali: utilizzare nanomateriali che possano interagire con uno specifico sito del tessuto malato e forniscano un segnale che sia assente in mancanza di tali nanoparticelle, oppure utilizzare molecole già presenti nel sito di interesse ma che, in assenza di nanoparticelle metalliche, darebbero un segnale troppo poco intenso per essere rilevato. Perché quest’ultimo tipo di effetto sia utilizzabile, essendo fortemente dipendente dalla distanza, i nanomateriali devono essere sufficientemente vicini alle molecole con cui si desidera che interagiscano da generare un’alterazione nei loro campi elettromagnetici e amplificare il segnale in modo tale da permettere la rilevazione.

È inoltre possibile utilizzare le proprietà di fotoluminescenza di un materiale per scopi diagnostici. Le proprietà di fotoluminescenza di un materiale derivano dall’assorbimento della luce seguito dall’emissione di fotoni che può essere descritta come fluorescenza o fosforescenza in base al meccanismo di rilassamento. Al diminuire delle dimensioni di un nanomateriale il confinamento degli elettroni determina livelli energetici discreti e dipendenti dalle dimensioni, ed è quindi possibile regolare le proprietà di luminescenza di un materiale.3 Con il termine quantum dots generalmente si indicano materiali formati da semiconduttori, utilizzati per le loro proprietà di fluorescenza. Tuttavia anche metalli come l’oro possono essere utilizzati per fare imaging sfruttando le proprietà derivanti dal confinamento quantico. L’eccitazione e l’emissione di cluster di Au può esser variata tra la regione dell’UV e quella dell’IR in base a parametri come dimensione e forma dei nanomateriali. In questo caso, si ha il problema dello scarso accumulo nelle cellule di queste strutture, ed è quindi necessaria una modifica della superficie delle particelle per migliorare l’accumulo nei siti desiderati. L’emissione di fotoluminescenza di Au aumenta di diversi ordini di grandezza in presenza di risonanza plasmonica superficiale.3 La fotoluminescenza di nanostrutture di Au viene classificata come a singolo fotone o a due fotoni in base alla lunghezza d’onda dei fotoni usati per causare l’eccitazione. Nella fotoluminescenza a due fotoni gli elettroni sono eccitati con fotoni che hanno metà dell’energia di quelli usati nella fotoluminescenza a singolo fotone. Questo permette di eccitare transizioni con laser che utilizzano luce nel NIR, garantendo una buona penetrazione nei tessuti, mentre invece l’utilizzo di luce UV o visibile, necessario nella fotoluminescenza a singolo fotone, è ostacolato dall’assorbimento e dallo scattering del sangue e

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21 dei tessuti che rendono questa tecnica non applicabile in vivo. Un problema che presenta l’eccitazione di fotoluminescenza con due fotoni quando applicato a nanostrutture di oro deriva dal fatto che la lunghezza d’onda utilizzata per causare l’eccitazione va a sovrapporsi al picco di risonanza plasmonica superficiale, ciò può portare a una conversione fototermica e quindi un aumento della temperatura.

Tecniche di imaging molto utilizzate che utilizzano nanomateriali come agenti di contrasto sono anche la tomografia computerizzata (X-ray computed tomography, CT) e la tomografia a emissione di positroni (positron mission tomography, PET). Nella CT, il segnale deriva dall’attenuazione dei raggi X da parte dei tessuti. Tuttavia, la differenza di contrasto tra tessuti molli è trascurabile ed è quindi necessario utilizzare agenti di contrasto. Convenzionalmente, gli agenti di contrasto utilizzati sono molecole contenenti iodio, ma dato che l’attenuazione dei raggi X dipende dalla densità elettronica, e quindi dal numero atomico degli elementi presenti, nanoparticelle contenenti metalli ad alto numero atomico possono essere utilizzate per sostituire le molecole iodate. Esempi di metalli utilizzati per CT sono l’oro, alcuni lantanidi (Gd, Eu, Yb), e metalli di transizione come il tantalio.14 L’oro ha numero atomico e coefficiente di assorbimento dei raggi X maggiore dello iodio e garantisce quindi un’attenuazione del segnale maggiore. Inoltre, l’oro è studiato da molti anni in applicazioni biologiche ed esibisce una buona biocompatibilità e una bassa tossicità. Anche i metalli della serie dei lantanidi sono in grado di garantire attenuazione dei raggi X maggiore dello iodio, ma risultano tossici. Pertanto, le nanoparticelle utilizzate sono solitamente formate da un core di metallo ricoperto da uno shell biocompatibile. Le nanoparticelle di tantalio, in particolare l’ossido Ta2O5, sono state utilizzate come agenti di contrasto per la CT per la loro stabilità chimica, l’eccellente solubilità in acqua, e la biocompatibilità.14 D’altro canto, la PET si basa sul rilevamento del decadimento di isotopi radioattivi, in particolare vengono rilevati due fotoni γ che si generano dall’annichilazione di un positrone, proveniente dal decadimento di un nuclide radioattivo, con un elettrone. In principio qualunque nanoparticella può essere legata a un radioisotopo per rilevare i siti di accumulo. Il vantaggio di questa tecnica è che risulta estremamente sensibile e sono sufficienti tracce di materiale per rilevare un segnale. La scelta del radionuclide utilizzato dipende da parametri come l’energia dei positroni emessi, che determina la distanza di penetrazione nei tessuti, e il tempo di emivita del nuclide. I radionuclidi possono essere coordinati da molecole chelanti legate alla superfice delle nanoparticelle o essere inseriti direttamente all’interno delle nanoparticelle durante la sintesi.5

(22)

22 2.3.3 Ipertermia

Le terapie termiche si basano sull’aumentare in maniera controllata la temperatura di una parte o di tutto il corpo per ottenere un effetto terapeutico. In particolare, sono studiate come possibili trattamenti da affiancare a chemioterapia e radioterapia nella cura dei tumori. Gli effetti positivi di un aumento di temperatura su pazienti affetti da tumori sono noti fin dal 19° secolo, ma solo verso la fine del 20° si è iniziato a comprendere e sviluppare nuove terapie che sfruttino l’aumento di temperatura.13 In generale l’efficacia dei trattamenti termici dipende da quanto viene aumentata la temperatura e dalla durata del trattamento. Aumentare la temperatura sopra 48 °C porta alla morte delle cellule anche dopo pochi minuti di trattamento ma, dato che si ha la morte sia di cellule malate che di cellule sane, la terapia non è selettiva e può causare danni anche ai tessuti adiacenti a quelli trattati.13 Si definisce ipertermia un trattamento termico che preveda di portare la temperatura corporea tra 41 e 48 °C. Sopra i 41 °C si ha la denaturazione delle proteine e l’inattivazione delle cellule colpite. Se la temperatura viene portata sopra i 43 °C si ha un aumento della velocità delle reazioni biochimiche che porta a uno stress ossidativo delle cellule trattate. Le cellule esposte a queste temperature, sebbene possano mostrare fenomeni di resistenza al calore se il trattamento è protratto per lunghi periodi, mostrano una risposta più efficace ad alcuni farmaci.13 L’ipertermia può quindi essere utilizzata per rendere le cellule cancerose più sensibili ai trattamenti tradizionali come chemioterapia o radioterapia. Portare la temperatura oltre i 45 °C causa la rapida necrosi delle cellule cancerose anche in cellule resistenti all’ipertermia normalmente utilizzata.13 Generare aumenti controllati di temperatura in zone specifiche del corpo presenta alcune difficoltà pratiche. Per tumori superficiali il riscaldamento può essere eseguito applicando sulla pelle generatori di calore (radiofrequenze, microonde o ultrasuoni) e l’aumento di temperatura dipende fortemente dalle caratteristiche del tumore, come il contenuto d’acqua. Inoltre, non si riesce a trattare tumori più profondi di 3-4 cm. Per tumori più profondi può essere necessario inserire i sistemi di riscaldamento (ad esempio antenne in grado di emettere microonde o radiazione elettromagnetica) all’interno dell’organismo. Le nanoparticelle rappresentano quindi un’alternativa ai sistemi di riscaldamento attualmente utilizzati nei trattamenti termici. Perché possano essere utilizzate per tale scopo, oltre a essere biocompatibili, avere scarsi effetti collaterali, essere di dimensioni tali da poter circolare nel flusso sanguigno ed essere incorporate nelle cellule, devono essere in grado di produrre calore in maniera efficiente quando sono sottoposte a uno stimolo esterno. Ci sono due metodologie generali per usare le nanoparticelle per produrre calore: l’ipertermia fototermica e l’ipertermia magnetica. Nel caso di nanoparticelle magnetiche, per causare l’aumento di temperatura viene utilizzato un campo magnetico alternato: a seguito del continuo allineamento e rilassamento degli spin si ha dissipazione di energia sotto forma di calore.

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23 Se la riorientazione della magnetizzazione avviene mentre l’orientazione delle particelle è fissata il rilassamento si chiama di Néel; se invece le particelle possono ruotare insieme al loro spin, il rilassamento viene definito browniano e la dissipazione di energia sotto forma di calore deriva anche dalla frizione tra le particelle e il mezzo.11 Nell’ipertermia fototermica, il calore viene generato tramite irraggiamento con una radiazione elettromagnetica che possa essere assorbita dalle nanoparticelle. È il caso di nanoparticelle che abbiano risonanza plasmonica superficiale: a seguito dell’irraggiamento con una radiazione elettromagnetica si ha l’oscillazione coerente degli elettroni di conduzione del metallo, e quindi l’assorbimento di energia, che potrà essere rilasciata come luminescenza o come calore. Nel caso di nanoparticelle metalliche, la generazione di calore dipende sia dalla lunghezza d’onda della radiazione utilizzata che dalla dimensione delle nanoparticelle: per esempio, per nanoparticelle sferiche di oro il picco di estinzione si sposta verso il rosso all’aumentare delle dimensioni delle nanoparticelle. Un limite di questo tipo di trattamento è dovuto al fatto che i tessuti umani hanno un alto coefficiente di estinzione nell’ intervallo visibile dello spettro. Inoltre, l’energia della radiazione utilizzata può essere assorbita sia da cellule malate che da cellule sane, riducendo l’efficacia delle particelle come mediatori di calore e aumentando i danni ai tessuti adiacenti a quelli che si desidera trattare. Una riduzione dell’assorbimento della luce da parte dei tessuti sani si può ottenere utilizzando laser che abbiano una lunghezza d’onda che cada in uno degli intervalli dello spettro chiamati “finestre biologiche”, intervalli di lunghezza d’onda in cui i tessuti diventano parzialmente trasparenti a causa della riduzione sia dell’assorbimento che dello scattering.13 La prima “finestra” biologica va da 700 nm a 980 nm, la seconda va 1000 nm a 1400 nm.13 Le nanoparticelle utilizzate dovranno avere un’elevata cross

section di assorbimento per la luce all’interno di uno dei due intervalli di lunghezze d’onda. Lavorare all’interno di una delle “finestre biologiche” dovrebbe rendere possibile sviluppare trattamenti fototermici utilizzabili anche per tumori non superficiali, senza rendere necessario l’utilizzo di interventi invasivi basati su tecniche endoscopiche. Quando le nanoparticelle sono irraggiate con luce, una parte dei fotoni sono assorbiti dalle particelle e una parte sono deviati. Il numero di fotoni interagenti con una particella è determinato dal suo coefficiente di estinzione, αext, che è dato dalla somma del coefficiente di assorbimento e del coefficiente di scattering, αext = αabs + αsct. L’efficienza di assorbimento di una particella, Φabs, è definita come il rapporto tra il numero di fotoni assorbiti dalla particella diviso per il numero totale di fotoni interagenti, Φabs = αabs/αext.13 L’energia assorbita dalla particella può essere rilasciata per generazione di fotoni (luminescenza) o per generazione di calore. In generale, per trattamenti fototermici, saranno richieste particelle con grande efficienza di assorbimento e bassa resa quantica di luminescenza, in modo da avere un’elevata conversione di luce in calore.

(24)

24

Capitolo 3 - Principi di sintesi di nanoparticelle inorganiche

Nella sintesi di nanoparticelle le caratteristiche desiderate sono: una distribuzione di dimensioni relativamente stretta, morfologia e composizione simile per tutte le particelle e una buona stabilità di esse nel mezzo disperdente. Queste caratteristiche possono essere ottenute variando parametri sintetici quali concentrazione dei precursori, temperatura, viscosità del mezzo e quantità e tipo di molecole stabilizzanti utilizzate. Per poter controllare le caratteristiche dei prodotti è necessario conoscere i meccanismi coinvolti nella formazione e nella crescita delle particelle e comprendere quale effetto abbiano i parametri sintetici sulle proprietà del prodotto finale.

3.1 - Nucleazione e crescita delle nanoparticelle da mezzo liquido

In questo lavoro di tesi sono state utilizzate esclusivamente sintesi in soluzione, ma i concetti generali basati sulla teorica della nucleazione e crescita espressi di seguito valgono anche per sintesi di nanoparticelle da fase gas o per segregazione da fase solida. 32

Il primo stadio della sintesi di nanoparticelle consiste nella formazione di nuclei, ovvero nel passaggio dei precursori alla fase solida. Ciò avviene quando un soluto supera una concentrazione critica, detta concentrazione di sovrasaturazione: il sistema possiede un’elevata energia libera di Gibbs che viene ridotta segregando il soluto dalla soluzione. Le specie solide formate (ad esempio atomi di metallo in stato di ossidazione zero nel caso di nanoparticelle metalliche) possono aggregarsi formando dei nuclei. La concentrazione delle specie solide formatesi per degradazione dei precursori diminuisce fino a scendere sotto la concentrazione critica. A questo punto termina il processo di segregazione della fase solida dalla soluzione e le specie isolate rimaste saranno incorporate nei nuclei portando alla loro crescita. L’energia associata alla formazione di una nuova unità di volume è espressa dall’ Equazione 10:

Δ𝐺𝑣 = − ( 𝑘𝑇 Ω) ∗ ln ( 𝐶 𝐶0 ) Equazione 10

dove C è la concentrazione del soluto, C0 è la concentrazione di equilibrio, k è la costante di

Boltzman, T è la temperatura e Ω è il volume atomico. Quando la concentrazione di soluto supera la concentrazione di equilibrio C0 (C > C0), ΔGv è negativo e la nucleazione può avvenire

spontaneamente. L’energia associata alla formazione di una particella sferica di raggio r (Equazione 11) è:

(25)

25 Δ𝜇𝑣= 4 3𝜋𝑟 3Δ𝐺 𝑣 Equazione 11

Tuttavia, la generazione di un nuovo nucleo comporta la formazione di una nuova superficie a cui sarà associata un’energia, che può essere scritta come (Equazione 12):

Δ𝜇𝑠 = 4𝜋𝑟2𝛾 Equazione 12

dove γ è l’energia di superficie per unità di area. Δμs, termine di superficie, sarà positivo poiché

rappresenta l’energia necessaria a creare una nuova superficie. La variazione totale di energia libera associata alla formazione di una particella di raggio r in condizioni di sovrasaturazione sarà data dalla somma dei due contributi precedentemente menzionati, un termine di superficie e un termine di volume, di segno opposto tra loro, come in riportato in Equazione 13:

ΔG = Δ𝜇𝑣+ Δ𝜇𝑠 = 4 3𝜋𝑟 3Δ𝐺 𝑣+ 4𝜋𝑟2𝛾 Equazione 13

In Figura 3.1 Illustrazione schematica dell’andamento dell’energia libera per unità di volume, Δμv, dell’energia libera per unità di superficie, Δμs, e dell’energia libera totale in funzione del raggio del nucleo32 viene riportato l’andamento dei due termini di energia in funzione del raggio della particella e la loro somma.

Figura 3.1 Illustrazione schematica dell’andamento dell’energia libera per unità di volume, Δμv,

dell’energia libera per unità di superficie, Δμs, e dell’energia libera totale in funzione del raggio del

(26)

26 Si può notare dal grafico come l’andamento di ΔG aumenti con il raggio dei nuclei formatosi, raggiungendo un massimo in corrispondenza di un raggio critico (r*), oltre il quale ΔG decresce col raggio. Il raggio critico è il raggio minimo che il nucleo deve avere per rimanere stabile: particelle con r < r* tenderanno a ridisciogliersi in fase liquida; al contrario particelle con r > r* saranno stabili in soluzione e potranno continuare il processo di crescita. Il valore di ΔG in corrispondenza del raggio critico è dato dall’ Equazione 14:

Δ𝐺∗= 16𝜋𝛾 (3Δ𝐺𝑣)2 Equazione 14

Quando la concentrazione del soluto supera la concentrazione di equilibrio in soluzione non avverrà la nucleazione finché l’energia libera di Gibbs non sarà tale da superare ΔG*, che rappresenta quindi una barriera energetica per la nucleazione. Quando l’energia del sistema supera questo valore potrà cominciare il processo di nucleazione, che continuerà finché la concentrazione del soluto non tornerà ad essere tale che ΔG sia minore di ΔG*. Il processo di crescita delle nanoparticelle avviene contemporaneamente al processo di nucleazione se la concentrazione di soluto è superiore alla concentrazione di equilibrio, e finché il sistema è in una condizione per cui ΔG > ΔG* non è possibile separare i due processi. Se il processo di nucleazione si prolunga nel tempo, nuovi nuclei continueranno a formarsi mentre quelli già formati crescono: si otterranno quindi particelle cresciute per un tempo diverso e quindi con dimensioni diverse. Per ottenere una stretta distribuzione di dimensioni, e quindi particelle monodisperse, è preferibile che lo stadio di nucleazione sia più veloce possibile, in modo che i nuclei si formino tutti nelle stesse condizioni e possano crescere tutti per la stessa quantità di tempo. Il prodotto ottenuto dipende fortemente dalla cinetica della reazione di degradazione dei precursori: una degradazione rapida porterà alla formazione di molti nuclei che tenderanno a crescere contemporaneamente durante lo stadio di crescita: il prodotto sarà composto quindi da molte particelle di piccole dimensioni. Viceversa, una degradazione lenta porterà alla formazione di pochi nuclei su cui si andrà a distribuire la maggior parte del precursore permettendo di ottenere particelle di grandi dimensioni.

Lo stadio di crescita racchiude tutti i processi che vanno dalla generazione del monomero delle nanoparticelle fino alla incorporazione irreversibile di tale monomero sulla superficie delle nanoparticelle in crescita. La crescita delle nanoparticelle può essere limitata da processi di diffusione o da processi di superficie, a seconda di quale sia lo stadio lento del processo di crescita. In generale, nella crescita limitata dalla diffusione i parametri che influiscono sulla velocità di crescita sono il gradiente di concentrazione del monomero tra la soluzione e la superficie della particella, il coefficiente di diffusione della specie, il raggio e il volume molare del nucleo in crescita.

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