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Diritti di tutti e per tutti

Nel documento Diritti Doveri Solidarietà (pagine 25-29)

Mercoledì 9 dicembre, seconda tappa. Ci ritroviamo nella sala di consultazione della biblioteca che ben conosciamo dallo scorso anno, dalla prima edizione di DDS. Nel registro dei partecipanti si accumulano diciotto nomi, tre dei quali non arabi. Al piccolo staff che guida le lezioni si aggrega in modo stabile Giorgia Sani, giovane studente universitaria, arabista, che ha scelto la Dozza per il suo tirocinio accademico e che annoterà con precisione quanto avviene durante i nostri incontri, lezione dopo lezione.

Sul tavolo ci sono copie della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Il testo è disponibile anche in lingua araba, utilizzata in modo stabile nel nostro corso come lingua di mediazione, per essere sicuri che tutti possano comprendere, che tutti abbiano libertà di accesso alle nozioni e alle discussioni. Non si può mai sottovalutare la barriera linguistica:

un corsista ti può dare l’impressione di padroneggiare perfettamente l’italiano, ma appena si esce dagli argomenti che gli sono familiari, o che rimandando a un’astrazione d’idee, mostra di comprendere poco, o in modo deformato, quel che si dice.

Approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre del 1948, la Carta dei Diritti Umani è il punto di partenza per un percorso sui diritti, i doveri e la solidarietà in alcuni nodi cruciali del vivere civile. È stato così anche con la prima edizione di DDS, ma questa volta si prova a rompere il ghiaccio con Minority Report, un film di “fanta-giudiziaria”, nel quale il delitto è punito prima ancora di essere commesso. L’eroe del film, un poliziotto, si arresterà però di fronte a chi crede essere l’assassino del figlio: nel momento in cui potrebbe facilmente farsi giustizia da sé abbassa la pistola ed elenca i diritti di cui il colpevole gode, come individuo e come cittadino. L’esempio serve a portare il discorso al “limite estremo”: una persona che ha commesso delle atrocità, anche le peggiori, ha ancora dei diritti? Tra le risposte dei corsisti merita di essere riportata quella che in qualche modo le condensa nel modo più chiaro: «Tratta il male con il bene. Qual è il bene? La legge».

La riflessione sul “limite estremo” dei diritti, quelli che sono riconosciuti e garantiti persino a chi ha infranto nel modo più completo e patente quelli degli altri, consente di accostare con più attenzione la Carta Universale dei Diritti dell’Uomo, dalla quale leggiamo alcuni articoli (1, 5, 7, 10) e ne mostriamo il radicamento storico: si tratta di grandi affermazioni di principio, fatte in un momento nel quale il mondo usciva da una guerra che aveva prodotto milioni di morti.

Una guerra scatenata da ideologie razziali. Il contatto con la storia che ha prodotto la Carta dei Diritti può incrociarsi con la storia personale di ciascuno dei corsisti, invitati individualmente a enunciare i tre diritti che essi ritengono necessari per fondare una “società giusta”. Il rapido giro di tavolo sortisce alcune parole-chiave, che in buona parte coincidono: uguaglianza; lavoro;

rispetto; poter vivere; essere trattati come esseri umani; istruzione; libertà; giustizia; diritto di vivere in ogni luogo senza essere oppressi; potere essere cittadini del mondo; diritto ad avere una famiglia; libertà di pensiero e di espressione; non essere discriminati.

«Ma coloro che tra noi sono seduti oggi intorno a questo tavolo possono immaginare un mondo in cui i fondamentali diritti e doveri siano davvero comuni?». La domanda è posta con un’intenzione precisa e avrebbe meritato di essere presentata e poi discussa con il tempo necessario, poiché parlando in particolare a persone di fede islamica non si possono ignorare le criticità specifiche che emergono dal confronto con il loro universo religioso, giuridico e culturale. I diritti possono essere davvero universali? Proiettiamo un video già impiegato lo scorso anno, che ci fa compiere in pochi minuti un viaggio dai tempi remoti della storia. Prodotto da un’organizzazione statunitense (United for Human Rights) propone un semplice ma efficace

di ari o di b or do

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excursus del concetto di diritto umano. Il messaggio che si vuole trasmettere: c’è nella vita dei popoli e dei singoli l’anelito a “qualcosa” che valga davvero per tutti, che metta le persone su un grado di parità.

La discussione che segue la domanda proposta a questo punto della lezione fa però perdere un poco di vista la “punta” del problema, anche se tutte le tematiche sollevate dai corsisti contengono elementi degni d’interesse: c’è chi sottolinea la responsabilità dei politici e la loro distanza dalla gente; chi solleva l’enigma della diversità delle cosiddette “rivelazioni” religiose, che spinge da una parte al fondamentalismo dall’altra a un rinuncia disperata alla possibilità di approdare a qualcosa di assolutamente vero e condiviso; c’è chi nota che malgrado la Carta dei Diritti dell’ONU, dal ’48 a oggi si sono moltiplicati i drammi che calpestano i diritti umani, e che riducono la Carta…a carta straccia.

La “punta” della domanda, come accennato, è rimasta fuori e si tratta quindi di riflettere se e come riproporla in future sperimentazioni didattiche. Non abbiamo voluto introdurre, nel corso dell’incontro, altri documenti oltre la Carta dell’ONU, ma è consigliabile che i docenti e gli educatori posseggano qualche nozione sul dibattito interno al mondo islamico sul tema dell’universalità dei diritti. Nel corso degli ultimi decenni sono state infatti prodotte alcune Carte, delle quali le più significative sono la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo nell’islam”

adottata nel 1990 dall’Organizzazione della Conferenza Islamica, e la “Carta araba dei diritti dell’uomo” adottata nel 1994 dalla Lega degli Stati arabi. L’impostazione islamica tradizionale che si riflette in questi documenti (soprattutto nel primo) non consente di parlare di diritti

“naturali” riconosciuti alla persona in quanto essere umano, poiché “diritto” è, propriamente, solo ciò che Dio attribuisce alla sua creatura per dargli la possibilità di eseguire ciò che Egli comanda. Non diritti individuali assoluti ma solo strumenti utili al funzionamento di una rete di ruoli religiosamente stabiliti, tanto a livello verticale (atti cultuali) che orizzontale (negozi).

Al nodo posto dall’elaborazione teorica si aggiunge poi quello antropologico e culturale di una crescente estraneità verso ciò che è percepito come un “prodotto dell’Occidente”. Da circa mezzo secolo la shari‘a si presenta cioè in modo crescente come un punto di riferimento essenziale nella costruzione dell’identità individuale e sociale dei musulmani, “una sorta di emblema contro l’invasione dei modelli culturali e giuridici prodotti dall’Occidente” (M. Papa, La shari‘a, 2014, p. 118). Volendo disporre di un quadro informativo preliminare che aiuti ad affrontare meglio i problemi posti (o taciuti ma sottintesi) dagli studenti, non si può infine ignorare la discussione attualmente in corso, tra intellettuali e pensatori occidentali, sulla cosiddetta «fine dei diritti dell’uomo», indotta da vari fattori, tra cui le politiche liberticide adottate in nome della sicurezza nazionale. Eventi come le cosiddette Guerre del Golfo hanno fatto parlare di smantellamento

o di violazione istituzionalizzata dei diritti dell’uomo. La “presunzione d’irreversibilità”

(i diritti dell’uomo sono una strada a senso unico e possono solo avanzare) è così oggetto di un’ampia discussione (cfr. ad es. i lavori di C. Douzinas, S. Hopgood, D. Luban). Non può sfuggire che l’area del Nord Africa-Medio Oriente è una di quelle dove le popolazioni hanno fatto esperienza in modo più diretto dei risvolti pratici, geo-strategici ed economici, di questo problema.

I tre elementi qui appena accennati non devono costituire ragione di rinuncia a un tema (i diritti universali) che è anzi uno dei pilastri del nostro progetto di dialogo tra Costituzioni e culture, ma al contrario uno stimolo positivo ad affinarlo, per poterlo proporre agli utenti del corso con maggiore possibilità di incidere sulle loro convinzioni e il loro percorso di formazione. Non si pensi che si tratta di cose troppo specialistiche per detenuti sprovvisti di basi culturali formali. Sono infatti proprio questi gli argomenti dibattuti nelle celle e uno dei terreni più fertili di diffusione del fondamentalismo.

Il nostro incontro del 9 dicembre si può chiudere solo con un riferimento alla “regola aurea”, quel principio elaborato, nella sua versione positiva e in quella negativa, dalla sapienza degli antichi: “Fa’ agli altri ciò che vuoi sia fatto a te” e “Ciò che non vuoi sia fatto a te, tu non farlo agli altri”. Collegandoci in questo modo al messaggio del video di

“United for Human Rights” facciamo notare

di ari o di b or do

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che la “regola aurea” è contenuta in testi della filosofia greca, poi in quelli della “rivelazione”

ebraico-cristiana, e arriva infine nelle opere di etica islamica (per non parlare di Confucio).

La possiamo così leggere nella sua versione araba. È un bell’esempio di circolazione di antichi materiali utili all’edificazione di una comunità di eguali, nella diversità. Ma in un doppio principio così semplice e chiaro si annida di nuovo il problema dell’universalità:

si parla in esso di tutti gli uomini o solo degli appartenenti alla propria setta/religione?

Almeno per quanto riguarda le fonti islamiche, si deve concludere che l’Altro al quale fare il bene che voglio per me e non fare il male che non voglio per me, è un fratello di fede.

Nel documento Diritti Doveri Solidarietà (pagine 25-29)