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La salute come diritto e responsabilità

Nel documento Diritti Doveri Solidarietà (pagine 53-57)

Mercoledì 23 marzo, 20 iscritti all’incontro, un quarto dei quali non-arabi. C’è l’imam Abu Abd al-Rahman (Wajih Saad), ospite di una lezione sulla salute che vuol tenere particolarmente conto di alcune problematiche che toccano in modo particolare i detenuti di fede islamica.

Abu Abd al-Rahman è originario dell’Egitto, vive a Reggio Emilia, dove dirige una delle associazioni islamiche della città, ed è membro della lega dei musulmani europei. Con le iniziative culturali alla Dozza collabora già da diversi anni e ci informa di avere iniziato una presenza tra i detenuti di fede islamica nella Casa Circondariale di Reggio Emilia.

Parla in arabo, circostanza che rappresenta per un verso una barriera oggettiva a una piena partecipazione all’incontro da parte di quei corsisti che non conoscono la lingua, anche se il suo discorso viene tradotto parola per parola dal nostro mediatore culturale.

Per altro verso il livello di attenzione dei corsisti di fede islamica è molto elevato, sia per la lingua che per il ruolo del nostro ospite.

Possiamo rilevare ancora una volta quanto le personalità religiose facciano breccia nei loro interlocutori. In questo senso possono rappresentare una risorsa effettiva nei progetti educativi del carcere. Ospite straordinario dell’incontro è la Garante Regionale dei diritti

dei detenuti, Desi Bruno, presente insieme ad alcuni suoi collaboratori. Il suo Ufficio, come i corsisti ben sanno, è soggetto attivo e motore di tutta l’impresa di DDS.

Iniziamo con una lettura comparata degli articoli della Costituzione italiana e delle altre tre arabe (v. dispensa allegata). Si parla dunque di salute come diritto dell’individuo ma anche come interesse della collettività. Il passaggio dal singolo ai molti serve anche per fare riferimento alla tutela della salute come responsabilità collettiva e come ambito di solidarietà tra persone.

Mister Bin, il famoso comico inglese, fa la sua comparsa sullo schermo della nostra saletta, per mettere in ridicolo (e così provocare a riflettere) la tendenza irresistibile a “pensare solo a se stessi” quando di mezzo c’è la salute. Ma anche per questo si può richiamare l’antico principio:

se desideri un bene per te devi pensare anche al bene degli altri. Attraverso questa linea di pensieri, che tocca anche comportamenti minuti della vita quotidiana, si può poi allargare l’orizzonte, giungere a parlare dei “diritti di terza generazione”, come ad esempio il diritto all’acqua e a un ambiente salubre, che troviamo inclusi nelle nuove costituzioni arabe. Non solo il singolo individuo ma anche la generazione alla quale appartiene deve porsi il problema del mondo che lascia alla generazione che segue, intesa non solo come gruppo parentale o clanico.

Dai macro-problemi ai micro-problemi, dalla collettività al singolo: una lezione come questa deve lasciare uno spazio ampio per il racconto della “propria storia” e dei problemi concreti che ciascuno fronteggia nella cura della salute in carcere: la mancanza di farmaci, le carenze nell’assistenza di personale medico, il nodo specifico dell’assunzione di psicofarmaci, così come il problema dell’ingestione di medicamenti durante il digiuno del mese di Ramadan, sino a giungere alla questione se il traffico di stupefacenti possa essere qualificato come un atto di jihad, lodato e approvato dalla religione islamica, poiché avvelena e indebolisce il “nemico infedele”.

Un altro fronte è costituito dalla pratica degli atti di autolesionismo, così frequenti in carcere come gesto di protesta e manifestazione estrema del proprio disagio. Da temi come questi, così vari e tutti urgenti, si può capire meglio per quale ragione, quando si parla di salute in carcere con fedeli musulmani, sia utile sentire anche l’imam. Non è un caso dunque se, qualche settimana dopo questo incontro, Abu Abd al-Rahman farà una nuova comparsa alla Dozza, ma stavolta in alcune sezioni di maggior presenza di islamici, sempre per un discorso sulla salute.

Le parole delle Costituzioni – inizia a dire – sono belle, ma rimane poi il problema dell’applicazione concreta. Negli enunciati di ciascuna è possibile trovare punti di contatto con l’insegnamento dell’islam a proposito della salute. Le Costituzioni – aggiunge – parlano di diritto alla salute;

l’islam, da parte sua, insiste sul dovere di una persona di preservare la propria vita. Il corpo, secondo l’esposizione dell’imam, non è tuo nel senso pieno del termine ma di Dio, che lo ha creato, e a lui va restituito. Si tratta di un’esposizione assolutamente tradizionale di principi

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religiosi, alla quale si potrebbe opporre gli sviluppi più recenti del dibattito sul tema del diritto di rifiutare le cure sino alle conseguenze estreme della morte. Proprio a partire dal dettato del secondo comma art. 32 Costituzione (“Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”) si è visto il passaggio da un impianto normativo improntato essenzialmente sul principio di indisponibilità della vita, ad un nuovo impianto, capace di accogliere le istanze del principio dell’autodeterminazione individuale. Nei materiali predisposti per la lezione avevamo così incluso un video tratto da France24 in arabo su questo tema, ma non c’è stato tempo di trasmetterlo e quindi di aprire una riflessione. Merita recuperarlo in altra occasione.

Rispetto alle cose ascoltate dall’imam bisogna tenere presente ovviamente il contesto nel quale le ha pronunciate e le problematiche che gli abbiamo sottoposto nel preparare la lezione: ad esempio, come si è accennato, il rifiuto opposto alla prosecuzione delle cure mediche adducendo un motivo religioso. A posizioni come queste, che possono diffondersi senza alcun controllo tra i detenuti, passando di bocca in bocca, è utile potere contrapporre un’opinione competente che si muova sul medesimo terreno. Il “dovere di curarsi” è un principio etico dell’islam utilizzato oggi anche per ammettere certi progressi della medicina: ad esempio la liceità del trapianto d’organi o la chirurgia estetica, laddove corregga deformità che impediscono in modo pieno la propria esistenza. Rimane fermo il rifiuto di principio per la chirurgia estetica senza motivi di cura, considerata una specie di attentato all’opera creatrice di Dio.

La tutela della salute, insiste il nostro ospite, figura dunque tra i supremi principi della shari‘a, insieme alla tutela della vita, della religione, della discendenza, del patrimonio. È salute fisica e mentale. Questo è il motivo, sottolinea, per cui nell’islam è interdetto l’uso di sostanze inebrianti, stupefacenti inclusi: attentano all’integrità delle facoltà intellettive. Un’obiezione a quest’ultimo punto emerge esplicitando uno dei messaggi più perniciosi che serpeggiano tra gli spacciatori:

a un musulmano è vietato far uso di droga ma compie un atto di guerra santa vendendola agli infedeli. O un’altra diceria diffusa con scaltrezza: il versamento in elemosina di una quota consistente dei proventi da droga, “pulisce” religiosamente quanto rimane. La risposta di Abu Abd al-Rahman è recisa: non v’è alcun fondamento in affermazioni di questo tipo! Trovandosi in mezzo a non-musulmani, il fedele islamico deve fare propaganda al proprio credo attraverso le opere buone, non con quelle cattive. L’illecito rimane illecito. Illustra il principio con un caso limite, tratto dalle tradizioni islamiche: uno schiavo convertito conduce il gregge del suo padrone pagano ai musulmani in gran necessità di cibo, durante una spedizione militare, ma il Profeta dell’islam rifiuta di approfittarne, perché il gregge non appartiene a quell’uomo, è

stato sottratto al legittimo proprietario con l’inganno. Si potrebbe forse opporre a questa narrazione altre tradizioni di diverso tenore, ma nell’ambito della nostra lezione ci dà un esempio di come la predicazione islamica classica si serva di questi materiali per inculcare un principio etico: la salute di cui godi non la puoi sottrarre a un altro. C’è un principio di “restituzione” alla collettività che fa parte del patrimonio dell’islam.

È su questa idea della “restituzione” che si inserisce Desi Bruno con un suo breve commento, mentre il tempo comincia a volgere al termine: nota che si è partiti dalla lettura delle Costituzioni, nelle quali si parla di diritti fondamentali di ogni individuo. Per quanto riguarda l’Italia, non tutti i Padri costituenti erano animati da idee e fedi religiose, ma al di là delle rispettive differenze hanno messo insieme diritti fondamentali validi per tutti.

Questo è ciò che fonda una società in cui tutti rispettano tutti. Anche per noi c’è un impegno di “restituzione”, anche in termini di salute.

Perché altrimenti sarebbe proibito il traffico di stupefacenti nel nostro Paese? Perché fa male alla salute collettiva. È un punto sul quale ci si può ritrovare, da varie posizioni e provenienze culturali, e lottare insieme per migliorare le cose, dentro e fuori il carcere.

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Musulmani d’Europa e

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