Mercoledì 17 febbraio. La nave del corso fa tappa in due porti tra i più desiderati: quello dell’uguaglianza e quello della solidarietà. Due cose diverse ma in fondo strettamente
collegate, perché non basta dire che le persone sono uguali per dignità a prescindere dal colore della pelle, dalla lingua, dal sesso, dalle condizioni personali e sociali se non ci s’impegna a rimuovere gli ostacoli che sembrano affermare tutto il contrario. Questo sforzo è la vera e più alta solidarietà.
A bordo ci sono diciannove corsisti, con una percentuale molto più alta di non-arabi/musulmani: quasi la metà. Abbiamo i materiali video dello scorso anno e partiamo con il cortometraggio graffiante di Bruno Bozzetto, “Neuro”, che mostra la rovina di una casa i cui inquilini vivono in una solitudine assoluta, incapaci di comunicare, quindi di farsi carico gli uni degli altri. Il contrario della comunità ideale, costruita su un tessuto di relazioni. Valeria Palazzolo, la docente di studi sociali del CPIA, s’inserisce proprio su questo filone di pensieri con un piccolo gioco carico di significati: distribuisce dei bigliettini all’apparenza uguali, ma su alcuni è segnato un puntino azzurro. Chi ha ricevuto il biglietto “diverso” deve considerarsi
“diverso”, privato di certi importanti diritti garantiti agli altri. È giusta una cosa del genere? Il coro dei “no” consente di passare a mostrare il paradosso delle leggi razziali, che accostiamo con la lettura di un documento storico del 1938: il manifesto del razzismo italiano. Su uno sfondo come questo l’art. 3 della Costituzione italiana balza all’occhio in tutto il suo spessore “rivoluzionario” non solo rispetto al passato ancora recente ma
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anche guardando a un presente che continua a perpetuare e persino approfondire, a livello globale, le diseguaglianze.
Le reazioni mostrano che è un argomento che scotta: si può parlare delle condizioni del proprio paese, delle peripezie sperimentate per giungere in Europa, persino delle differenze di trattamento in carcere. Come sempre c’è un’utilità didattica nel fare emergere i dettagli e le storie particolari ma anche un alto rischio di dispersione, mentre la docente cerca di tenere fermo il punto centrale del suo discorso: l’importanza dello studio della storia per la comprensione di un tema così importante. Ancora sino a metà degli anni ’90, cioè vent’anni fa, un paese come il Sudafrica è stato governato dal principio della segregazione razziale.
Ma ci sono anche segregazioni più insidiose, perché non dichiarate in modo istituzionale ma praticate in modo subdolo e con un largo consenso sociale: il razzismo arabo non è un esempio? Nel proporre il quesito, utilizzando un programma giornalistico dell’edizione in lingua araba di Tele France 24, spostiamo il problema dalla pura polarità est-ovest o nord-sud, che rischia di occultare le dimensioni
“globali” del problema. Le discriminazioni di persone di pelle nera da parte di popolazioni arabe, le discriminazioni di arabi e musulmani da parte delle “etnie arabe pure” dei paesi del Golfo, i massacri tra etnie di pelle nera nell’Africa centrale. È un’estensione a livello mondiale del dramma del microcosmo
descritto da Bruno Bozzetto. Come rispondervi?
La religione! Un corsista musulmano fa notare la rivoluzione operata dal Corano in un mondo come quello del tribalismo arabo, profondamente diviso e in lotta. La fede in “qualcosa di superiore” rende tutti uguali. La proposta ha un suo valore ed è anche sostenibile storicamente:
il famoso poeta pre-islamico Antara geme la sua condizione di uomo dalla pelle nera, che gli impedisce il matrimonio con una bella araba “puro-sangue”, mentre Bilal, lo schiavo nero, è onorato come il primo muezzin dell’islam. Ma le tradizioni sono spesso più forti delle religioni, come mostra l’attualità, e poi accade che le religioni stabiliscano nuovi confini tra chi è dentro e chi è fuori, siano esse stesse produttrici di nuove diseguaglianze. La storia dell’islam conosce aree e periodi in cui i non-musulmani dovevano portare segni di riconoscimento che li rendessero immediatamente distinguibili nel corpo sociale. La tratta degli schiavi dall’Africa non è stata solo alimentata da mercanti europei, “buoni cristiani” o “laici illuminati”, ma anche da musulmani spesso appartenenti a illustri congregazioni mistiche, i “sufi”.
“Religione”, come emerso nel dibattito in classe, è dunque una risposta, ma da sola non autosufficiente. Una dimostrazione recentissima viene dalla “Dichiarazione di Marrakech”
della quale si è fatto cenno (250 leader religiosi riuniti a inizio 2016 sotto gli auspici del re del Marocco) che risale alla “Carta di Medina” degli inizi dell’islam per trovare tracce di una idea di cittadinanza che non si fondi in modo diretto e assoluto su un’appartenenza religiosa. Malgrado le criticità rilevabili (la dichiarazione forse vuole desumere troppo da un documento risalente a circa 13 secoli fa) la “Dichiarazione di Marrakech” può entrare nel novero di materiali utili in esperienze didattiche con musulmani come quella di DDS (vi sono sintesi disponibili in varie lingue occidentali, italiano compreso).
A proposito di religione possiamo ancora presentare un bel testo della tradizione islamica, secondo il quale la creazione del primo uomo avviene prendendo terra da tutti i punti del mondo:
terra gialla, rossa, nera, chiara eccetera. Il primo uomo è così una sintesi di tutte le etnie. Questo afflato universale apre alla considerazione degli articoli pertinenti a uguaglianza/solidarietà nella Costituzione italiana e nelle tre Carte arabe che utilizziamo come termine di confronto. La discussione che ne segue ci porta a concludere che le Carte fondamentali presentano un anelito alla giustizia e all’uguaglianza che è, al tempo stesso, un impegno presente e un sogno per il futuro. Non si può smettere di sognare malgrado le tante delusioni patite, così come non si può lasciare il cammino dei grandi diritti nel puro mondo dei sogni, mentre è un progetto politico affidato alla responsabilità di ogni generazione.