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Stando all’etimologia di ‘Erinni’ proposta da Pausania, queste traggono il loro nome dalla forma aggettivale , un epiteto di Demetra divinità della terra che produce le messi, derivante a sua volta dal verbo di origine arcadica che significa proprio ‘essere in furia‘ ( VIII, 25, 6 :

). E’ una testimonianza che si trova in sintonia con l’origine ctonia delle Erinni e con la loro natura irosa, caratteristica che, si è detto, è loro peculiare. Tuttavia questa connessione etimologica da sola non basta a spiegare in maniera determinante ed esaustiva l’origine delle loro molteplici prerogative. Nel corso dei secoli infatti l’attività delle Erinni ha assunto di volta in volta caratteristiche differenti.

Nei poemi omerici le Erinni sono spiriti della vendetta collegati, talvolta mediante lo strumento della maledizione, alla punizione di colpe di vario genere. Nel nono libro dell’Iliade le Erinni vengono invocate, insieme alle altre divinità del mondo sotterraneo Ade e Persefone ( e questo accostamento non fa che evidenziare l’origine ctonia delle Erinni ), prima dal padre di Fenice, il quale maledice il figlio traditore

( Il. IX 454 ), poi da Altea per

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Il. IX 571-572 ). Nel quindicesimo libro dell’Iliade invece Iride ricorda a Poseidone il ruolo delle Erinni nella difesa dei diritti

dei più anziani ( Il. XV 204 ).

Nel secondo libro dell’Odissea Telemaco nega di poter allontanare Penelope dalla sua casa, perché altrimenti la madre invocherebbe le Erinni odiose (

/ Od. II 135-136 ). Addirittura nel

diciassettesimo libro dell’Odissea Odisseo parla delle Erinni come divinità tutelari dei

diritti dei mendicanti ( Od. XVII 475 ). L’insieme di

questi passi mostra chiaramente come in Omero le Erinni sostenessero chi rivendicava la propria posizione nella società e nella famiglia. Il genitore, il fratello maggiore, il mendicante e chiunque fosse soggetto di un diritto, poteva invocare le proprie Erinni in sua difesa.

Questa concezione delle Erinni come ministre di Giustizia deriva probabilmente anche dalla loro identificazione con le Moire, le divinità del fato. Nel diciannovesimo libro dell’Iliade le Erinni fermano la voce del cavallo Xanto dopo che questi ha

predetto ad Achille la morte ( Il.

XIX 418 ). Il cavallo si rende in questo modo portavoce della Moira, che qui si identifica con le stesse Erinni, le quali negano al cavallo la capacità di parlare soltanto dopo che la sorte di Achille è stata predetta.25 Sempre nell’Iliade Agamennone, riferendosi all’offesa recata ad Achille, rintraccia in Zeus, nella Moira e nelle Erinni

la causa del suo errore ( /

Il. XIX 86-87 ). Esiodo invece ci mostra come l’origine ctonia accomuni le Erinni e le Moire, figlie di Gea le prime (

25

L’intervento delle Erinni che ferma la voce di Xanto è di solito spiegato con un frammento di Eraclito in cui si dice che le Erinni punirebbero anche il Sole se trasgredisse la sua misura andando oltre il compito assegnatogli:

( fr. 94 Diels-Kranz ). Stando a questa proposta di lettura le Erinni intendono impedire al cavallo di parlare e andare oltre l’ordine naturale delle cose, poiché non è secondo la Moira che gli animali parlino. In realtà Xanto ha ormai detto quanto doveva dire e di conseguenza il divieto delle Erinni si spiegherebbe all’inizio e non al termine della predizione. Tuttavia la testimonianza di Eraclito, pur non essendo la corretta chiave di lettura per il passo del diciannovesimo dell’Iliade, dimostra come alla fine del VI secolo a.C. le Erinni fossero rappresentanti della legge e ministre di giustizia.

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/ Theog. 184-185 ), figlie della Notte le

seconde ( Theog. 217 ), benché in Eschilo siano dette

anch’esse figlie della Notte ( Eum. 416 ).

Anche gli Inni Orfici testimoniano l’origine ctonia delle Erinni ed il loro ruolo di divinità della Giustizia nel punire gli empi (

/ Orph. Hymn. LXIX, 3; 8; 14-15 ). Allo stesso modo confermano la connessione omerica tra Moira ed Erinni. Quest’ultime vengono invocate come dee Moire dai riccioli di serpente (

Orph. Hymn. LXIX, 16 ). Altrove, invece, si accenna alla Moira come divinità dispensatrice del Fato di morte (

Orph. Hymn. LVII, 7 ) che consegna a tempo debito l’anima di chi muore ad Ermes, guida dei mortali nell’Ade. E’ possibile supporre che col tempo il concetto di Fato in generale si sia ridotto a quello specifico di Fato di morte, del quale le Moire, e con esse le Erinni, abbiano continuato ad essere le divinità dispensatrici.

Il nesso omerico che vede nelle Erinni insieme alle Moire divinità del Fato ritorna nel

Prometeo Incatenato di Eschilo ( /

vv. 515-516 ). Nei Persiani e nelle Supplici le Erinni non vengono menzionate, mentre nei Sette contro Tebe sono legate alla maledizione paterna ( vv. 988-990 ).

Nell’Orestea invece le Erinni non sono più le omeriche divinità del Fato e tutelari di un qualsiasi tipo di diritto violato, ma intervengono soltanto nei casi di delitti di sangue. Rappresentano i diritti violati di chi muore in maniera cruenta. Incarnano il desiderio di giustizia dell’anima che furiosa richiede vendetta e ne perseguitano il colpevole.

In tutta la trilogia le Erinni appaiono indissolubilmente legate alla implacabile catena di lutti che investe la famiglia degli Atridi. Significativo in tal senso è quanto dice Cassandra nell’Agamennone a proposito della permanenza presso la casa degli Atridi del delle Erinni, una brigata che a differenza delle altre beve sangue, non vino,

e non intende andar via ( /

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/ /

vv. 1186-1190 ). Sugli eventi messi in scena nell’Agamennone gravano infatti due angosciosi precedenti che fanno di Agamennone un predestinato ed un colpevole. Suo padre Atreo per vendicarsi del fratello Tieste che gli aveva sedotto la moglie, uccide i suoi figli. Aveva poi fatto banchetto delle loro carni offrendole al padre: soltanto Egisto si era salvato. Lo stesso Agamennone aveva invece sacrificato in Aulide la figlia Ifigenia alla dea Artemide, perché consentisse alla flotta greca di salpare verso Troia. Così Clitemestra, uccidendo lo sposo e sacrificandolo a Dike, ad Ate e alle Erinni, vendica il sacrificio

di Ifigenia ( /

vv. 1432-1433 ).26 La fine di Agamennone concede che anche la vendetta di Egisto possa compiersi in quel giorno gioioso. Non a caso i drappi che avvolgono il corpo di Agamennone vengono detti intessuti dalle Erinni (

v. 1580 ). Ma se è vero che il sangue versato deve essere vendicato con altro sangue, come la storia di questa famiglia ci insegna e come canta

il Coro nelle Coefore ( /

/ vv. 400-402 ), verrà allora il tempo in cui le Erinni vorranno che chi si è reso colpevole dell’uccisione del re paghi con la vita (

/ /

26 Il concetto di occupa un posto rilevante all’interno del quadro religioso, psicologico ed etico

della civiltà greca dell’epica e della tragedia. Il verbo da cui deriva significa «privare di

giudizio», «traviare» e con la personificazione di Ate, che è detta «figlia maggiore di Zeus» ( Il. XIX 91 ), si attua il problematico rapporto tra responsabilità umana e intervento divino. Nel passo iliadico appena citato Agamennone riconosce come propria colpa l’aver sottratto Briseide ad Achille e aver causato così la rovina sua e dell’esercito. Allo stesso tempo però la giustifica in quanto gli fu imposta

dalla divinità. in questo caso si configura come un errore della mente dovuto da un accecante

impulso esterno. In Iliade VI 356 Elena dichiara che l’assedio di Troia avvenne per causa sua e dell’ di Paride, ovvero della sua frenesia amorosa e della violazione dell’ospitalità di Menelao. Si

annuncia qui un’evoluzione del termine, che si afferma in tragedia dove non è più lo sviamento

prodotto da cause altre, ma è la conseguenza di una scelta. Ed è proprio la cattiva azione frutto di questa scelta che scatena sul colpevole il castigo divino: colpa e punizione si collegano

indissolubilmente a determinare il destino dell’individuo. rappresenta dunque la rovina che

inevitabilmente chiama a sé un’altra rovina. Proprio come la catena di lutti che scaturisce dall’intervento delle Erinni, in cui il sangue versato desidera altro sangue. Ecco allora perché nel passo

dell’Agamennone compare accanto alle Erinni: entrambe desiderano impartire al re una

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vv. 402-404 ). Per questo motivo più avanti il Coro stesso individua nelle dee della vendetta le responsabili del ritorno a casa di Oreste perché, in quanto figlio degli antichi delitti, compiendo il matricidio vendichi l’uccisione paterna (

/ / /

vv. 648-651 ). Oreste rappresenta dunque uno strumento nelle mani delle Erinni atto alla prosecuzione di questa serie di omicidi. Ma, uccisa Clitemestra, per questa giustizia ingiusta Oreste diviene a sua volta vittima della persecuzione delle Erinni, nell’esodo delle Coefore ( vv. 1048-1062 ). Questa sezione vede realizzarsi in scena l’effettivo arrivo delle Erinni, ma la loro presenza è percepita soltanto da Oreste.

Se in Omero le Erinni rappresentavano paure invisibili e mai il loro aspetto era stato svelato, Eschilo portandole per primo sulla scena delle Eumenidi offre anche una descrizione delle loro fattezze. Le immagina tanto terrificanti da rendere quasi impossibile alla Pizia descriverle nel momento in cui le scorge per la prima volta, dormienti presso il tempio di Apollo, nel prologo delle Eumenidi. Troppo ripugnanti per essere delle donne, la Pizia immagina si tratti di Gorgoni. Già Oreste nell’esodo delle Coefore aveva paragonato le Erinni alle Gorgoni (

v. 1048 ), probabilmente a causa della presenza di serpenti aggrovigliati attorno alle braccia o alla testa. Ma osservate attentamente la sacerdotessa di Apollo deve ricredersi: non può trattarsi di Gorgoni. Sono forse Arpie? No, non hanno le ali e sono nere. E poi russano, esalano fiati repellenti ed hanno un vestiario che non è adatto indossare né davanti ai templi né nelle case degli uomini. La mostruosità delle Erinni, così come Eschilo le presenta nelle Eumenidi, si pone dunque al di là di qualsiasi modello umano o mitico e ciò porta la Pizia a

concludere: ( v. 57 ). Più avanti mentre

Clitemestra tenta di svegliare le Erinni dal sonno esclama:

/ ( vv. 127-128 ). Qui si

presuppone dunque la raffigurazione della Erinni come serpente. Il serpente era spesso raffigurato sulle tombe per indicare l’anima del morto. In particolare, nei Sette

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vv. 988-989 ). Ciò ha portato la Harrison27 a sostenere che nel passo delle Eumenidi la Erinni-fantasma, assunto l’aspetto di serpente, altri non fosse che Clitemestra stessa, come dimostrerebbe anche l’uso singolare del termine Tuttavia mi pare un’interpretazione poco corretta. La Erinni e Clitemestra appaiono in questo caso come due figure nettamente distinte: le prime vinte da un sonno profondo, l’altra che a forza di rimproveri tenta di svegliarle. Nel definire le Erinni credo si faccia più che altro riferimento alla loro chioma, costituita tradizionalmente da serpenti, oppure alla presenza di questi attorno alle loro braccia. Quel che porta la Harrison ad optare per questa interpretazione del passo è l’esistenza un’antica credenza, che nei Sette contro Tebe appare ancora viva mentre nelle Eumenidi sembra superata a favore di una oggettivazione della divinità, secondo la quale l’Erinni originariamente incarnasse il fantasma di chi veniva ucciso e che, in collera per la sorte toccatagli, esigeva vendetta.29 Questa primitiva concezione,

27 Harrison 1908, 232 ss.

28 Il serpente, immagine del defunto nelle rappresentazioni sepolcrali, era anche il simbolo specifico

dell’Eroe presso la tomba, sede del suo stesso culto. In Omero il termine ricorre come aggettivo a descrivere un guerriero valente, nobile ancora in vita. L’eroe era dunque distinto dalle divinità. Ma nella letteratura successiva gli Eroi rappresentano esseri umani divinizzati, dotati di una forza fuori dal comune. Divinità ctonie insomma che incarnavano, come si credeva in origine anche le Erinni, lo spirito di un defunto. E, come le Erinni, erano anche capaci di punire con la follia, con tormenti o

addirittura con la morte. E’ quanto emerge da un frammento degli di Aristofane, nel quale gli

stessi Eroi affermano di essere in grado di infliggere diverse malattie, tra cui anche la follia:

/ / /

/ / /

/ / ( fr. 322 Kassel-Austin, vv. 3-10 ).

E’ possibile allora immaginare che originariamente l’Erinni non fosse altro che lo spirito di una persona uccisa, spirito proprio come gli Eroi con i quali hanno in comune l’origine ctonia e la capacità di infliggere tormenti. Ma a differenza degli Eroi, le Erinni divengono divinità personificate e dunque non più legate al morto da un particolare rapporto di identificazione.

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Anche nell’arte vascolare l’Erinni intesa come spirito del morto viene spesso raffigurata come un serpente. Su un’anfora tirrenica a figure nere ( VI sec. a.C. ) viene ritratta una donna appena uccisa e distesa su un masso. L’assassino in fuga viene invece assalito da un grosso serpente che sorge dal cadavere della donna. E’ molto probabile che si tratti di una Erinni della vendetta e che la scena raffiguri l’uccisione di Erifile da parte di Alcmeone. Tuttavia, sebbene Eschilo non sia stato il solo a descrivere l’Erinni come un serpente, è difficile in tragedia trovare che un’Erinni sia definita ‘serpente’ poiché incarnazione dello spirito di chi è stato ucciso. Anche Oreste nella Ifigenia Taurica di Euripide

definisce l’Erinni ( v. 286 ), ma di certo non possiamo affermare si tratti del

fantasma di Clitemestra. Oreste infatti dice di vedere almeno tre Erinni, una delle quali regge tra le braccia la madre stessa ed è in procinto di scagliagliela addosso. Quindi anche qui spirito del morto ed

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probante l’esistenza di una relazione tra le Erinni e il rettile, credo possa validamente spiegare il perché della presenza di accessori serpentini che, nell’immaginario comune, ricorrevano ad adornare la chioma o le braccia di queste divinità. Viene in questo modo anche chiarita la natura irosa, ancor più la loro origine ctonia e il loro particolare legame con il regno della morte.

La descrizione che Eschilo ci offre delle Erinni tende ripetutamente al mostruoso e all’orrido. E il , il timore che scaturisce anche dalla ripugnanza del loro aspetto, partecipa all’assolvimento del compito delle Erinni quali regolatrici di giustizia. Zeus in persona le ha infatti investite di questo compito perché guidino a saggezza e misura. Nel primo stasimo delle Eumenidi esse si proclamano rettamente giuste

( v. 312 ), in quanto la loro ira assale soltanto chi, alla

maniera di Oreste, cerca di nascondere le mani insanguinate. Ma perseguitando Oreste le Erinni si oppongono indirettamente all’ordine di Apollo, il quale aveva vaticinato la necessità del matricidio. Apollo di contro, in qualità anche lui di garante della giustizia divina, confuta il diritto alla persecuzione del matricida, che le Erinni rivendicano come propria prerogativa, ed offre la sua protezione ad Oreste, grazie alla quale questi riesce a sfuggire alla morsa delle dee. Stando così le cose bisogna capire se sia stato giusto che Oreste abbia ucciso la madre per vendicare il padre, come gli ha richiesto Apollo, o se sia piuttosto giusto che le Erinni lo perseguitino. Bachofen30 ha interpretato questa opposizione tra divinità come uno scontro tra le rappresentanti del diritto matriarcale ormai al termine del loro tempo, le Erinni, e quello del diritto patriarcale emergente e vittorioso ( poiché si giunge all’assoluzione di Oreste ), Apollo. In verità le Erinni non rappresentano, come sosteneva Bachofen, soltanto i diritti della madre. Nella Teogonia di Esiodo infatti le Erinni sono esclusivamente quelle del padre ( v. 472 ). Nei Sette a Tebe di Eschilo sono legate

alla maledizione paterna ( /

/ vv. 988-990 ). Nelle Coefore

Erinni sono due cose distinte. Così pure nell’Oreste euripideo le Erinni sono dette

( Or. 256 ), vergini dall’aspetto di serpi, ed ancora una volta indicano una realtà al plurale. In questi passi credo sia palese che l’identificazione delle Erinni con il serpente sia dovuta alla presenza di questo animale intorno alle braccia o alla testa.

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Oreste cita gli assalti delle Erinni del sangue paterno, che lo avrebbero tormentato qualora non avesse vendicato la sua morte (

/ vv. 283-284 ). Ed anche nel

secondo stasimo delle Eumenidi le Erinni parlano indistintamente del padre e della

madre ( / /

/ vv. 513-516 ). Inoltre più volte le Erinni stesse

affermano di perseguitare Oreste e non Clitemestra, poiché soltanto il primo ha

versato sangue della stirpe ( v. 212;

v. 605 ). Dunque nelle Eumenidi di Eschilo le Erinni sono essenzialmente connesse ai delitti tra consanguinei in generale e non preposte alla difesa dei diritti del padre piuttosto che della madre.

Dal testo emerge inoltre come lo scontro riguardi piuttosto la contrapposizione tra due tipi differenti di giustizia: quella delle Erinni, che trova fondamento nella reciprocità e nel contraccambio, e la nuova giustizia che rinuncia a ricorrere alle terribili punizioni, caratterizzanti l’elemento primitivo e selvaggio delle Erinni, a favore di una soluzione giudiziaria che trova la sua realizzazione fattuale nell’istituzione del tribunale dell’Areopago.

Il carattere primitivo delle Erinni, che deriva dalla loro condizione di divinità ctonie, ha più volte modo di rivelarsi e di essere sottolineato nel corso della tragedia delle

Eumenidi.31 Di Benedetto ha giustamente sottolineato come già la loro capacità

comunicativa si ponga ad uno stadio inferiore rispetto a quello correttamente formato del linguaggio umano, che mira a comprensione e coerenza.32 Nella prima parte del dramma queste non parlano, ma si esprimono soltanto attraverso mormorii e suoni indistinti. Termini come ( vv. 117; 120; 129 ) e ( vv. 123; 126 ), probabilmente didascalie sceniche ( ) contenenti indicazioni per la

31 I tempi e i rituali di culto partecipano all’identificazione della natura ctonia di queste dee.

Contrariamente a quanto accadeva per gli altri dei infatti i sacrifici in loro onore venivano offerti di

notte: / ( Aesch.

Eum. 108-109 ). Allo stesso modo gli oggetti e le vittime sacrificali corrispondono a quelle offerte agli

dei ctoni. Queste libagioni di solito non contenevano vino ( Aesch. Eum. 107 ), ma

erano composte da acqua o latte, come si legge anche in un passo dell’Edipo a Colono di Sofocle

( Soph. O.C. 481 ).

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rappresentazione e volute dallo stesso tragediografo, indicano infatti i suoni inarticolati che il Coro doveva emettere. Questa loro difficoltà di articolazione linguistica è di certo dovuto al fatto che le Erinni stessero in quel momento dormendo. Ma anche quando iniziano a parlare, il loro modo di esprimersi presenta una patina arcaica e primitiva. Ad esempio nell’intonare il loro ( vv. 306 ss. ) ricorrono più volte allo stesso efimnio, quindi alla ripetizione di una sequenza identica nel contenuto e nella metrica. Questa sorta di ritornello, che ricorda una formula magica, colloca il canto all’interno di una dimensione espressiva di certo tipica di una cultura letteraria primitiva rispetto all’epoca di Eschilo e caratterizzata da un uso ricorrente della paratassi. E questa loro espressività arcaica trova piena corrispondenza anche nel loro modo di agire e praticare la giustizia fuori dal comune. Apollo stigmatizza i metodi punitivi cui sono solite ricorrere per punire le loro vittime e condanna la loro giustizia che mozza le teste, cava gli occhi, scanna le gole, evira,

amputa gli arti, lapida e impala ( /

/ /

/ vv. 186-190 ). Queste

pratiche erano infatti caratteristiche dei popoli barbari, come si evince da vari testi della letteratura greca.33 Tuttavia la volontà di Eschilo sembra essere quella di riconciliare, o meglio di far coesistere, pur nella loro diversità, queste divinità e le loro antitetiche pratiche di giustizia. Al momento dell’istituzione dell’Areopago la stessa Atena afferma che ciò che è pauroso non deve essere espulso dalla città, altrimenti nessuno rispetterà la giustizia (

v. 698 ). Riecheggia qui il invocato dalle Erinni nello stasimo

precedente ( / /

33Erodoto racconta che Dario, dopo aver conquistato Babilonia, fece impalare parte dei suoi abitanti

( Herod. III 159,

1 ). Artaucte invece fatto prigioniero fu in seguito condannato a morte: fu inchiodato e appeso ad una tavola, mentre suo figlio venne lapidato davanti ai suoi occhi (

Herod. IX 120, 4 ). Senofonte accennando alle punizioni decise da Ciro parla di frequenti amputazioni di piedi, occhi o mani (

40

/ / vv. 517-521 ). Il è dunque

il comune denominatore che unisce due differenti modi di concepire la giustizia. E ormai quasi al termine della tragedia Atena può espressamente affermare di intravedere dai volti spaventosi delle Erinni un grande guadagno per la città (

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