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Dioniso è il dio della follia per eccellenza. Egli sperimentò la follia su stesso e perciò il delirio non è estraneo alla sua natura. Era lo rese folle e lo fece errare per il mondo, finché non giunse in Frigia dove la Grande Madre Rea lo purificò e gli donò gli strumenti rituali del suo culto, per mezzo dei quali Dioniso porta al delirio le sue seguaci (

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Apollodoro, Bibl. III 5, 1 ).

Già in Omero infatti Dioniso è il dio folle. Nel sesto libro dell’Iliade ai vv. 130-140 si narra dell’aggressione subita dal dio e dalle sue seguaci ad opera del re tracio Licurgo. Dioniso e il suo corteo furono costretti a rifugiarsi in mare gettando via i

paramenti dei loro riti ( /

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/ ï /

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/ / vv.

130-137 ). Al termine del racconto si dice che poco dopo gli dei adirati punirono Licurgo con la morte, ma non viene specificato in che modo. Di certo questo mito doveva essere familiare al pubblico dell’Iliade, se il suo autore scelse di non trattarlo nel dettaglio. Dalla testimonianza offertaci da Apollodoro sappiamo invece che in seguito Licurgo fu punito con un accesso di pazzia furiosa, durante la quale uccise il figlio (

Apollodoro, Bibl. III 5, 1 ). Dioniso dunque non è soltanto il dio folle, ma è anche il dio che causa la follia. E Licurgo, come il Penteo delle Baccanti, appartiene a quella schiera di persecutori del suo culto costretti a pagare duramente la loro ostinazione a non riconoscerne la natura divina. In entrambi i casi la follia si configura come punizione di una colpa.89

89 Poiché una parte consistente delle creazioni del teatro attico antico è andata perduta, risulta

difficile esprimersi con certezza su quale atteggiamento Eschilo avesse assunto trattando della follia dionisiaca. Sappiamo che portò sulla scena alcuni episodi della leggenda di Dioniso. Scrisse infatti due trilogie dionisiache. La prima narrava proprio il mito di Licurgo, re degli Edoni e primo oppositore di

Dioniso al suo arrivo in Grecia ed era composta da: gli dove probabilmente, dopo aver

narrato la follia inviata a Licurgo dal dio Dioniso a causa della quale uccise il figlio Driante, veniva rappresentata l’uccisione, per ordine di Dioniso, del re ad opera degli Edoni stessi, l’unico modo per porre fine alla carestia che devastava il paese. Non è chiaro però che rapporto avesse questa tragedia

con il mito di Orfeo trattato nelle , eccetto la presenza di Dioniso. L’argomento di questa

seconda tragedia doveva essere infatti quello della morte di Orfeo ad opera delle Bassaridi appunto, sacerdotesse che il dio adirato, poiché egli aveva osato sdegnare il suo culto, gli scatenò contro. Ed

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Esistono anche alcune leggende parallele a quella narrata da Euripide nelle Baccanti, miti sulla fondazione del culto dionisiaco nei quali il dio punisce, con strani smarrimenti e con i terribili effetti da questi causati, coloro che avevano schernito o messo in dubbio la sua divinità. E’ quanto pare sia accaduto nella città beotica di Orcomeno. Le protagoniste di questa vicenda sono le figlie di Minia. Della loro storia parlano Eliano nelle Storie varie ( III 42 ) ed Antonino Liberale nelle sue Metamorfosi ( X ). Secondo Eliano le Miniadi si erano rifiutate di partecipare insieme alle altre donne greche alle danze di Dioniso. La ragione del rifiuto era che esse intendevano sposarsi e perciò non desideravano fare le menadi del dio (

). Allora questi, adirato, produce una serie di prodigi per strapparle ai loro telai: edera e serpenti si avvolgono intorno agli stipiti, gocce di latte e vino cadono dal tetto (

). Alla fine, benché questi artifizi non servirono a renderle seguaci di Dioniso, le giovani commisero un terribile atto, identico a quello che compiono le donne tebane sul Citerone nelle Baccanti euripidee. Sotto il dominio della follia dionisiaca lacerano il giovane figlio di una di loro come un cerbiatto e poi fuggono via raggiungendo le altre menadi (

). Ma queste, indignate per il misfatto, danno loro la caccia, finché le Miniadi non vengono trasformate in uccelli notturni.

In Antonino Liberale, invece, le figlie di Minia erano assurdamente lavoratrici e si burlavano delle altre donne che abbandonavano la città per fare le baccanti sulla

era invece il dramma satiresco, come testimonia uno scolio ad Ar. Thesm. 134. La saga tebana, il cui oggetto doveva essere lo stesso delle Baccanti euripidee, era argomento dell’altra trilogia di Eschilo e

comprendeva probabilmente , , le donne tebane che formano il Coro e che

sbranano Penteo, ed infine ( anche se l’ordine di rappresentazione è incerto ). Ma per la

mancanza di validi elementi di confronto non siamo in grado di stabilire cosa effettivamente Euripide abbia ripreso dalle trattazioni del suo predecessore e in cosa risieda l’originalità drammatica delle

119 montagna (

). Allora Dioniso, assunte le sembianze di una fanciulla, le avverte di non trascurare riti. E ripete le sue apparizioni assumendo ora la forma di un toro, ora di un leone, ora di un leopardo ( la capacità di Dioniso di assumere l’aspetto di diversi animali risulta essere una sua caratteristica anche nelle Baccanti di Euripide ). Nettare e miele fa stillare dagli stipiti del loro telaio. Prese dalla paura le giovani estraggono a sorte i propri nomi e dilacerano il figlio di colei che la sorte a scelto (

). Poi, abbandonata la casa del padre, fanno le baccanti sui monti (

) finché Ermete le trasforma in uccelli notturni.

Questa narrazione beotica sulla follia legata all’introduzione del culto di Dioniso e dei sacrifici celebrati dalle donne, ha molto in comune con quella peloponnesiaca dell’Argolide avente come protagoniste le figlie del re Preto. Gli aneddoti nei quali esse appaiono testimoniano come la pazzia che coglieva le donne si manifestasse, alla maniera di quella delle Baccanti euripidee, in una specie di delirio ambulatorio e in una frenesia di danze. Apollodoro ( II 2, 2 ) conosceva almeno due versioni del mito: l’una risalente a scritti attribuiti ad Esiodo, l’altra al cronista Acusilao. La versione esiodea attribuisce la causa della follia delle Pretidi al disprezzo dei riti dionisiaci che esse non avevano voluto praticare, proprio come nel caso delle figlie di Minia o di Cadmo (

). Secondo la cronica di Acusilao invece furono punite con la follia perché avevano dimostrato disprezzo per il vecchio idolo di legno di Hera. In ogni caso, in preda alla pazzia esse errano per tutto il territorio di

Argo e giungono sino in Arcadia, dove si abbandonano al disordine più totale (

). Il delirio delle Pretidi cresce e si estende a tutta la popolazione femminile. Le donne abbandonano le case, massacrano i figli e fuggono in luoghi deserti (

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). Infine l’indovino Melampo, inventore di cure a base di farmaci e purificazioni, associando a sé i giovani più vigorosi, organizza un inseguimento di queste ragazze con grida rituali e certe danze di possessione, e le ricondusse dalle montagne fino a Sicione (

). Durante questo inseguimento la maggiore delle Pretidi subisce una trasformazione, mentre le altre ritrovano la ragione.90

Data l’esistenza di miti come quello di Licurgo, delle Miniadi di Orcomeno e delle Pretidi di Argo, la vicenda di Penteo ad Agave così come viene rappresentata nelle Baccanti euripidee non doveva risultare assolutamente nuova agli spettatori ateniesi, poiché appare in sostanza modellata e composta sulla base di elementi storici e rituali propri del mito di Dioniso. Tuttavia Euripide saprà donare originalità al suo personaggio attribuendogli caratteristiche proprie ed inedite.

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