• Non ci sono risultati.

Preparazione e caratterizzazione di nanocompositi aerogel per applicazioni catalitiche

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Preparazione e caratterizzazione di nanocompositi aerogel per applicazioni catalitiche"

Copied!
199
0
0

Testo completo

(1)

Università degli Studi di Cagliari

Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche Naturali Dipartimento di Scienze Chimiche

DOTTORATO DI RICERCA IN CHIMICA

XXI Ciclo

Settore scientifico disciplinare CHIM/02

PREPARAZIONE E CARATTERIZZAZIONE DI

NANOCOMPOSITI AEROGEL PER APPLICAZIONI

CATALITICHE

Tesi di dottorato di:

Supervisore:

Danilo Loche

Prof.ssa Anna Corrias

Coordinatore

Dottorato:

(2)
(3)
(4)
(5)

INTRODUZIONE 1

CAP. 1 PRINCIPI TEORICI RELATIVI AI METODI DI SINTESI E CARATTERIZZAZIONE DI NANOCOMPOSITI AEROGEL

1.1 SINTESI DI NANOCOMPOSITI AEROGEL 9

1.1.1 Principi Generali della Tecnica Sol-Gel 9 1.1.2 Preparazione Sol-Gel della Silice 10 1.1.3 Preparazione di Nanocompositi a Base di Silice 13 1.1.4 Preparazione di Aerogel di Silice Pura e Nanocompositi

Aerogel 14

1.2 TECNICHE DI CARATTERIZZAZIONE: PRINCIPI TEORICI 19

1.2.1 Analisi Termica 19

1.2.1.1 Analisi Termogravimetrica (TGA) 19 1.2.1.2 Analisi Termica Differenziale (DTA) 19

1.2.2 Diffrazione di Raggi X (XRD) 19

1.2.3 Microscopia Elettronica in Trasmissione (TEM) 25 1.2.3.1 Microscopia Elettronica in Alta Risoluzione (HREM) ed Energy Dispersive X-Ray Analysis (EDX) 26

1.2.4 Fisisorbimento di N2 a 77 K 27

1.2.5 Spettroscopia di Assorbimento di Raggi X (XAS) 30 1.2.5.1 Extended X-ray Absorption Fine Structure (EXAFS) 31 1.2.5.1.1 Analisi dei Dati EXAFS 36 1.2.5.2 X-ray Absorption Near Edge Structure (XANES) 37 1.2.5.2.1 Analisi degli Spettri XANES 38

(6)

2 4 2

(M = Co, Mn, Ni) E FeCo(Ni)-SiO2

2.1 SINTESI DEI NANOCOMPOSITI AEROGEL MFe2O4-SiO2 (M = Co, Mn, Ni) E FeCo(Ni)-SiO2

39

2.1.1 Essiccamento Supercritico 46

2.1.2 Trattamenti Termici 47

2.1.2.1 Trattamenti in Aria Statica 48 2.1.2.2 Trattamenti in Flusso di Argon 48

2.1.2.3 Trattamento di Riduzione 48

2.2 TECNICHE DI CARATTERIZZAZIONE: CONDIZIONI

SPERIMENTALI 49

2.2.1 Analisi Termica 49

2.2.2 Diffrazione di Raggi X 49

2.2.3 Fisisorbimento di N2 a 77 K 50

2.2.4 Microscopia Elettronica in Trasmissione 51 2.2.4.1 Microscopia Elettronica in Alta Risoluzione (HREM) ed Energy Dispersive X-Ray Analysis (EDX) 51

2.2.5 EXAFS e XANES 52

2.2.5.1 Analisi dei Dati EXAFS e XANES 52

CAP. 3 CARATTERIZZAZIONE STRUTTURALE E MORFOLOGICA DI AEROGEL MFe2O4-SiO2 (M = Co, Mn, Ni)

3.1 EVOLUZIONE STRUTTURALE DEI CAMPIONI 55

3.1.1 Caratterizzazione Convenzionale 56

3.1.1.1 Caratterizzazione degli Aerogel dopo Essiccamento

Supercritico 56

3.1.1.1.1 Analisi Termica 56

3.1.1.1.2 Fisisorbimento di N2 a 77 K 57 3.1.1.1.3 Diffrazione di Raggi X 60 3.1.1.1.4 Microscopia Elettronica in Trasmissione 61

(7)

3.1.1.2.1 Fisisorbimento di N2 a 77 K 63 3.1.1.2.2 Diffrazione di Raggi X 65 3.1.1.2.3 Microscopia Elettronica in Trasmissione 66

3.1.2 Caratterizzazione XAS 69

3.1.2.1 Aerogel CoFe2O4-SiO2 69

3.1.2.1.1 Aerogel AFeCo10 70 3.1.2.1.1.1 EXAFS 70 3.1.2.1.1.2 XANES 72 3.1.2.1.2 Aerogel AFeCo5 73 3.1.2.1.2.1 EXAFS 73 3.1.2.1.2.2 XANES 74 3.1.2.1.3 Fitting EXAFS 75 3.1.2.1.3.1 Composti di Riferimento 75 3.1.2.1.3.2 Aerogel AFe_450 e ACo_450 77 3.1.2.1.3.3 Aerogel AFeCo10 78 3.1.2.1.3.4 Aerogel AFeCo5 80 3.1.2.2 Aerogel NiFe2O4-SiO2 82 3.1.2.2.1 EXAFS 82 3.1.2.2.2 XANES 85 3.1.2.2.3 Fitting EXAFS 86

3.1.2.2.3.1 Composti modello: NiFe2O4

standard 86

3.1.2.2.3.2 Composti modello: Ni3Si2O5(OH)4 88 3.1.2.2.3.3 Aerogel AFeNi_de e AFeNi_450 88 3.1.2.2.3.4 Aerogel AFeNi_750_20 e

AFeNi_900 89

3.1.2.2.3.5 Aerogel AFeNi_750 90 3.2 STUDIO DEL GRADO DI INVERSIONE DELLE FERRITI 91 3.2.1 Struttura delle Ferriti e Relazione con le Proprietà 91

3.2.1.1 CoFe2O4 93

3.2.1.2 NiFe2O4 93

(8)

2 4 2

3.2.2.2 Aerogel NiFe2O4-SiO2 96

3.2.2.3 Aerogel MnFe2O4-SiO2 96

3.2.2.3.1 XANES 96

3.2.2.3.2 EXAFS: Risultati Sperimentali e Fitting 98

3.3 CONCLUSIONI 101

CAP. 4 CARATTERIZZAZIONE STRUTTURALE E MORFOLOGICA DEI

NANOCOMPOSITI AEROGEL FeCo(Ni)-SiO2

4.1 STRUTTURA DELLA LEGA FeCo 105

4.2 CARATTERIZZAZIONE STRUTTURALE E MORFOLOGICA 106 4.2.1 Aerogel FeCo-SiO2 con Rapporto Fe:Co Equimolare 107 4.2.2 Risultati XRD su Aerogel a Contenuto Variabile di Ni 110 4.2.3 Risultati XRD su Aerogel a Elevato Contenuto di Co 112

CAP. 5 APPLICAZIONI CATALITICHE: PRINCIPI TEORICI

5.1 NANOTUBI DI CARBONIO (CNT) 115

5.1.1 Struttura 115

5.1.2 Produzione 117

5.1.2.1 CCVD (Catalytic Chemical Vapour Deposition) 118

5.1.2.2 Purificazione 122

5.1.3 Meccanismi di Crescita 123

5.1.4 Proprietà Chimico-Fisiche e Possibili Applicazioni 126

5.1.5 Caratterizzazione 128

5.2 DESIGN OF EXPERIMENT (DOE) 128

(9)

6.1 SINTESI NANOTUBI DI CARBONIO 139 6.1.1 Ottimizzazione della Resa e Qualità dei Nanotubi 139

6.1.1.1 Ottimizzazione Dati 144

6.1.1.2 Conclusioni 151

6.1.2 Evoluzione Strutturale dei Nanotubi al Variare del Carico

del Catalizzatore 152

6.1.2.1 Condizioni Sperimentali 152

6.1.2.2 Risultati 153

6.1.2.2.1 Catalizzatore Aerogel FeCo-SiO2 al 10% 153 6.1.2.2.2 Catalizzatore Aerogel FeCo-SiO2 al 3% 158 6.1.2.2.3 Catalizzatore Aerogel FeCo-SiO2 al 1% 160

6.1.2.3 Conclusioni 162

6.2 SINTESI DI FISCHER-TROPSCH 163

6.2.1 Condizioni Sperimentali 163

6.2.1.1 Schema dell’Impianto 163

6.2.1.2 Analisi degli Idrocarburi Condensati 165 6.2.1.3 Funzionamento dell’Impianto 166 6.2.1.4 Valutazione Test Catalitici 167

6.2.2 Test Catalitici 168

6.2.3 Conclusioni e Prospettive 171

CONCLUSIONI 173

BIBLIOGRAFIA 177

(10)
(11)

INTRODUZIONE

L’attività di ricerca svolta nei tre anni di dottorato è stata incentrata sulla progettazione, sintesi e caratterizzazione di nanocompositi aerogel, ovvero materiali caratterizzati dalla presenza di due fasi, in cui la fase dispersa è nanostrutturata e la matrice è altamente porosa, e sulle loro applicazioni in catalisi.

L’interesse verso la preparazione dei nanocompositi è legato non solo alla possibilità di ottenere prodotti che combinino le proprietà della fase dispersa e quelle della matrice, o che presentino nuove proprietà, ma anzitutto alla possibilità di isolare le nanoparticelle e disperderle all’interno della matrice1-2 in modo da impedirne l’agglomerazione, uno dei maggiori problemi che limitano le possibilità di utilizzo dei materiali nanofasici.

I nanocompositi costituiti da particelle disperse in una matrice inerte hanno proprietà uniche, differenti da quelle dei materiali massivi, che dipendono principalmente dalla dimensione e distribuzione delle particelle e dalla morfologia e porosità della matrice. La sintesi sol-gel è risultata essere una tecnica di successo nella sintesi di nanocompositi grazie all’eccellente controllo della composizione, purezza, omogeneità, dimensione e distribuzione delle particelle che è possibile ottenere. La maggior parte dei lavori pubblicati seguono la tradizionale procedura di essiccamento del gel attraverso trattamento termico che da luogo a materiali, gli xerogel, con una struttura relativamente densa. D’altro canto il processo sol-gel consente anche di ottenere materiali in forma di aerogel impiegando particolari tecniche di essiccamento in cui il liquido presente nei pori del gel umido viene allontanato e sostituito da aria senza danneggiare la struttura porosa originaria.3-5 Gli aerogel sono materiali che combinano proprietà quali elevata porosità e leggerezza, elevata trasparenza, bassa conducibilità termica ed elettrica.3-4 Grazie alle loro caratteristiche strutturali gli aerogel mostrano proprietà isolanti, ottiche e catalitiche peculiari direttamente correlate alla alta porosità, bassa densità ed alta area superficiale.3-4 Gli aerogel costituiscono una classe di

(12)

materiali innovativi poiché le loro proprietà possono essere variate controllando i parametri di sintesi che ne influenzano la microstruttura, ad esempio è possibile ottenere densità comprese tra 0.003 e 0.35 g·cm-3 variando la diluizione del sol, i precursori, il pH.

Al fine di introdurre ulteriore funzionalità e ampliare il campo delle applicazioni degli aerogel di SiO2, sforzi significativi sono stati focalizzati sul loro utilizzo come matrici in cui disperdere una fase nanometrica, con la formazione di nanocompositi aerogel.

In questa tesi sono stati preparati nanocompositi CoFe2O4-SiO2, MnFe2O4-SiO2, NiFe2O4-SiO2 e FeCo(Ni)-SiO2 in forma di aerogel altamente porosi con contenuti variabili di fase dispersa.

CoFe2O4, MnFe2O4, NiFe2O4 sono ossidi di metalli di transizione aventi struttura a spinello che sono stati oggetto di ricerche per le loro interessanti proprietà ottiche, magnetiche, elettriche e catalitiche. In particolare, le nanoparticelle di ferrite (formula generale MFe2O4) hanno avuto un forte interesse6-7 per le loro caratteristiche proprietà magnetiche, differenti dal corrispondente materiale massivo, come il comportamento superparamagnetico, attribuibile alle piccole dimensioni delle particelle.8-9 Questi materiali trovano applicazione nei dispositivi magnetici di immagazzinamento dati,10-11 nei farmaci a rilascio sito-specifico,12-13 nella risonanza magnetica nucleare,14 nei materiali fotomagnetici15 e nei fluidi magnetici.16

Le nanoparticelle di ferrite di cobalto (CoFe2O4) hanno attratto una crescente attenzione perché la combinazione delle loro proprietà magnetiche massive (alta coercitività a temperatura ambiente, moderata saturazione di magnetizzazione) con le proprietà tipiche delle nanoparticelle (superparamagnetismo) li rendono materiali ideali nei dispositivi magnetici di immagazzinamento dati ad alta densità.17 Inoltre, data la loro stabilità in condizioni riducenti od ossidanti, sono stati utilizzati con successo come catalizzatori per reazioni quali l’ossidazione del clorobenzene,18 la benzoilazione del toluene19 e la metilazione della piridina.20

(13)

Le nanoparticelle di ferrite di nichel (NiFe2O4) sono state largamente utilizzate in dispositivi elettronici grazie alla grande permeabilità ad alte frequenze ed alla elevata resistività elettrica.21 Più recentemente sono state utilizzate come agenti di contrasto nella risonanza magnetica nucleare,22 come costituenti di anodi di batterie al litio,23 e come catalizzatori nelle reazioni di accoppiamento di derivati di alogenuri aromatici modificati in superficie con Pd.24

Le nanoparticelle di ferrite di manganese (MnFe2O4) presentano notevole interesse applicativo per le loro notevoli proprietà magnetiche, essendo MnFe2O4 un materiale magnetico soft (bassa coercitività, moderata saturazione magnetica), combinate con una buona stabilità chimica e durezza meccanica.25

Le ferriti nanocristalline possono essere preparate per sintesi idrotermale,26 macinazione mediante mulini,27 coprecipitazione,28 reazione di combustione29 e tecnica a micelle inverse.30 Uno svantaggio di queste metodiche è che le nanoparticelle di ferrite non supportate possono aggregare e crescere con un effetto negativo sulle proprietà magnetiche e catalitiche desiderate.

La dispersione delle nanoparticelle in una matrice amorfa fornisce una soluzione a questo problema perché permette di distribuirle omogeneamente nella matrice ed evitarne l’agglomerazione.

Nanocompositi aerogel che presentano una dispersione omogenea di nanoparticelle di ossidi metallici, metalli o leghe in una matrice di silice amorfa sono stati ottenuti per co-gelazione dei precursori delle nanoparticelle (solitamente nitrati metallici) e della matrice (solitamente alcossidi di silicio) in condizioni di catalisi acida per evitare la precipitazione degli idrossidi metallici.31-34 Queste condizioni di preparazione presentano tempi di gelazione estremamente lunghi accompagnati da una significativa riduzione del volume originario del sol dando luogo ad aerogel con densità relativamente alte.

Un nuovo metodo per la sintesi di nanocompositi aerogel altamente porosi è stato di recente proposto per la preparazione di nanocompositi contenenti

(14)

nanoparticelle di ferrite di cobalto disperse in una matrice di silice,35 i quali esibiscono interessanti proprietà magnetiche.36

Il metodo sol-gel utilizzato per la preparazione del sol è una estensione del metodo a due stadi, impiegato solitamente per la preparazione di aerogel di silice pura, che prevede un’iniziale idrolisi dell’alcossido di silicio in condizioni di catalisi acida seguito da gelazione in condizioni basiche. La variante proposta per i nanocompositi sfrutta l’uso dell’urea nel secondo stadio promuovendo una rapida gelazione e nel contempo evitando la precipitazione di idrossidi.

Il metodo impiegato è basato sulla co-idrolisi e co-gelazione di precursori idrolizzabili5 che risulta particolarmente vantaggioso grazie alla elevata omogeneità e purezza dei materiali ottenibili, derivante dal miscelamento dei precursori negli stadi iniziali di preparazione del sol. Questo significa che la nanofase può essere formata in situ all’interno della matrice e quindi il nanocomposito risultante avrà una omogeneità nella composizione e dispersione della nanofase migliore rispetto a quella ottenibile mediante altre tecniche, quali la impregnazione di matrici porose preformate.

Pertanto la sintesi sol-gel sembra essere particolarmente adatta per la preparazione di nanocompositi aerogel. Infatti nanocompositi costituiti da nanoparticelle di ferrite disperse in una matrice di silice sono stati sintetizzati con successo usando la tecnica sol-gel.37-39

In questa tesi il metodo sol-gel a due stadi seguito da essiccamento in condizioni supercritiche è stato utilizzato per la sintesi di nanocompositi aerogel MnFe2O4 -SiO2 e NiFe2O4-SiO2 che sono stati confrontati strutturalmente e morfologicamente con gli aerogel CoFe2O4-SiO2.35 Per la caratterizzazione dei campioni è stato utilizzato un approccio multitecnica. L’analisi termogravimetrica e l’analisi termica differenziale, che permettono di individuare le variazioni di peso e di entalpia in funzione della temperatura, hanno consentito di stabilire le temperature di trattamento termico a cui gli aerogel devono essere sottoposti per la formazione dei nanocompositi finali. I campioni trattati termicamente a diverse temperature sono stati studiati mediante diffrazione di raggi X (XRD) per studiarne l’evoluzione strutturale in funzione della temperatura di calcinazione e quindi per determinare

(15)

le fasi presenti e la temperatura minima di formazione delle nanoparticelle di ferrite nonché le dimensioni medie delle particelle. L’indagine degli stessi campioni mediante microscopia elettronica in trasmissione (TEM) convenzionale ha permesso di studiare le dimensioni e la distribuzione delle particelle all’interno della matrice, mentre misure di fisisorbimento di azoto sono state usate per la determinazione dell’area superficiale e delle dimensioni dei pori degli aerogel. Queste tecniche non riescono peraltro a fornire informazioni definitive e complete, soprattutto nel caso dei campioni calcinati a temperature relativamente basse. Per esempio l’utilità dell’XRD è limitata dai simili fattori di scattering di Co, Mn, Ni e Fe e dalle dimensioni nanometriche delle particelle che provocano l’allargamento dei picchi di diffrazione.

Pertanto alle tecniche più convenzionali è stato affiancato uno studio strutturale molto approfondito della formazione delle nanoparticelle di ferrite tramite spettroscopia di assorbimento di raggi X (XAS), sfruttando sia la regione EXAFS (Extended X-ray Absorption Fine Structure) che quella XANES (X-ray Absorption Near Edge Structure). La spettroscopia XAS, essendo una tecnica che permette di esaminare un elemento specifico e studiarne la struttura locale40 risulta ideale per lo studio di materiali multicomponenti diluiti e disordinati. L’EXAFS fornisce informazioni sulle distanze di legame e sui numeri di coordinazione delle shell circondanti l’atomo assorbitore; lo XANES fornisce informazioni complementari sulla simmetria e sullo stato di ossidazione dell’atomo assorbitore.

Un altro aspetto molto importante nello studio dei nanocompositi aerogel finali è la determinazione della distribuzione dei cationi nei siti tetraedrici ed ottaedrici nella struttura a spinello delle ferriti, che influenza le proprietà chimico fisiche come ad esempio quelle catalitiche. La distribuzione dei cationi nei siti della struttura a spinello delle nanoparticelle di ferrite è stata determinata tramite il fitting dei dati EXAFS e confrontata con la distribuzione nei campioni di riferimento in forma massiva.

In questa tesi il metodo sol-gel a due stadi seguito da essiccamento in condizioni supercritiche è stato anche utilizzato per la sintesi di nanocompositi aerogel FeCo(Ni)-SiO2, che sono stati caratterizzati con le tecniche XRD, TEM,

(16)

fisisorbimento di N2 a 77 K e successivamente testati come catalizzatori per la produzione di nanotubi di carbonio (CNT) e per la sintesi di Fisher-Tropsch.

L’uso di nanoparticelle di lega FeCo in catalisi è stata proposta in alternativa alle nanoparticelle dei metalli singoli data la maggiore stabilità verso l’ossidazione. Pertanto, molti sforzi sono stati impiegati per la stabilizzazione delle leghe FexCo1-x nanometriche verso l’ossidazione e per fornire un accurato controllo della forma, dimensione e distribuzione delle nanoparticelle. A questo scopo, materiali nanocompositi costituiti da nanoparticelle di FexCo1-x disperse in matrici di SiO2 o Al2O3 sono stati preparati con procedure sol-gel.5, 32, 41-43 Tale metodo da luogo a

nanoparticelle di lega disperse in una matrice isolante che fornisce diversi vantaggi: omogeneità composizionale, protezione contro l’ossidazione, omogeneità nella dispersione della nanofase all’interno della matrice, purezza del materiale.

Nanoparticelle metalliche supportate su matrici di silice o allumina sembrano essere catalizzatori promettenti per la produzione di CNT mediante Catalitic Chemical Vapor Deposition (CCVD), che sfruttando la decomposizione di gas di idrocarburi o alcol rappresenta l’approccio più efficiente per la produzione in larga scala di nanotubi di carbonio a parete multipla (Multi-Walled Carbon Nanotubes, MWCNT).

La ricerca in questo campo è stata ampiamente focalizzata sullo sviluppo di catalizzatori con adatte caratteristiche (composizione, microstruttura, porosità) e sulle condizioni di deposizione del carbonio (sorgente carboniosa, flusso del gas, temperatura e tempo di deposizione) in modo tale da poter sviluppare un processo di sintesi ad alte rese ed in cui sia possibile modulare la forma e le dimensioni dei nanotubi, fattori necessari per il passaggio ad una produzione a livello industriale.

La sintesi Fischer-Tropsch (FT) è un processo molto promettente a livello industriale che permette di ottenere combustibili liquidi di alta qualità, come conseguenza della bassa aromaticità e assenza di solfuri, a partire da gas naturale o da gas di sintesi impiegando un catalizzatore metallico.

(17)

Le potenzialità dei nanocompositi aerogel FeCo(Ni)-SiO2 quali catalizzatori per la sintesi di nanotubi di carbonio e la sintesi Fischer-Tropsch a livello industriale sono state testate attraverso la collaborazione con l’Applied and Environmental Chemistry Department dell’Università di Szeged (Ungheria), il Dipartimento di Chimica dell’Università La Sapienza di Roma e Dipartimento di Chimica Organica e Industriale dell’Università di Parma.

(18)
(19)

CAPITOLO 1

PRINCIPI TEORICI RELATIVI AI METODI DI SINTESI E

CARATTERIZZAZIONE DI NANOCOMPOSITI AEROGEL

1.1 SINTESI DI NANOCOMPOSITI AEROGEL

1.1.1 Principi Generali della Tecnica Sol-Gel

Il metodo sol-gel è una procedura di sintesi di materiali ceramici che coinvolge la preparazione di un sol, la sua gelazione e l’allontanamento del solvente dal gel.5 Il processo sol-gel avviene in soluzione, generalmente alcolica o idroalcolica, a partire da precursori quali sali o alcossidi metallici. Le reazioni coinvolte sono la idrolisi e la condensazione dei precursori, che nel caso degli alcossidi segue lo schema:

M(OR) + H2O ' M(OH) + ROH

M(OH) + M(OH) ' M-O-M + H2O

M(OH) + M(OR) ' M-O-M + ROH

Questi processi sono reazioni di sostituzione nucleofila e coinvolgono la sostituzione dei gruppi alcossido OR da parte dei gruppi ossidrile OH con liberazione di alcool (reazione di idrolisi), e quindi la condensazione tra due gruppi M(OH) o tra un gruppo M(OR) ed uno M(OH) con formazione del ponte a ossigeno M-O-M e liberazione di acqua o alcool. L’idrolisi e la condensazione sono reazioni di equilibrio che non avvengono in sequenza, bensì procedono simultaneamente.

(20)

Le reazioni di idrolisi e condensazione sono influenzate da numerosi parametri (pH, natura del precursore, solvente, quantità di acqua, catalizzatore, temperatura, tipo di sali, invecchiamento del gel): questo aspetto rappresenta un vantaggio (in termini di versatilità) ma anche la difficoltà principale della tecnica sol-gel, nell’individuare le condizioni ottimali e riproducibili di sintesi.

La soluzione colloidale che si ottiene in seguito alla iniziale formazione di ponti M-O-M per aggregazione dei monomeri è definita sol. Il progredire delle reazioni porta alla formazione di una rete continua e quindi alla transizione a gel. Il punto di gelazione è il tempo necessario per la transizione dallo stato di sol a gel.

Al momento della gelazione, la rete tridimensionale del gel trattiene al suo interno i sottoprodotti del processo sol-gel, principalmente H2O ed ROH, che devono essere quindi allontanati per ottenere un gel secco. L’essiccamento del gel può essere effettuato per trattamento termico a pressione ambiente oppure mediante essiccamento supercritico, dando origine rispettivamente a xerogel o aerogel, come verrà discusso successivamente.

1.1.2 Preparazione Sol-Gel della Silice

Il sistema di gran lunga più studiato è la silice, SiO2, che viene comunemente preparata a partire da alcossidi di Si (IV), quali Si(OCH3)4, “TMOS”, e Si(OC2H5)4, “TEOS”.

Data la scarsa reattività degli alcossidi di silicio, sia la reazione di idrolisi che quelle di condensazione sono molto lente a temperatura ambiente e necessitano di catalisi. La velocità di reazione in funzione del pH per le reazioni di idrolisi e condensazione segue l’andamento di figura 1.1.

(21)

Fig. 1.1 Andamento delle velocità di idrolisi e di condensazione rispetto al pH.

Si può notare che velocità di idrolisi è massima a pH acido, mentre la reazione di condensazione è accelerata da una catalisi basica. Il tipo di catalisi impiegata influisce sulle caratteristiche fisiche e morfologiche del prodotto: in particolare adottando catalisi basica o acida si ottiene rispettivamente un gel con rete a struttura particolata o polimerica, come illustrato in figura 1.2. Dal punto di vista della morfologia questa differenza si traduce nel fatto che mediante catalisi basica si ottengono gel con dimensioni delle particelle e dei pori maggiori rispetto a quelli ottenuti in condizioni acide.44

Fig. 1.2 A sinistra: gel con rete a struttura polimerica ottenibile tramite catalisi acida. A destra: gel

(22)

È possibile anche eseguire la reazione sol-gel in due stadi (2 step) adottando diversi catalizzatori: questa procedura permette un controllo più accurato della microstruttura dei gel di SiO2.3 La procedura che si è dimostrata più efficace prevede la iniziale idrolisi dell’alcossido di silicio in ambiente acido, e la catalisi basica nella fase successiva. La microstruttura del gel risultante è molto simile a quella dei gel ottenuti per catalisi acida, tuttavia si è riscontrata una maggiore rigidità e resistenza del gel.

Per poter avere una soluzione omogenea il rapporto tra le quantità di TEOS, etanolo assoluto e acqua deve rientrare nella zona di miscibilità del sistema TEOS/EtOH/H2O.

La reazione totale di formazione della silice richiede un rapporto molare teorico tra TEOS ed acqua (definito dal parametro r = moli H2O/moli Si) pari a 2, come indicato dalla reazione:

Si(OCH2CH3)4 + 2H2O ' SiO2 + 4CH3CH2OH

In realtà la quantità di acqua utilizzata può variare notevolmente, e tale parametro ha un notevole effetto sulle caratteristiche del prodotto. Usando valori di r compresi tra 0.03 e 25 è possibile ottenere prodotti estremamente differenti: ad esempio per valori superiori a 10 si ottengono microsfere di silice. L’effetto dell’acqua è interpretabile considerando che rappresenta un reagente per la reazione di idrolisi (determina la distribuzione e il numero di monomeri idrolizzati ottenibili) ed un prodotto della reazione di condensazione (una elevata quantità inibisce la formazione della rete di silice).

Oltre ai fattori che influenzano la formazione del sol e la gelazione, è necessario considerare l’effetto dell’invecchiamento del gel, ovvero dell’insieme di trasformazioni a cui va incontro la struttura del gel che contiene all’interno dei suoi pori ancora solvente, monomeri che non hanno reagito o sottoprodotti di reazione. Un effetto dell’invecchiamento è quello di rafforzare la struttura del gel mediante processi di sineresi e di Ostwald ripening. Il primo riguarda la condensazione tra due gruppi ossidrilici presenti sulla superficie dei pori con conseguente fuoriuscita

(23)

del liquido verso la superficie (figura 1.3), che provoca la formazione di un velo di solvente sulla superficie del campione.

Fig. 1.3 Schema del processo di sineresi.

Il secondo corrisponde alla tendenza dei pori più piccoli ad unirsi per formare pori più grandi. La forza trainante di questo processo è la differente solubilità di soluti aventi superfici con diversa curvatura. In questo modo si ha la distruzione della microporosità a vantaggio della mesoporosità. Per lo stesso principio, l’invecchiamento determina la scomparsa delle particelle più piccole che si dissolvono e poi precipitano a formare particelle più grandi, conseguendo la riduzione del raggio di curvatura.5

1.1.3 Preparazione di Nanocompositi a Base di Silice

L’ottenimento di materiali nanocompositi mediante il metodo sol-gel può avvenire mediante due procedure generali: la preparazione della matrice mediante sol-gel e il successivo inserimento nei pori della fase dispersa (ad esempio mediante impregnazione o diffusione e successiva decomposizione di precursori in fase gassosa), oppure mediante co-idrolisi e co-gelazione dei precursori della fase dispersa e della matrice. Quest’ultimo approccio permette sicuramente di ottenere materiali con una maggiore omogeneità composizionale in quanto i vari componenti vengono miscelati a livello molecolare, anche se ovviamente richiede una maggiore difficoltà di preparazione. È importante sottolineare che non sempre la preparazione di un gel multicomponente porterà alla formazione di un

(24)

nanocomposito: per fare ciò è necessario che avvenga la separazione di fase. La separazione di fase può essere legata alla natura delle fasi presenti (in particolare alla loro immiscibilità allo stato solido) oppure può essere indotta, ad esempio, mediante l’uso di precursori con notevole differenza di velocità di reazione.5

I nanocompositi più studiati sono quelli in cui è presente una fase nanometrica di metallo o di ossido metallico su una matrice di silice.43-46 Nonostante la conoscenza dell’effetto dei parametri preparativi sulle caratteristiche del gel di silice risultante, la sintesi di nanocompositi a base di silice non è altrettanto razionalizzata e richiede l’accurato controllo dei parametri di preparazione.

In particolare, i precursori della fase dispersa comunemente utilizzati sono sali metallici solubili in acqua, mentre gli alcossidi di silicio come il TEOS sono sostanzialmente insolubili in acqua: per la preparazione del sol è necessario quindi aggiungere un solvente comune, generalmente un alcool. La quantità d’acqua adottata per disciogliere i sali deve inoltre essere controllata per l’effetto sopra discusso sui processi di idrolisi e condensazione.

Anche la scelta del catalizzatore deve essere accuratamente studiata in funzione delle specie metalliche presenti: ad esempio valori di pH elevato possono indurre la precipitazione degli idrossidi metallici.

1.1.4 Preparazione di Aerogel di Silice Pura e Nanocompositi Aerogel

Al momento della gelazione, il gel trattiene all’interno della rete tridimensionale i sottoprodotti del processo sol-gel, principalmente alcool, ed è infatti comunemente definito alcogel. L’ultima fase della preparazione del gel richiede dunque l’allontanamento del solvente presente all’interno dei pori. Quando l’essiccamento del gel viene effettuato lasciando l’alcogel all’aria o in stufa (evaporazione termica), lo xerogel risultante è un materiale prevalentemente microporoso e relativamente denso. Durante l’evaporazione termica all’interno dei pori del gel si ha infatti la formazione di un menisco all’interfaccia liquido/vapore del solvente, che genera forti pressioni capillari sulle pareti dei pori, come illustrato in figura 1.4.

(25)

Fig. 1.4 A sinistra: forze capillari che si generano all’interno dei pori dell’alcogel. A destra: lo stesso

fenomeno, come comunemente riscontrato in un liquido all’interno di un capillare.

La presenza di pori di diverso raggio genera pressioni di diversa entità nelle varie parti del gel, con conseguente formazione di pressioni che portano essenzialmente al collasso della struttura porosa originaria: tipicamente l’ottenimento di uno xerogel comporta una riduzione di volume del 90% rispetto all’alcogel di partenza.

Al fine di preservare la struttura dell’alcogel, è possibile allontanare il solvente presente nei pori come fluido supercritico, evitando quindi la formazione del menisco di separazione e le conseguenti forze di tensione superficiale.3-5 Tale processo viene chiamato essiccamento supercritico e viene effettuato inserendo l’alcogel all’interno di una autoclave ermeticamente chiusa che viene sottoposta a riscaldamento finché i parametri critici di temperatura e di pressione del solvente di riempimento dei pori non vengono superati. Una volta che il solvente si trova allo stato di fluido supercritico l’autoclave viene fatta sfiatare in modo che venga allontanato il solvente a temperatura costante. É indispensabile che durante tutto il processo di estrazione supercritica si eviti la formazione del menisco liquido/vapore, ovvero che non venga mai intersecata la curva di equilibrio liquido/vapore per il solvente di riempimento dei pori. Il tipico processo di estrazione supercritica può essere rappresentato come in figura 1.5.

(26)

Fig. 1.5 Andamento dell’essiccamento supercritico con la possibilità di due differenti percorsi che

portano entrambi all’ottenimento del fluido supercritico.

La procedura di estrazione supercritica permette di sostituire il liquido di riempimento dei pori con aria, e gli aerogel così ottenuti tipicamente mantengono le dimensioni dell’alcogel iniziale o mostrano una contrazione di volume inferiore al 15%. Pur presentando anche micro e macropori, gli aerogel sono prevalentemente mesoporosi, con una porosità dell’85-99% rispetto al volume totale.

I parametri critici dei solventi più comunemente utilizzati nella sintesi sol-gel sono riportati nella tabella 1.1.

Tab. 1.1 Parametri critici di alcuni solventi

comunemente usati nella sintesi sol-gel.

Solvente TC (°C) PC (atm)

Acqua 374 218

Metanolo 240 78

Etanolo 243 63

Propanolo 264 51

Poiché le temperature necessarie per il superamento dei parametri critici sono elevate, nell’autoclave viene realizzata una atmosfera inerte per evitare la formazione di miscele esplosive tra l’alcool e l’ossigeno. L’aggiunta di un gas inerte può essere anche utilizzata al fine di creare una sovrapressione iniziale che

(27)

eviti l’evaporazione del solvente prima del conseguimento dei parametri critici e permetta di superare la pressione critica senza dover spingersi a temperature troppo elevate. Un altro modo per conseguire questo scopo consiste nell’aggiunta di solvente puro all’interno dell’autoclave. Per la preparazione di aerogel di silice l’alcogel viene immerso nel solvente puro, mentre nel caso dei sistemi nanocompositi è necessario porre il solvente all’esterno del recipiente contenente l’alcogel per evitare che il solvente estragga gli ioni metallici dalla matrice di silice. Come si osserva dalla tabella 1.1, i parametri critici dell’acqua sono sensibilmente più elevati rispetto a quelli dei comuni alcool. Nella preparazione di aerogel di silice prima dell’estrazione supercritica si sottopone l’alcogel a lavaggi con alcool puro, al fine di sostituire il più possibile la miscela idroalcolica presente nei pori con alcool. Nel caso di sistemi nanocompositi tale procedura non è attuabile perché, come detto precedentemente, il lavaggio con alcool porterebbe all’estrazione degli ioni metallici dall’alcogel, e pertanto la quantità d’acqua utilizzata nella preparazione dell’alcogel deve essere limitata il più possibile.

Nonostante venga prevalentemente preservata la struttura porosa originaria, durante l’estrazione supercritica del solvente possono avvenire alcune modifiche. Ad esempio, comunemente avviene la riesterificazione ad alta temperatura della superficie idrossilata da parte dell’alcool presente nell’autoclave, e conseguentemente gli aerogel ottenuti sono idrofobi.47 Durante il trattamento in autoclave si possono inoltre osservare altri effetti quali la induzione di cristallizzazione o di separazione di fase e la decomposizione dei precursori della fase dispersa.

È da sottolineare, inoltre, che non sempre il processo di estrazione supercritica del solvente porta alla formazione di aerogel: in particolare se i pori sono molto piccoli (alcogel di partenza microporoso), la diffusione del fluido è ostacolata. Per la preparazione di aerogel è quindi preferibile ottenere alcogel mesoporosi. In effetti la preparazione di aerogel di SiO2 pura viene solitamente effettuata o mediante catalisi basica o mediante un processo a due stadi con preidrolisi dell’alcossido di Si in ambiente acido, seguita da gelazione in ambiente basico.3-5 Tuttavia queste condizioni possono rappresentare un problema nella sintesi di nanocompositi aerogel in quanto, come detto precedentemente, la catalisi basica può portare alla precipitazione di idrossidi della fase metallica.

(28)

Pertanto finora i nanocompositi aerogel sono stati preparati in condizioni di catalisi acida, peraltro ottenute semplicemente con l’uso di nitrati quali precursori della fase dispersa. In queste condizioni i tempi di gelazione sono piuttosto lunghi e in particolare la gelazione avviene quando una elevata quantità del solvente utilizzato nella preparazione si è allontanato per evaporazione.32-34, 48 Di conseguenza gli aerogel ottenuti sono molto più densi di quanto non siano quelli ottenibili con catalisi basica o con processi a due stadi.

Per evitare la precipitazione degli idrossidi della fase metallica è possibile usare un processo a due stadi in cui nel secondo stadio si usa una specie in grado di realizzare condizioni basiche controllate. Tipicamente, il secondo stadio viene effettuato mediante aggiunte graduali di una base debole, quali NH3 o basi organiche. Tra le basi azotate, l’urea (NH2CONH2) è particolarmente promettente. Infatti le sue caratteristiche chimico-fisiche la rendono una base a graduale e lento rilascio di gruppi OH in confronto a basi come l’NH3 che agendo più bruscamente creano non pochi problemi alla sintesi (come la formazione di gel molto disomogenei o precipitazione di idrossidi).

Infatti, quando una soluzione acquosa di urea49-50 è riscaldata a temperature maggiori di 75°C essa si decompone in CO32- e NH3 con rilascio di ioni idrossido. Le reazioni coinvolte sono, in assenza di acidi:

NH2CONH2  NH4+ + CNO-

In acidi di media forza si ha invece la conversione dello ione cianato in ione ammonio:

CNO- + 2H+ + 2H2O  NH4+ + H2CO3

La velocità di decomposizione dipende dalla temperatura e dalla concentrazione e quindi il pH può essere opportunamente modulato.

Un ultimo fattore importante da tenere in considerazione nella preparazione di nanocompositi aerogel è l’opportunità di effettuare un invecchiamento dell’alcogel. Infatti, questo rafforza la rete del solido e la sua resistenza al trattamento di

(29)

estrazione supercritica, ma è accompagnato da ingrossamento e coalescenza delle particelle della fase dispersa.

1.2 TECNICHE DI CARATTERIZZAZIONE: PRINICIPI TEORICI

1.2.1 Analisi Termica

1.2.1.1 Analisi Termogravimetrica (TGA)

La termogravimetria è una tecnica che misura le variazioni di peso di una sostanza in funzione della temperatura o del tempo. I risultati appaiono in un termogramma, ossia una curva costituita da scalini che identificano le variazioni di peso del campione.

La curva derivata è detta DTG ed è caratterizzata da una serie di picchi, le cui aree sono proporzionali alle variazioni di peso del campione. La curva DTG permette di rivelare piccole variazioni di pendenza che potrebbero non essere visibili nella TGA.

1.2.1.2 Analisi Termica Differenziale (DTA)

L’analisi termica differenziale è una tecnica basata sulla registrazione in funzione del tempo, o della temperatura, della differenza di temperatura tra la sostanza in esame ed una di riferimento, mentre i due campioni sono sottoposti ad un identico regime di temperatura in un ambiente riscaldato o raffreddato a velocità controllata.

Si sceglie un riferimento che non subisca trasformazioni chimico-fisiche nell’intervallo di temperature di lavoro, in modo tale che un qualsiasi scostamento dalla linea di base sia attribuibile esclusivamente ad un fenomeno termico nel campione.

Il diagramma che si ottiene è costituito da picchi la cui area è proporzionale alla massa del campione e all’entalpia della trasformazione responsabile del picco.

(30)

L’andamento verso il basso o verso l’alto dei picchi dipende dal segno della variazione di entalpia (processi endotermici o esotermici).

Inoltre, l’analisi termica differenziale, contrariamente all’analisi termogravimetrica, permette di individuare le trasformazioni che avvengono senza variazione di peso del campione (come i passaggi di stato).

1.2.2 Diffrazione di Raggi X (XRD)

La diffrazione di raggi X sfrutta l’interferenza tra onde e si fonda sul principio che esista una precisa relazione di fase tra la radiazione X incidente sul campione e quella diffusa elasticamente dal campione.

La radiazione X incidente interagisce con gli atomi (in particolare con gli elettroni) che a loro volta diventano centri di diffusione di onde sferiche aventi la stessa lunghezza d’onda del fascio incidente. Le onde sferiche così prodotte possono interferire in maniera costruttiva o distruttiva in funzione della differenza di cammino ottico, producendo un fascio diffratto solo in talune direzioni corrispondenti alle condizioni di interferenza costruttiva.

La più semplice e nota descrizione del fenomeno della diffrazione è quella fornita dall’equazione di Bragg, che nonostante sia basata su una interpretazione non perfettamente corretta del fenomeno, fornisce in maniera semplice la direzione del fascio diffratto. Il fenomeno viene in questo caso descritto come una riflessione della radiazione X da parte di piani atomici semiriflettenti (vedi figura 1.7).

(31)

Fig. 1.6 Riflessione della radiazione X da piani atomici semiriflettenti.

Si ha interferenza costruttiva solo se la differenza di cammino tra i raggi riflessi da piani successivi è uguale ad un numero intero n di lunghezze d’onda.

La condizione è espressa dalla legge di Bragg:

2 dhkl sen θ = nλ (1.1)

dove dhkl è uguale alla distanza tra i piani reticolari; h, k, l, sono gli indici di Miller dei piani considerati e θ è l’angolo di incidenza.

L’intensità di un raggio diffratto è determinata dalla densità elettronica sul piano reticolare, la quale a sua volta dipende dal potere di diffusione e dalla distribuzione degli atomi nella cella elementare.

Un esperimento di diffrazione è concettualmente semplice e necessita di una sorgente di radiazione, di un campione e di un rivelatore dell’intensità diffratta. I raggi X sono prodotti di solito bombardando un bersaglio metallico (anodo) con un fascio elettronico emesso da un filamento incandescente (catodo), normalmente tungsteno, in un cosiddetto tubo a raggi X. Gli elettroni, accelerati dalla differenza di potenziale V tra catodo e anodo, collidendo sul bersaglio perdono energia e danno luogo a due fenomeni:

• Gli elettroni vengono rallentati e fermati per collisione e parte dell’energia che perdono viene convertita in radiazione elettromagnetica. Questo

(32)

processo di frenamento fornisce “radiazione bianca” ovvero raggi X con un ampio range di lunghezza d’onda a partire da un certo valore limite, che dipende dal voltaggio applicato: λmin (Å) = 12400/V.

• Quando gli elettroni incidenti hanno energia sufficiente a ionizzare elettroni delle shell più interne vengono prodotti raggi X monocromatici, in seguito all’emissione di radiazione caratteristica. Infatti, la buca che viene a crearsi può essere riempita da un elettrone di uno dei livelli più esterni. L’ emissione di radiazione caratteristica viene simboleggiata con le sigle Kα e Kβ (K è il livello energetico in cui si è formata la buca, α e β indicano il salto energetico rispettivamente a partire dal livello L o M). Solitamente gli esperimenti di diffrazione sono effettuati utilizzando raggi X monocromatici e in particolare la radiazione Kα che è più intensa.

Le lunghezze d’onda dei raggi X prodotti dipendono dal numero atomico del metallo utilizzato come bersaglio (legge di Moseley).51 Per separare la radiazione Kα dalla radiazione Kβ e dalla radiazione bianca si ricorre all’uso di filtri o di cristalli monocromatori.

Il “metodo delle polveri” prevede l’utilizzo di materiali policristallini contenenti un numero molto elevato di cristalliti aventi orientazione statistica, con dimensioni <10 μm.

Nel caso di tali campioni le intensità diffratte (conteggi di fotoni X per unità di tempo) in funzione dell’angolo di incidenza θ vengono usualmente presentate nella forma grafica di un diffrattogramma.

Da un profilo di diffrazione si ottengono quattro gruppi di osservabili:

1. Posizione del picco di diffrazione: le posizioni dei picchi dipendono solo dalle dimensioni e forma della cella elementare del materiale in esame. L’analisi diagnostica, che è una delle principali applicazioni della diffrazione a raggi X su campioni policristallini, è principalmente basata sulle posizioni dei picchi di diffrazione.

2. Funzioni di profilo dei picchi: l’allargamento del profilo è quantificato attraverso la larghezza a metà altezza del picco (spesso indicata con

(33)

FWHM), oppure con l’allargamento integrale (che equivale all’area di un rettangolo avente stessa area totale ed altezza del picco considerato, vedi figura 1.7). Le cause di allargamento del picco di diffrazione sono dovute principalmente a:

• Effetti strumentali.

• Caratteristiche micro-strutturali del campione. Infatti, il picco di diffrazione si allarga al diminuire della dimensione dei domini di diffrazione coerente all’interno dei singoli grani e all’aumentare delle deformazioni e/o dei difetti. In assenza di microstrain (legati a deformazioni del reticolo, indotte da sforzi esterni, difetti reticolari, fluitazioni locali di composizione) le dimensioni medie dei cristalliti possono essere determinate approssimativamente tramite l’equazione di Scherrer: <d> = θ cos B λ K (1.2)

dove <d> è la dimensione media dei cristalliti (in Å); λ è la lunghezza d’onda dei raggi X; K è una costante uguale a 0.9; B è la larghezza a metà altezza (FWHM) del picco considerato (in radianti) e θ è l’angolo a cui cade il picco.

(34)

3. Intensità dei picchi: in linea di principio dall’intensità dei picchi si può determinare la posizione degli atomi all’interno della cella elementare (analisi strutturale).

4. Intensità del fondo: non fornisce informazioni. Si possono comunque distinguere due contributi:

• Fondo strumentale, che deriva da radiazioni spurie causate dal portacampione, dal rumore elettronico del rivelatore ecc.

• Fondo del campione, che deriva dagli altri processi coinvolti nell’interazione dei raggi X con la materia o con l’aria o da particolari caratteristiche del campione.

Gli spettri possono essere effettuati utilizzando diffrattometri aventi geometria θ-θ o θ-2θ. Gli strumenti del primo tipo consistono di due bracci su cui sono montati rispettivamente la sorgente di raggi X ed il sistema di rivelazione. Essi si muovono in modo sincrono formando un angolo θ rispetto al campione che invece è fisso e disposto in posizione orizzontale. Negli strumenti del secondo tipo è la sorgente ad essere fissa mentre sono il campione ed il rivelatore a muoversi (il campione si muove di θ e conseguentemente il rivelatore di 2θ).

La maggior parte dei diffrattometri utilizza la geometria focalizzante di Bragg – Brentano (vedi figura 1.8).

(35)

I rivelatori più comunemente utilizzati sono a contatore (per esempio a scintillazione, proporzionale o Geiger), cioè sono in grado di contare un certo numero di impulsi che è proporzionale all’intensità della radiazione.

1.2.3 Microscopia Elettronica in Trasmissione (TEM)

La Microscopia Elettronica in Trasmissione (TEM) fornisce informazioni sulla struttura del campione utilizzando il diagramma di diffrazione elettronica e sulla sua morfologia attraverso la diretta visualizzazione dell’immagine ingrandita.

Un microscopio elettronico, analogamente alla controparte ottica, è costituito da un sistema di illuminazione, un alloggiamento per il campione ed un sistema di ingrandimento. Nel microscopio elettronico, tuttavia, il sistema di illuminazione è costituito da un fascio focalizzato di elettroni al posto di un fascio luminoso.

Il fascio trasmesso viene osservato o su uno schermo fluorescente o su un sistema di registrazione fotografica.

L’intensità del fascio trasmesso dipende principalmente dalla composizione chimica e dallo spessore del campione che deve in ogni caso essere inferiore ad un valore limite, intorno ai 200 nm.

In un campione a cristallo singolo l’immagine di diffrazione elettronica è costituita da macchie isolate distribuite in modo ordinato intorno alla macchia centrale del fascio diretto, mentre per un campione policristallino l’immagine è costituita da anelli concentrici netti. Un campione amorfo, invece, dà luogo ad aloni sfumati. Per l’analisi morfologica il fascio trasmesso dal campione può essere separato da quelli diffratti per mezzo di un diaframma. La posizione di quest’ultimo caratterizza due modalità di osservazione differenti, fra loro complementari:

• Modalità in campo chiaro (“Bright Field”, BF) dove il diaframma è centrato intorno alla macchia centrale del diagramma di diffrazione, che corrisponde alla componente del fascio trasmessa. In questo caso il contrasto dell’immagine è dovuto ai soli effetti di trasmissione.

• Modalità in campo scuro (“Dark Field”, DF) dove il diaframma è centrato intorno ad una macchia di diffrazione: i cristalliti che contribuiscono a tale macchia appaiono chiari e quelli che trasmettono sono scuri.

(36)

Appare evidente che la modalità BF non consente di distinguere un aggregato di piccoli cristalli da un monocristallo di uguali dimensioni, mentre la modalità DF risolve questo problema, anche se la risoluzione rispetto al metodo precedente è minore a causa dei fenomeni di aberrazione sferica causati dall’inclinazione del fascio rispetto al campione.

Nel caso di una particella amorfa, entrambe le modalità non forniscono informazioni; infatti, non vi è nessun contrasto in quanto tutta la particella diffrange in modo omogeneo.

1.2.3.1 Microscopia Elettronica in Alta Risoluzione (HREM) ed Energy Dispersive X-Ray Analysis (EDX)

Un'ulteriore evoluzione della microscopia TEM è quella detta ad alta risoluzione, HRTEM, che, senza entrare nel dettaglio del meccanismo di formazione delle immagini, consente, sotto certe condizioni, di ottenere una visione diretta dell'eventuale struttura cristallina del campione esaminato. Essa si basa sull'interferenza di fase delle onde elettroniche del fascio trasmesso con quelle degli elettroni che hanno interagito coi potenziali atomici periodici propri del cristallo, ossia degli elettroni che sono stati diffratti dai piani cristallini corrispondenti.

Un’ulteriore capacità dei moderni TEM è la formazione di sonde elettroniche che possono avere diametri compresi tra 1 e 100 nm, attraverso un sistema di lenti condensatrici a tre stadi. La principale applicazione di queste nano-sonde elettroniche è quella di poter svolgere analisi spettroscopiche dei campioni irradiati su zone di larghezza comparabile con quella delle sonde utilizzate.

Stesso genere di determinazione può essere realizzato anche mediante osservazione HREM, ma in quest’ultimo caso, poiché la tecnica fornisce un’immagine diretta della struttura cristallina (se è tale) dei campioni osservati, è possibile determinare direttamente la distanza tra i piani atomici (nel caso del cristallo) del film e/o del substrato e eventuali fenomeni di distorsione e di formazione di difetti all’interfaccia tra i due. In taluni casi è inoltre possibile, entro il limite di risoluzione puntuale proprio del microscopio utilizzato, osservare una

(37)

proiezione della struttura del cristallo osservato, ossia un’immagine dei filari di atomi sovrapposti.52-53

Nei microscopi TEM e HREM si possono inoltre ottenere informazioni sulla composizione chimica del campione mediante Energy Dispersive X-Ray Analysis (EDX). Infatti, tra i vari fenomeni di interazione fascio elettronico-campione può avvenire la produzione di radiazione X per ionizzazione delle shell interne degli atomi del campione, con analogo meccanismo a quanto visto nei tubi per la produzione dei raggi X (paragrafo 1.2.2). In questo caso si ha la “discesa” degli elettroni delle shell più esterne per coprire la vacanza che si è creata, con conseguente emissione di un quanto X, la cui energia è pari alla differenza di energia tra le shell tra cui avviene la transizione, e che è caratteristica dell’elemento che è stato ionizzato. Attraverso lo studio delle radiazioni X emesse dagli atomi ionizzati si cerca di capire quali sono gli elementi che compongono il campione.

Come già riportato nel paragrafo 1.2.2, i raggi X emessi in seguito ad una transizione con generazione di radiazione sono detti caratteristici in quanto le loro energie (o lunghezze d’onda) sono caratteristiche del particolare elemento che è stato eccitato. La λ della radiazione X caratteristica emessa è inversamente proporzionale al numero atomico Z dell’elemento che emette (relazione di Moseley).

1.2.4 Fisisorbimento di N2 a 77 K

L’indagine della struttura porosa è di fondamentale importanza per il completamento della caratterizzazione di materiali con una superficie interna molto sviluppata come gli aerogel, in cui la rete porosa può arrivare a costituire fino al 95% del volume e per la razionalizzazione di molti processi chimici superficiali.

Uno dei metodi più utilizzati per studiare la struttura porosa è basato sull’adsorbimento fisico di un gas su un solido.

(38)

A temperatura costante, l’isoterma di adsorbimento gas - solido è definita come:

n = f (P/P0)T, gas, solido (1.3)

dove n è proporzionale alla quantità di gas adsorbito e P e P0 sono rispettivamente la pressione e la pressione di saturazione del gas.

Dal punto di vista termodinamico il fisisorbimento è reversibile, anche se a causa di fattori quali l’interazione adsorbente – adsorbato e le dimensioni dei pori può essere presente un ciclo di isteresi (compreso tra il ramo di desorbimento e quello di adsorbimento).

I metodi utilizzati per misurare l’isoterma possono essere di tipo gravimetrico o volumetrico; in questo lavoro di tesi è stata utilizzata la tecnica volumetrica che è senza dubbio la più utilizzata.

Brunauer, Deming e Teller54 furono i primi ad individuare sei tipi differenti di isoterme, riclassificate in un secondo tempo dalla IUPAC55, come illustrato in figura 1.9.

(39)

Dalle isoterme sperimentali si può calcolare la distribuzione delle dimensioni dei pori ed il valore dell’area superficiale del solido esaminato.

Secondo la classificazione IUPAC, i pori sono distinti in:

Micropori r < 20 Å

Mesopori 20 Å < r < 500 Å Macropori r > 500 Å

De Boer56 prima e Sing ed altri57 dopo classificarono i cicli di isteresi secondo quattro diversi tipi, rivisti in seguito dalla IUPAC54, come mostrato in figura 1.10, la cui forma può essere correlata con la geometria dei pori.

Fig. 1.10 Classificazione IUPAC dei cicli di isteresi.

Una volta individuata la natura del processo di adsorbimento si adotta un opportuno metodo di analisi dell’isoterma sperimentale per ottenere il valore dell’area superficiale.

(40)

1.2.5 Spettroscopia di Assorbimento di Raggi X (XAS)

La spettroscopia XAS40 è una tecnica di caratterizzazione strutturale che consente di ottenere informazioni riguardanti le prime shell di coordinazione di una particolare specie atomica in un sistema complesso, separatamente ed indipendentemente dalle altre specie atomiche presenti.

Lo spettro di assorbimento viene generalmente ottenuto attraverso misure in trasmissione misurando le intensità I0 e IT dei raggi incidente e trasmesso (figura 1.11) in funzione dell'energia del fotone incidente:

IT=I0e(-μt) (1.4)

e determinando il coefficiente di assorbimento lineare μ, essendo t lo spessore del campione.

Fig. 1.11 Schema relativo alla misura in trasmissione in un esperimento XAS.

Il coefficiente di assorbimento rappresenta quindi l’attenuazione del fascio di raggi X in seguito all’attraversamento del campione. Il coefficiente di assorbimento dipende dalle specie atomiche che costituiscono il campione (aumenta con il numero atomico Z) e dall’energia dei raggi X incidenti.

In particolare, se t è costante μ diminuisce con l’aumentare dell’energia, o con il diminuire della lunghezza d’onda, dei raggi X (raggi X più penetranti).

Poiché i fotoni X possono essere assorbiti attraverso l’eccitazione di elettroni delle shell più interne, l’andamento monotono di μ è interrotto da nette discontinuità positive chiamate soglie di assorbimento; il coefficiente di assorbimento aumenta bruscamente quando l’energia dei raggi X diventa sufficiente ad estrarre un elettrone dai livelli elettronici più interni. Quindi le soglie di assorbimento si

(41)

verificano per ogni livello energetico di core quando l’energia dei raggi X è uguale a quella di legame dell’elettrone. Le energie delle soglie di assorbimento dei raggi X, essendo in relazione con i livelli energetici atomici, sono diverse per le diverse specie atomiche e sono ben conosciute e tabulate.

Inoltre, per energie dei fotoni vicine e maggiori delle energie di soglia, compaiono strutture fini dovute a transizioni elettroniche dal livello atomico di core a stati non occupati e a effetti di scattering (diffusione) elastico del fotoelettrone prodotto dall’eccitazione.

Le soglie di assorbimento sono etichettate a seconda dell’elettrone di core interessato (figura 1.12):

K: 1s1/2; L1: 2s1/2, L2: 2p1/2, L3: 2p3/2 (notazione nlj)

Fig. 1.12 Denominazione delle soglie di assorbimento in funzione del livello energetico

dell’elettrone interessato.

Poiché l’energia corrispondente alla soglia, E0, è unica per ogni elemento, la spettroscopia XAS è una tecnica specifica per ciascun elemento.

(42)

Fig. 1.13 Regioni dello spettro di assorbimento di raggi X.

Un tipico spettro XAS (figura 1.13) può essere diviso in tre regioni: la regione pre-soglia che non contiene informazioni, la regione intorno alla pre-soglia di assorbimento, detta XANES, che permette di ottenere informazioni sullo stato di ossidazione e sulla geometria dell'atomo assorbitore e la regione chiamata EXAFS che fornisce informazioni quantitative su distanze e numeri di coordinazione.

1.2.5.1 Extended X-ray Absorption Fine Structure (EXAFS)

La regione EXAFS si estende da circa 30 eV fino a circa 1 keV oltre la soglia di assorbimento ed è dominata dagli effetti di scattering singolo. Questa regione fornisce informazioni quantitative sulle distanze di legame e sui numeri di coordinazione delle shell circondanti l’atomo assorbitore.

Per capire l’origine delle oscillazioni EXAFS, dobbiamo considerare più da vicino quello che succede quando un atomo assorbe un fotone X (figura 1.14). Quello che si verifica è un’interferenza tra l'onda fotoelettronica uscente dall’atomo assorbitore e le onde retrodiffuse dagli atomi circostanti.

L’energia del fotone assorbito è utilizzata per estrarre un elettrone da un livello di core dell’atomo A (centrale); se l’energia del fotone è maggiore di quella di legame dell’elettrone quest’ultimo verrà espulso dall’atomo, portando con se l’energia in

(43)

eccesso. L’elettrone viene espulso dall’atomo come fotoelettrone ed è convenientemente descritto da un’onda sferica la cui lunghezza d’onda è inversamente proporzionale al momento lineare del fotoelettrone: maggiore è l’energia del fotone di raggi X assorbito, più veloce sarà il fotoelettrone sfuggente, e più corta sarà la sua lunghezza d’onda. Il fotoelettrone può essere retrodiffuso dall’atomo B generando una nuova onda sferica che interferisce con quella originale.

Fig.1.14 Schema dell’interferenza tra il fotoelettrone e le onde scatterate dagli atomi vicini.

Se la distanza tra l’atomo assorbitore e quelli retrodiffusori è fissa, l’interferenza tra le due onde dipende dalla lunghezza d’onda del fotoelettrone, che a sua volta è funzione dell’energia dei raggi X incidenti. Se l’energia del fotoelettrone aumenta in modo continuo, le condizioni di interferenza costruttiva e distruttiva si alternano. Quando l’interferenza è costruttiva il coefficiente di assorbimento cresce, mentre se è distruttiva diminuisce. Quindi l’interferenza può essere costruttiva o distruttiva a seconda della distanza tra atomo assorbitore e atomi diffusori e della lunghezza d'onda del fotoelettrone.

La frequenza delle oscillazioni dipende dalla distanza tra l'atomo centrale (atomo assorbitore) e i suoi vicini (atomi retrodiffusori). Maggiore è la distanza, maggiore è la frequenza delle oscillazioni. L’ampiezza delle oscillazioni dipende dal tipo di atomi retrodiffusori e dal loro numero.

(44)

Il momento lineare del fotoelettrone è descritto dal vettore d’onda:

k=2π/λ (1.5) e le oscillazioni EXAFS sono espresse dalla funzione interferenza EXAFS:58

( )

f

( )

k,R sin

(

2kR 2δ(k)

( )

k,R

)

exp

(

2σ k

)

exp

(

2R/λ

( )

k

)

kR N S k χ 2 2 i i i i i i 2i i 2 0 + +ϕ − − =

(1.6) dove:

k = [(2m/ħ2) (E-E0)]1/2 (m = massa dell’elettrone, ħ = costante di Planck/2π) Ni = numero di atomi nella shell i

Ri = distanza dall'atomo centrale degli atomi della shell i

σi = fattore di Debye-Waller40 (tiene conto del disordine termico e strutturale) fi(k,R) = fattore di backscattering

δ(k) + φi(k,R) = shift di fase dell'onda fotoelettronica λ = cammino libero medio del fotoelettrone

S0 = fattore (<1) che tiene conto di eccitazioni multiple

Gli atomi alla stessa distanza dall’atomo assorbitore contribuiranno all’EXAFS in modo additivo, per cui l’ampiezza del segnale EXAFS di una data shell di coordinazione è proporzionale al suo numero di coordinazione.

Gli errori associati a questa tecnica sono tipicamente di ± 0.01 Å sulle distanze e del 10-20% sui numeri di coordinazione.

Per distinguere il contributo delle diverse shell di coordinazione dell’atomo assorbitore è consuetudine sottoporre il segnale EXAFS ad una trasformata di Fourier. In questo modo le diverse frequenze del segnale EXAFS, corrispondenti a diverse shell di coordinazione, sono rappresentate da diversi picchi. Quindi l’interferenza che fornisce una oscillazione in funzione del vettore d’onda k è convertita dalla trasformata di Fourier in un picco in funzione della distanza R. Diversamente dai metodi diffrattometrici, l’EXAFS fornisce informazioni selettive sull'intorno di un particolare atomo, non dipende dall'ordine a lungo raggio e

(45)

consente di studiare campioni con basse concentrazioni di atomo assorbitore. La natura spettroscopica dell’EXAFS implica la selettività verso diverse specie atomiche: si può studiare l’intorno di un dato atomo in un composto selezionando l’energia dei raggi X ad un valore di energia corrispondente ad una delle sue soglie di assorbimento.

Per registrare uno spettro EXAFS sono necessari una sorgente di raggi X ad alta intensità e con spettro di emissione continuo, un monocromatore ed un set di detector.

La sorgente di raggi X ideale per l’EXAFS è la radiazione di sincrotrone generata da anelli di accumulazione di elettroni (o positroni). Il termine luce di sincrotrone identifica la radiazione elettromagnetica emessa da particelle cariche che si muovono con velocità relativistiche lungo una traiettoria curva. Rispetto alle classiche sorgenti utilizzate in diffrattometria permette la produzione di raggi X molto più intensi in un largo range di energie. Lo svantaggio principale risiede nell’alto costo.

Il tipico schema di un esperimento EXAFS è rappresentato in figura 1.15.

Fig. 1.15 Schema di un esperimento EXAFS.

Il sincrotrone produce raggi X in un ampio range di energie. La singola energia (o λ) è selezionata usando un monocromatore che funziona sfruttando i principi della

(46)

diffrazione di Bragg, ossia λ varia al variare dall’angolo di incidenza θ dei raggi X sul monocromatore. Lo spettro è quindi ottenuto ruotando il monocromatore e contemporaneamente misurando l’intensità I0 e IT dei raggi incidente e trasmesso. Il monocromatore è un monocristallo, di solito di silicio, tagliato lungo una ben precisa famiglia di piani (111) o (311). Due successive riflessioni di Bragg da cristalli paralleli permette di mantenere la direzione dei raggi X inalterata.

I detector più utilizzati sono le camere a ionizzazione costituite da un tubo riempito di un gas (o una miscela di gas) che viene ionizzato dai raggi X, per cui quando viene applicato un voltaggio gli elettroni e gli ioni si dirigono agli elettrodi e di conseguenza viene emesso un impulso.

Il campione da analizzare deve essere preparato in modo tale da risultare di spessore il più omogeneo ed uniforme possibile, in quanto la presenza di disomogeneità, o peggio di buchi, diminuisce le ampiezze delle oscillazioni EXAFS. Inoltre lo spessore deve essere ben determinato in modo tale che la differenza tra il coefficiente di assorbimento prima e dopo soglia risulti superiore a un certo valore.

Il modo più semplice di effettuare una misura EXAFS è in trasmissione, misure in fluorescenza si effettuano solamente nel caso di campioni molto diluiti.

1.2.5.1.1 Analisi dei Dati EXAFS

Il primo passo dell’elaborazione del segnale EXAFS consiste nella sottrazione del fondo pre-soglia, che proviene da soglie dello stesso atomo assorbitore ad energia più bassa o da soglie di altri atomi, e nella sottrazione del fondo post-soglia.

Quest’ultimo termine costituisce l’assorbimento che l’atomo avrebbe se fosse isolato, μ0. In assenza di vicini, l’onda fotoelettronica uscente dall’atomo assorbitore si propaga imperturbata e il coefficiente di assorbimento μ=μ0 varia monotonicamente in funzione del della lunghezza d’onda del fascio incidente. Viceversa, quando l’assorbitore è circondato da altri atomi, l’onda fotoelettronica, come descritto prima, viene retrodiffusa dagli atomi circostanti e quindi si può verificare un’interferenza con conseguente variazione di μ rispetto all’andamento monotono di μ0.

(47)

A questo punto si procede con il calcolo della χ(k) = (μ - μ0)/μ0, che rappresenta la funzione interferenza EXAFS contenente le oscillazioni caratteristiche della struttura. Poiché le oscillazioni della χ(k) decadono velocemente con k, la χ(k) è spesso moltiplicata per una potenza di k (di solito k2 o k3). Successivamente si esegue la trasformata di Fourier complessa che fornisce picchi corrispondenti alle distanze che producono le oscillazioni EXAFS:

dk e ) k ( W ) k ( k 2 1 F(R) Kmax kR min K n 2

χ π = (1.7)

dove W(k) è una funzione finestra, utilizzata per minimizzare gli effetti di troncamento, che vale 0 agli estremi di integrazione e raggiunge l’unità nella zona centrale dei dati.

Il passo finale dell’elaborazione consente di estrarre le informazioni strutturali eseguendo il fit della funzione χ(k) sperimentale con il modello strutturale, dove ovviamente i parametri affinabili sono Ni, Ri, σi2. A tale fine le ampiezze di back-scattering e gli shift di fase di ogni shell di coordinazione devono essere conosciute a priori tramite calcoli ab-initio.

Tutto il procedimento è svolto con l’ausilio di appropriati software.

1.2.5.2 X-ray Absorption Near Edge Structure (XANES)

La regione XANES è la parte a bassa energia dello spettro che si estende da alcune decine di eV prima fino ad alcune decine di eV oltre la soglia di assorbimento. In questa regione l’elettrone espulso dall’atomo assorbitore possiede una bassa energia cinetica e pertanto interagisce fortemente con gli atomi vicini subendo processi di scattering multiplo.

Sebbene un’interpretazione quantitativa sia piuttosto complessa (non c’è una semplice descrizione analitica o fisica) si possono ottenere informazioni sulla struttura elettronica, sullo stato di ossidazione, e sulla geometria di coordinazione locale dell’atomo assorbitore per confronto con composti modello.

L’effetto dello stato di ossidazione si trasmette sui valori di energia della soglia di assorbimento: uno stato di ossidazione più elevato corrisponde a un maggior

(48)

valore di energia della soglia (maggior carica positiva sull’atomo eccitato e quindi elettrone in uno stato più fortemente legato); generalmente un aumento dello stato di ossidazione pari a +1 corrisponde ad +3 eV nel valore di energia della soglia. Poiché lo XANES fornisce un segnale molto più intenso dell’EXAFS, possono essere ottenuti risultati soddisfacenti anche su campioni con concentrazioni più basse di atomo assorbitore o comunque in condizioni meno ideali. Per contro, in questa regione i dati necessitano di una calibrazione precisa delle energie.

1.2.5.2.1 Analisi degli Spettri XANES

Il metodo più semplice e più comune di interpretare gli spettri XANES è l’approccio “fingerprint”, che consiste nel confronto qualitativo con spettri XANES di campioni di riferimento con quelli dei campioni in studio, basata sul fatto che se campione e riferimento presentano la stessa struttura i loro spettri XANES saranno estremamente simili.

La presenza di un picco nella regione subito prima della soglia fornisce informazioni molto utili sulla geometria di coordinazione. Infatti, nel caso delle soglie K dei metalli di transizione appare un ben definito picco prima della soglia di assorbimento esclusivamente quando l’atomo centrale si trova in un sito asimmetrico in quanto si possono formare orbitali ibridi pd e diventano possibili transizioni elettroniche dall’orbitale 1s a livelli nd non occupati.

Il confronto quantitativo degli spettri del campione con spettri XANES simulati può essere effettuato usando la struttura a bande o calcoli di scattering multiplo. Tuttavia, questo approccio risulta molto più complicato e quindi molto meno frequentemente utilizzato.

(49)

CAPITOLO 2

CONDIZIONI SPERIMENTALI DI SINTESI E

CARATTERIZZAZIONE DEI NANOCOMPOSITI AEROGEL

MFe

2

O

4

-SiO

2

(M = Co, Mn, Ni) E FeCo(Ni)-SiO

2

2.1 SINTESI DEI NANOCOMPOSITI AEROGEL MFe2O4-SiO2 (M = Co, Mn, Ni) E

FeCo(Ni)-SiO2

I nanocompositi sono stati preparati utilizzando una sintesi sol-gel a due stadi seguita da essiccamento supercritico ad alta temperatura, estendendo una metodica precedentemente sviluppata con successo per la preparazione di nanocompositi CoFe2O4-SiO2, con un contenuto di ferrite di cobalto pari al 10% in peso.35

La velocità ottimale di gelazione richiede un compromesso tra la formazione di un gel multicomponente omogeneo ed una limitata evaporazione di solvente durante la formazione dell’alcogel. Tale sintesi fornisce aerogel a bassa densità e l’urea svolge un ruolo chiave nell’ottenimento di nanocompositi aerogel: la sua decomposizione può essere infatti modulata controllando sia la temperatura che la concentrazione permettendo quindi un graduale aumento del pH (paragrafo 1.1.4). La metodica è stata estesa a nanocompositi CoFe2O4-SiO2 con differente contenuto di ferrite di cobalto, a nanocompositi MnFe2O4-SiO2 e NiFe2O4-SiO2 con contenuto di ferrite del 10% in peso e a nanocompositi FeCo(Ni)-SiO2 con contenuto variabile di Fe, Co e Ni.

In figura 2.1 è illustrato lo schema della preparazione. La procedura di sintesi adottata prevede la preidrolisi del TEOS, precursore della matrice di silice, in condizioni di catalisi acida seguita dall’aggiunta al sol di una soluzione basica di urea che agisce da promotore della gelazione. Come anticipato nel capitolo 1, la sintesi a due stadi permette da un lato di ottenere una rete di silice con particelle

(50)

piccole ed allo stesso tempo di rafforzare la struttura del gel e di accelerare la gelazione favorendo l’ottenimento di aerogel ad elevata porosità.

(51)

In tabella 2.1 vengono riportati i rapporti molari tra i reagenti utilizzati per l’ottenimento della matrice di silice.

Tab. 2.1 Rapporti molari dei reagenti. Stadio 1

TEOS H2O Etanolo HNO3

1 4.09 6.24 0.017

Stadio 2

Urea Etanolo H2O

1 2.64 4.67

Totale

TEOS H2O Etanolo HNO3 Urea

1 12.4 10.9 0.017 1.78

Nella figura 2.2 è indicato il punto del diagramma ternario TEOS/EtOH/H2O corrispondente alle quantità di reagenti utilizzate: χTEOS = 0.041, χH2O = 0.516, χEtOH = 0.443 (le frazioni molari sono state calcolate includendo il contributo dell’acqua di idratazione dei sali).

Fig. 2.2 Diagramma ternario TEOS/EtOH/H2O. In rosso è indicato il punto corrispondente alle

Riferimenti

Documenti correlati

storia della medicina né storia delle patologie, si sono messi a confronto i concetti di salute e malattia, di normale, anormale e anomalo, servendosi non soltanto

The results of our experiments showed the significantly decreased levels of HIF1α and its target genes - CA9 (data not shown), VEGF and ABCG2 - by the treatment combination

Linee guida di ACNP: natura e finalità delle linee guida ACNP: strumento che supporta e agevola la collaborazione ACNP: regolare il servizio per gli utenti e i bibliotecari

Cells were harvested at di↵erent time points during a 18-h time interval after they had been released from G1/S block into nocodazole-containing medium, Figure S4: Immunoblot shows

[r]

The study found out that the meaning of eating traditional vegetables for the Bangladeshis is ‘taste’ and availability of the vegetables, even the rarest vegetables (drumstick,

Hence, we expected that (a) the function of defense of the system would be mentioned more frequently compared to the function related to a state of achieved state of privacy

L’obiettivo di questo contributo è quello di esaminare la presenza di riviste italia- ne ad accesso aperto nei repertori internazionali, prendendo in considerazione alcu- ni aspetti