• Non ci sono risultati.

1.2 TECNICHE DI CARATTERIZZAZIONE: PRINICIPI TEORIC

1.2.2 Diffrazione di Raggi X (XRD)

La diffrazione di raggi X sfrutta l’interferenza tra onde e si fonda sul principio che esista una precisa relazione di fase tra la radiazione X incidente sul campione e quella diffusa elasticamente dal campione.

La radiazione X incidente interagisce con gli atomi (in particolare con gli elettroni) che a loro volta diventano centri di diffusione di onde sferiche aventi la stessa lunghezza d’onda del fascio incidente. Le onde sferiche così prodotte possono interferire in maniera costruttiva o distruttiva in funzione della differenza di cammino ottico, producendo un fascio diffratto solo in talune direzioni corrispondenti alle condizioni di interferenza costruttiva.

La più semplice e nota descrizione del fenomeno della diffrazione è quella fornita dall’equazione di Bragg, che nonostante sia basata su una interpretazione non perfettamente corretta del fenomeno, fornisce in maniera semplice la direzione del fascio diffratto. Il fenomeno viene in questo caso descritto come una riflessione della radiazione X da parte di piani atomici semiriflettenti (vedi figura 1.7).

Fig. 1.6 Riflessione della radiazione X da piani atomici semiriflettenti.

Si ha interferenza costruttiva solo se la differenza di cammino tra i raggi riflessi da piani successivi è uguale ad un numero intero n di lunghezze d’onda.

La condizione è espressa dalla legge di Bragg:

2 dhkl sen θ = nλ (1.1)

dove dhkl è uguale alla distanza tra i piani reticolari; h, k, l, sono gli indici di Miller dei piani considerati e θ è l’angolo di incidenza.

L’intensità di un raggio diffratto è determinata dalla densità elettronica sul piano reticolare, la quale a sua volta dipende dal potere di diffusione e dalla distribuzione degli atomi nella cella elementare.

Un esperimento di diffrazione è concettualmente semplice e necessita di una sorgente di radiazione, di un campione e di un rivelatore dell’intensità diffratta. I raggi X sono prodotti di solito bombardando un bersaglio metallico (anodo) con un fascio elettronico emesso da un filamento incandescente (catodo), normalmente tungsteno, in un cosiddetto tubo a raggi X. Gli elettroni, accelerati dalla differenza di potenziale V tra catodo e anodo, collidendo sul bersaglio perdono energia e danno luogo a due fenomeni:

• Gli elettroni vengono rallentati e fermati per collisione e parte dell’energia che perdono viene convertita in radiazione elettromagnetica. Questo

processo di frenamento fornisce “radiazione bianca” ovvero raggi X con un ampio range di lunghezza d’onda a partire da un certo valore limite, che dipende dal voltaggio applicato: λmin (Å) = 12400/V.

• Quando gli elettroni incidenti hanno energia sufficiente a ionizzare elettroni delle shell più interne vengono prodotti raggi X monocromatici, in seguito all’emissione di radiazione caratteristica. Infatti, la buca che viene a crearsi può essere riempita da un elettrone di uno dei livelli più esterni. L’ emissione di radiazione caratteristica viene simboleggiata con le sigle Kα e Kβ (K è il livello energetico in cui si è formata la buca, α e β indicano il salto energetico rispettivamente a partire dal livello L o M). Solitamente gli esperimenti di diffrazione sono effettuati utilizzando raggi X monocromatici e in particolare la radiazione Kα che è più intensa.

Le lunghezze d’onda dei raggi X prodotti dipendono dal numero atomico del metallo utilizzato come bersaglio (legge di Moseley).51 Per separare la radiazione Kα dalla radiazione Kβ e dalla radiazione bianca si ricorre all’uso di filtri o di cristalli monocromatori.

Il “metodo delle polveri” prevede l’utilizzo di materiali policristallini contenenti un numero molto elevato di cristalliti aventi orientazione statistica, con dimensioni <10 μm.

Nel caso di tali campioni le intensità diffratte (conteggi di fotoni X per unità di tempo) in funzione dell’angolo di incidenza θ vengono usualmente presentate nella forma grafica di un diffrattogramma.

Da un profilo di diffrazione si ottengono quattro gruppi di osservabili:

1. Posizione del picco di diffrazione: le posizioni dei picchi dipendono solo dalle dimensioni e forma della cella elementare del materiale in esame. L’analisi diagnostica, che è una delle principali applicazioni della diffrazione a raggi X su campioni policristallini, è principalmente basata sulle posizioni dei picchi di diffrazione.

2. Funzioni di profilo dei picchi: l’allargamento del profilo è quantificato attraverso la larghezza a metà altezza del picco (spesso indicata con

FWHM), oppure con l’allargamento integrale (che equivale all’area di un rettangolo avente stessa area totale ed altezza del picco considerato, vedi figura 1.7). Le cause di allargamento del picco di diffrazione sono dovute principalmente a:

• Effetti strumentali.

• Caratteristiche micro-strutturali del campione. Infatti, il picco di diffrazione si allarga al diminuire della dimensione dei domini di diffrazione coerente all’interno dei singoli grani e all’aumentare delle deformazioni e/o dei difetti. In assenza di microstrain (legati a deformazioni del reticolo, indotte da sforzi esterni, difetti reticolari, fluitazioni locali di composizione) le dimensioni medie dei cristalliti possono essere determinate approssimativamente tramite l’equazione di Scherrer: <d> = θ cos B λ K (1.2)

dove <d> è la dimensione media dei cristalliti (in Å); λ è la lunghezza d’onda dei raggi X; K è una costante uguale a 0.9; B è la larghezza a metà altezza (FWHM) del picco considerato (in radianti) e θ è l’angolo a cui cade il picco.

3. Intensità dei picchi: in linea di principio dall’intensità dei picchi si può determinare la posizione degli atomi all’interno della cella elementare (analisi strutturale).

4. Intensità del fondo: non fornisce informazioni. Si possono comunque distinguere due contributi:

• Fondo strumentale, che deriva da radiazioni spurie causate dal portacampione, dal rumore elettronico del rivelatore ecc.

• Fondo del campione, che deriva dagli altri processi coinvolti nell’interazione dei raggi X con la materia o con l’aria o da particolari caratteristiche del campione.

Gli spettri possono essere effettuati utilizzando diffrattometri aventi geometria θ-θ o θ-2θ. Gli strumenti del primo tipo consistono di due bracci su cui sono montati rispettivamente la sorgente di raggi X ed il sistema di rivelazione. Essi si muovono in modo sincrono formando un angolo θ rispetto al campione che invece è fisso e disposto in posizione orizzontale. Negli strumenti del secondo tipo è la sorgente ad essere fissa mentre sono il campione ed il rivelatore a muoversi (il campione si muove di θ e conseguentemente il rivelatore di 2θ).

La maggior parte dei diffrattometri utilizza la geometria focalizzante di Bragg – Brentano (vedi figura 1.8).

I rivelatori più comunemente utilizzati sono a contatore (per esempio a scintillazione, proporzionale o Geiger), cioè sono in grado di contare un certo numero di impulsi che è proporzionale all’intensità della radiazione.