• Non ci sono risultati.

Digital disruption. Perché non si può parlare più di aziende tradizionali

Nel documento Dipartimento di Impresa e Management (pagine 19-22)

1. Literature review: le piattaforme digitali, il contesto competitivo ed il

1.3 Digital disruption. Perché non si può parlare più di aziende tradizionali

Il processo di digitalizzazione che stiamo ormai vivendo da diversi anni ha profondamente cambiato l’economia e la società nel suo complesso. La produzione, la distribuzione e il consumo di beni e servizi all'interno dell'economia stanno cambiando rapidamente e radicalmente (Vagadia 2020). Dal punto di vista economico-sociale sono ormai indiscussi i benefici apportati dalle tecnologie digitali in termini di accrescimento dell’offerta di beni e servizi, aumento della quantità e della circolazione delle informazioni, riduzione dei costi di transazione e, in generale, miglioramento di numerose industrie. Riguardo alle piattaforme, infatti, sono numerose nella letteratura considerazioni quali: “they can reduce search and transaction costs, and fundamentally restructure entire industries within a few short years” (Cusumano, Gawer, Yoffie 2019).

Questi benefici sono stati, tuttavia, accompagnati da una serie di rischi, ad esempio l’utilizzo scorretto di dati personali da parte di alcune aziende, la commercializzazione degli stessi e la diffusione di contenuti non veritieri o illegali. Inoltre, l’impatto della digitalizzazione sulle industrie tradizionali non sempre è vissuto in maniera positiva dalle aziende incumbents, al contrario, può generare forti difficoltà nell’adattarsi alle nuove contingenze.

In un contesto simile, le imprese devono essere pronte a saper cogliere le opportunità e ad abbandonare la loro zona di confort, infatti “Organisations need to disrupt or be disrupted” (Tiwana 2013). La trasformazione digitale, però, non si esaurisce portando semplicemente la tecnologia all’interno dell’organizzazione, al contrario, “[…]

it’s about new strategy and new ways of thinking” (Rogers 2016). Questo sta a significare che, per sopravvivere e prosperare, le aziende hanno bisogno di ridisegnare le proprie strategie, sviluppando nuovi modelli di business e, di conseguenza, implementando modelli operativi adeguati che abbiano come base la tecnologia.

Questo richiamo teorico è importante ai fini del seguente lavoro, in quanto, come sostiene Tiwana (2013), le piattaforme digitali di maggior successo nascono da prodotti

20

o servizi tradizionali che vengono poi strutturati in forma di piattaforma. Si pensi ad Amazon, che oggi rappresenta il primo e-marketplace al mondo, eppure nasce solo come rivenditore di libri online.

La trasformazione digitale ha, altresì, modificato radicalmente le fonti di vantaggio competitivo e le risorse sulle quali un’azienda dovrebbe puntare. Gli esempi di Uber, Airb&b e Alibaba, richiamati nell’introduzione a questo capitolo, evidenziano che le classiche risorse fisiche e gli assets patrimoniali non incorporano per le aziende lo stesso valore che avevano in precedenza; attualmente si parla, infatti, di business “light in assets” (Rogers 2016). Marè (2020), a tal proposito, scrive: “si è diffusa in modo rilevante e senza precedenti una capacità crescente delle imprese di offrire beni e servizi digitali senza una presenza fisica (nexus): l’economia è ormai digitale e immateriale”. Ciò che conta davvero oggi sono una serie di beni intangibili quali algoritmi digitali, proprietà intellettuale, brevetti e soprattutto big data, i quali rappresentano la più importante

“materia prima” da estrarre ed utilizzare (Srnicek 2017).

Questo cambiamento di mindset ha portato all’implementazione di nuove strategie di business e di nuove strategie finanziarie, nonché ad un ridisegno della struttura organizzativa e a nuovi modi di fare innovazione (si pensi al passaggio dalla closed all’open innovation, dove non si fa più leva sugli investimenti in personale qualificato, quanto sull’utilizzo della conoscenza derivante dall’esterno dell’organizzazione).

Le caratteristiche tipiche delle piattaforme elencate precedentemente, inoltre, ci aiutano a comprendere perché queste non possono essere considerate prodotti o servizi tradizionali, né tantomeno intermediari passivi tra i diversi attori. Per un’analisi più approfondita dell’argomento, possiamo riprendere la teoria di Tiwana (2013), il quale riunisce le principali differenze in tre ambiti: market potential differences, structural differences e management-style differences.

Le piattaforme, grazie alla loro caratteristica di multisideness e alla presenza di forti effetti di rete, riescono ad offrire un grande potenziale per le economie di scala non solo al platform owner ma anche ai vari app developers (si approfondirà in seguito il tema delle economie di scala come driver del successo di alcune piattaforme digitali). Per quanto riguarda le differenze di natura strutturale, in primo luogo, le piattaforme hanno un’architettura più aperta e partecipativa, la proprietà è frammentata tra app developers e platform owner ed il controllo è distribuito. Inoltre, le normali relazioni che si vengono a

21

creare tra le aziende tradizionali (ad esempio quelle relative alla supply chain e alle reti di produzione) all’interno della piattaforma sono di natura molto più ampia, diversificata e fluida. Infine, sussistono differenze anche per quanto riguarda lo stile di gestione; la principale sfida per le piattaforme, infatti, è quella di riuscire a governare in maniera efficace ed efficiente le relazioni che si vengono a creare all’interno dell’ecosistema.

Amrit Tiwana sostiene che il tallone d’Achille delle piattaforme è proprio la loro complessità, la quale confligge con la necessità di allineamento di tutti i componenti e partecipanti all’ecosistema verso un unico risultato. La gestione della piattaforma, per come essa è strutturata, richiede pertanto “control without ownership, orchestration without authority, and direction without enough expertise by the platform owner”

(Tiwana 2013).

Le piattaforme, inoltre, non possono essere considerate intermediari neutrali tra i vari sides; al contrario, il ruolo di mediazione della piattaforma, all’interno dell’ecosistema che si viene a creare, è tutt’altro che passivo. Per citare Tiwana (2013),

“if the metaphor for traditional organizations is an army, the metaphor for platform ecosystem is a simphony”; la piattaforma, infatti, non si limita a fornire l’infrastruttura per rendere possibili le interrelazioni tra i vari sides, bensì governa gli scambi stabilendo regole e influenzando direttamente le attività e, quindi, i risultati dei partecipanti.

Infine, con l’avvento delle piattaforme digitali il comportamento dei consumatori è radicalmente cambiato: la nascita di nuovi modelli di business legati alle piattaforme digitali consente ai consumatori di accedere a nuovi servizi e prodotti in maniera precedentemente impensabile (Choudary, Van Alstyne, Parker 2017). Si pensi alle piattaforme di food delivery e alla possibilità di ordinare cibo online da qualsiasi ristorante in qualsiasi momento.

A partire da queste considerazioni, è chiaro che non è più possibile guardare a queste organizzazioni in un’ottica tradizionale né, tantomeno, considerare le piattaforme come normali prodotti o servizi. Non si parla più della classica concorrenza, ma

“Competition is migrating to rival platform ecosystems competing against one another, replacing competition among rival products and services” (Tiwana 2013). Inoltre, “lo svolgimento di un’attività economica richiede sempre più l’utilizzo di varie forme di piattaforme digitali” (Marè & Pilati 2020), le quali sicuramente apportano numerosi benefici dal lato dei consumatori, ma generano anche altrettante sfide all’interno delle

22

industrie e delle imprese tradizionali. Aziende come Kodak, Blackberry, Blockbuster e altre, sono state schiacciate dalla digitalizzazione in quanto non sono riuscite a rispondere in maniera rapida, in termini di ridisegnamento dei propri business model e operating model, al contesto mutevole.

Nel documento Dipartimento di Impresa e Management (pagine 19-22)