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Euripide Ippolito: il dramma di Fedra ( vv 176 ss )

Terminato il canto del Coro Fedra viene condotta in scena su di una lettiga, accompagnata dalla Nutrice. In pieno stile euripideo questa sezione serve a descrivere con un’accuratezza quasi clinica la condizione di Fedra. La Nutrice motiva la loro entrata con il desiderio di luce e di aria espresso dalla regina (

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/ vv. 177-180 ). Alla maniera dell’Oreste euripideo, Fedra presenta l’incontentabilità tipica dei malati e nessun luogo pare renderla tranquilla

( /

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/ vv. 181-185 ). Fedra avverte inoltre un senso di spossatezza e per qualsiasi movimento necessita dell’aiuto delle sue ancelle (

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vv. 198-203 ), proprio come il folle protagonista dell’Oreste sarà

debole ( /

vv. 227-228 ) e non autosufficiente (

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Un’esclamazione fuori metro ( ) segna improvvisamente l’avvio di un attacco di follia. Fedra vaneggia. Desidera bere l’acqua pura alla fonte e sostare presso un

campo ombreggiato dai pioppi ( /

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vv. 208-211 ). Chiede di essere portata alla montagna

per una battuta di caccia nella foresta ( /

/ /

vv. 215-218 ). Infine invoca Artemide bramando le corse di cavalli

( / /

/ vv. 228-231 ). I

momenti di follia concedono a Fedra di dar libero sfogo alla sua passione segreta. Nei luoghi in cui immagina e desidera fuggire lei cerca Ippolito e lo cerca nelle attività da lui amate. Il prato e l’acqua pura della sorgente caratterizzano infatti il luogo in cui Ippolito aveva collocato il culto di Artemide (

/ vv. 73-74 ;

v. 78 ). Le parole di Fedra contengono dunque un allusivo richiamo alla vita agreste del giovane Ippolito. I monti, le selve, le sorgenti incontaminate verso cui è rivolto il suo anelito rappresentano infatti lo spazio selvaggio e naturale caro all’amato, in cui egli vive tranquillo in compagnia dei suoi cani, dei suoi cavalli, dei cacciatori e di Artemide. Durante il delirio la passione che Fedra consciamente aveva cercato di soffocare e celare viene parzialmente svelata, palesandosi in una serie di ‘selvaggi’ desideri che mirano alla partecipazione al mondo di Ippolito. Ma a chi non coglie questo nesso essenziale, i desideri della donna appaiono incoerenti ed insensati. Così la Nutrice mostra di non comprende i discorsi della regina: di certo un dio le sconvolge la mente e le fa proferire simili assurdità (

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Quando bruscamente Fedra torna alla realtà si dispera. Teme di aver parlato troppo, teme di aver confessato il suo segreto. Ma non ricorda, o forse non ha udito, le interrogative parole della Nutrice che ha appena affermato di non essere in grado di comprendere i desideri della regina. Fedra lamenta perciò il suo delirio e la frenesia dell’eros che la atterrisce, spingendola lontano dal retto giudizio (

/ vv. 239-240 ). Allora

una sensazione di profonda vergogna subito l’assale. E’ la vergogna che nasce dal timore di essere stata scoperta, perché quel che agli altri è parso folle vaneggiare, per lei era esternazione di un chiaro desiderio. E, proprio come gli altri folli euripidei, tenta di nascondere il suo imbarazzo coprendosi la testa (

/ vv. 243-244 ). Analogamente

Oreste nell’omonimo dramma euripideo dirà di provar vergogna perché a causa della sua follia si trova, nolente, ad infliggere inutili pene ad Elettra (

/ vv. 281-

282 ).

Fedra sembra anche consapevole di essere vittima dell’intervento ostile della divinità, proprio come dimostra il dubbio sollevato dal Coro nella parodo e come ha affermato esplicitamente la Nutrice poco sopra. Reputa infatti la sua follia un’ mandata dal

dio ( v. 241 ). Tuttavia questa consapevolezza non

attenua il senso di vergogna, tanto forte da indurre Fedra a desiderare la più drastica delle soluzioni: la morte. Infatti come per l’Aiace sofocleo e per gli altri folli euripidei, Oreste ed Eracle, anche per Fedra il recupero della coscienza a seguito dell’attacco di follia è fonte di dolore. Per questo motivo la morte è di gran lunga

preferibile ( /

/ vv. 247-249 ). Il desiderio di morire viene

espresso nel momento in cui Fedra comprende di non avere più alcuna via d’uscita, assediata dall’invincibile potenza divina da una parte, e dall’impossibilità di cedere all’amore dall’altra.

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Come nota giustamente la Ciani,81 l’amore di Fedra è inteso come ‘follia’ in reazione alla , convenzione dettata da una mentalità prettamente borghese. Travolta da questo amore impossibile, Fedra esce fuori dagli schemi tradizionali delle convenienze della sua società e si rifugia nel suo folle mondo. E nel provare a descriverlo e raccontarlo si serve di un linguaggio e di immagini incomprensibili per chi le sta intorno. Non a caso per la Nutrice Fedra è folle perché parla in maniera

insolita e a sproposito: / /

( vv. 212-214 ). Fedra è, proprio come Aiace, vittima della società e soprattutto delle convenzioni e dei principi che essa impone, atti a regolare la vita pubblica ed anche quella privata dei suoi componenti. Sentimenti troppo profondi, spiega la Nutrice, non possono che causare dolore e perciò è preferibile accostarsi ad essi con moderazione (

/ /

vv. 253- 255 ). Essi minano la salvaguardia della vita di una persona e la sua felicità,

causando rovina e null’altro ( /

/ vv. 261-263 ). Fedra dunque

oltre ad essere considerata folle in relazione alla come si è detto, lo è anche in relazione al : è cosa saggia infatti non eccedere (

/ / vv. 264-266 ).

Le donne del Coro e la Nutrice percepiscono sì la sofferenza di Fedra, ma l’origine del male resta a loro ancora oscura. Fedra ha scelto di seppellire nel silenzio la sua passione per il figliastro. Tacere e morire: questo sembra essere il suo intento. Ed avrebbe portato per sempre con sé il suo segreto se la Nutrice non fosse intervenuta. Riferendosi alla folle passione che l’ha travolta, Fedra dice:

v. 315 ). Il verbo richiama metaforicamente il tema della follia, la quale viene qui ad identificarsi con , il turbine che sconvolge e devasta la mente del folle. Perciò nella battuta della Nutrice che segue questa affermazione viene espresso il dubbio che il disturbo di Fedra non sia in realtà dovuto alla contaminazione del sangue, ritenuta appunto una delle cause principali, come si è

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107 visto più volte, degli accessi di follia (

v. 316 ). Fedra rassicura la donna: le sue mani sono pure, è la sua mente ad essere contaminata, il suo spirito è impuro (

v. 317 ).82 Fedra dunque a differenza di folli come Oreste o Aiace è di fatto priva di colpe reali. Il suo senso di vergogna nasce infatti nei confronti di semplici pensieri e intenzioni che sino ad ora non si sono mai trasformati in atti concreti, piuttosto che nei riguardi di un’azione realmente compiuta. Ciò la porta, pur nella sua effettiva innocenza, a sentirsi colpevole di qualcosa, che non sta nell’aver agito ma nel mero pensare. Non a caso per descrivere i suoi sentimenti, percependoli come colpevoli, sceglie il verbo ( v. 323 ). Il profondo rispetto per la dignità della sua persona e del suo onore inducono Fedra a ritenersi colpevole, a considerare peccaminosa la sua passione e insopportabile una vita macchiata da un simile, folle sentimento. Poi, riferendosi ad Ippolito come colui che lei ama, aggiunge:

( v. 319 ). Ed ancora una volta la Nutrice erra nella sua cecità poiché dal suo punto di vista , il più caro tra tutti a Fedra, non può che essere Teseo. Torna così, in maniera sempre tragicamente ironica, il sospetto dell’eventuale infedeltà maschile già sollevato dal Coro.

A questo punto la Nutrice, disperata, determinata a far confessare a Fedra l’origine delle sue sofferenze tenta la via della supplica ( ). Per prima cosa afferra la mano della regina, con tanta veemenza da sembrare usarle violenza (

v. 325 ), poi si aggrappa alle sue ginocchia (

v. 326 ). E vani risulteranno i tentativi di Fedra volti ad allontanare da sé la supplice, poiché alla fine i gesti ritualizzati paiono sortire l’effetto sperato. Fedra intraprende allora un tortuoso percorso che la condurrà a rivelare la causa delle sue pene. In principio ricorda allusivamente gli amori illeciti della sua stirpe: l’amore della madre Pasifae per il toro (

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Ho già avuto modo nel primo capitolo di spiegare come la sola vicinanza, il solo contatto con spiriti rancorosi, perché vittime di morti violente, bastasse a rendere impuri gli uomini ( Antiph. Tetral. III 1,

4 ; Plat. Leggi IX 865 d-e ). è ad esempio la macchia che rende impuro un figlio che non ha

vendicato il padre e lo tiene lontano dagli altari: ( Aesch. Cho. 293 ). Ma

non è questo il caso di Fedra: la donna rassicura che non si spiega con un delitto di sangue il suo terribile turbamento.

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v. 337 ) e della sorella Arianna punita perché preferì all’amore del

dio Dioniso quello di Teseo ( v. 339

).83 Sul loro esempio si modella i destino dell’amore di Fedra: anche lei è destinata a morire infelice. Ma la Nutrice non comprende quale possa essere il fine di un discorso tanto sconclusionato e vago. Fedra è reticente sino alla fine. Mira a far dire ad altri quello che lei non vorrebbe mai essere costretta a confessare (

v. 345 ). Infine incalzata dalle insistenti domande della Nutrice, ricorrendo ad una perifrasi confessa il suo tormentato amore per il figlio

dell’Amazzone ( v. 351 ).

( v. 352 ) esclama invece la Nutrice e prosegue con parole cariche di disperazione e orrore.

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