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L’abuso dei diritti del lavoratore in caso di sospensione del rapporto di lavoro, con particolare riguardo al godimento di congedi

DEL DIVIETO DI ABUSO NEL DIRITTO DEL LAVORO

2. Le applicazioni giurisprudenziali del divieto di abuso del diritto

4.1. L’abuso dei diritti del lavoratore in caso di sospensione del rapporto di lavoro, con particolare riguardo al godimento di congedi

parentali e permessi.

La giurisprudenza ha fatto ricorso al principio del divieto di abuso in relazione alle prerogative spettanti al lavoratore nell’ambito di tre distinte macro aree. Si tratta della fruizione di permessi per lo svolgimento di esami di profitto o per l’esercizio di attività sindacale, del godimento di congedi per l’assistenza a familiari minori di età, handicappati o, ancora, di assenza dal lavoro per malattia.

È stato osservato efficacemente in dottrina213 che il campo delle sospensioni del lavoro ed, in particolare, come intuibile, di quelle retribuite, costituisca senz’altro l’ambito in cui più frequentemente possono essere teorizzate ipotesi di abuso del diritto da parte del lavoratore.

Ed invero in relazione a tali fattispecie, almeno prima facie, si può immaginare che il lavoratore eserciti la propria prerogativa in maniera formalmente rispettosa della disposizione normativa attributiva della medesima, ma per il perseguimento di un interesse diverso rispetto a quello per cui il diritto è accordato dall’ordinamento, realizzando così un abuso di diritto.

Proprio in questi termini ha ragionato la Corte di Cassazione in una nota e non risalente pronuncia214 che ha stimolato, con la sua articolata motivazione, un vivace dibattito dottrinale ed una più ampia rimeditazione sul tema che qui occupa.

Il caso oggetto della pronuncia è quello di un dipendente licenziato per giusta causa per essersi dedicato, durante il periodo di congedo

                                                                                                               

213 R.DEL PUNTA,Risposta, in L’abuso dei diritti del lavoratore - Colloqui giuridici sul lavoro, a cura di A.VALLEBONA, Suppl. Mass. giur. lav. Il Sole 24 ore, Milano, 2010, p.20.

214 Si tratta di Cass., 16 giugno 2008, n. 16207, in Riv. it. dir. lav., 2009, II, pp. 277 ss., con nota di L.CALAFÀ, Congedo parentale e cura del minore. Limiti funzionali al diritto potestativo del padre; in Riv. giur. lav., 2008, II, pp. 858 ss. con nota di B.CAPONETTI, Abuso del diritto al congedo parentale e licenziamento per giusta causa; in Arg. dir. lav., 2009, pp. 448 ss. con nota di M.G.GRECO, L’abuso del diritto nella fruizione dei congedi parentali; in Giur. mer., 2009, I, pp. 591 ss., con nota di L.DEL VECCHIO, Congedo parentale e svolgimento di attività lavorativa: una importante decisione della Cassazione; in Guida al diritto, 2008, n. 27, pp. 67 ss. con nota di M.

TATARELLI, L’abuso di un diritto potestativo può essere causa di licenziamento.

parentale215 (di cui in particolare all’art. 32, D.lgs. n. 151/2001), alla gestione della pizzeria di proprietà della moglie e non, invece, alla cura della propria figlia.

La vicenda processuale appare piuttosto articolata.

In primo grado il Tribunale aveva ritenuto legittimo il licenziamento del prestatore, rigettando così il ricorso avverso il recesso datoriale, sulla base della dirimente osservazione per cui la normativa in materia di congedi parentali non tutela l’astensione dal lavoro in sé, bensì soltanto quella che realizza l’interesse meritevole per cui è concessa. Più in dettaglio, tale interesse si sostanzia nella cura del minore, diretta al suo completo inserimento all’interno della famiglia; sicché esclusivamente in questa ipotesi si può affermare che l’esercizio del diritto alla fruizione del congedo parentale di cui all’art. 32 D.lgs. n. 151/2001 avvenga legittimamente.

La pronuncia è stata tuttavia riformata in sede di gravame: a partire dall’esame della disciplina la Corte territoriale, infatti, ha sostenuto che l’interesse, cui pure deve essere preordinato il diritto al godimento del congedo, si identifica, latamente, con un’esigenza di organizzazione familiare che sarebbe stata senz’altro presente nella fattispecie esaminata.

La Suprema Corte ha invece accolto il ricorso del datore di lavoro, svolgendo alcune fondamentali osservazioni in merito alla natura giuridica del congedo parentale e, per quanto qui soprattutto rileva, all’abuso di diritto in generale e con riguardo a tale specifica prerogativa.

Occorre dunque procedere ad una sua attenta analisi.

Quanto al primo profilo, ha evidenziato come l’istituto del congedo di cui all’art. 32 d.lgs. n. 151/2001 costituisca un diritto potestativo giacché consente al suo titolare di giovarsene semplicemente dandone preavviso,                                                                                                                

215 L’istituto del congedo parentale è disciplinato nell’art. 32 D. lgs. n. 151/2001. La previsione normativa oggi prevede che per ogni bambino ciascun genitore abbia diritto di astenersi dal lavoro, nei primi dodici anni di vita del minore, secondo quanto stabilito dall’articolo stesso. I congedi dei genitori non possono complessivamente eccedere il limite di dieci mesi, elevati ad undici nel caso in cui il padre decida di astenersi dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a tre mesi. Alla contrattazione collettiva è demandato il compito di fissare le modalità di fruizione del congedo di cui al comma 1 su base oraria, i criteri di calcolo della base oraria e l’equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa. In caso di mancata regolamentazione da parte della contrattazione collettiva, ciascun genitore può scegliere tra la fruizione giornaliera e quella oraria.

non inferiore a cinque giorni, al datore (comma 3)216; quest’ultimo deve soggiacere alla decisione del lavoratore, non potendo in alcun modo sindacarne l’opportunità ed incorrendo, anzi, nelle sanzioni di cui al successivo art. 34 nel caso in cui si rifiuti di concederlo. La fruizione del congedo comporta la sospensione ex lege della prestazione di lavoro;

determina l’obbligo dell’ente previdenziale di erogare un’indennità al lavoratore nell’ambito del relativo rapporto previdenziale che, come noto, si instaura per legge durante l’esecuzione del contratto di lavoro.

Tanto chiarito, la Corte è passata a mettere in luce la centralità del rilievo dell’interesse nella struttura di ciascun diritto, compresi, dunque quelli potestativi, ritenendo, infatti, che ogni posizione di vantaggio riconosciuta nell’ordinamento debba essere interpretata in chiave funzionalistica, in maniera tale, cioè, da enucleare l’interesse al cui soddisfacimento essa è preordinata. Indicazioni rilevanti nel senso di un superamento di una concezione assolutistica delle posizioni di vantaggio derivano, secondo le argomentazioni dei giudici di legittimità, dalla Carta costituzionale che, invero, funzionalizza diritti considerati per molto tempo assoluti, primo fra tutti quello di proprietà (art. 42 Cost.).

L’accoglimento di tale concezione funzionalistica dei diritti soggettivi ad avviso della Corte comporta, quale conseguenza indefettibile, il riconoscimento del principio del divieto di abuso del diritto che i giudici rinvengono in ogni ipotesi di contrasto nell’esercizio del diritto rispetto all’interesse tipico ricavato in via interpretativa dall’esame della norma.

Viceversa, è sminuita la necessità di una disposizione che, in via espressa e generale, fondi tale divieto; tanto è vero che l’art. 833 c.c. è interpretato nella pronuncia quale norma la cui introduzione si è resa necessaria preso atto del contenuto amplissimo del diritto di proprietà, al fine di esplicitare, in relazione al medesimo, quanto per le altre posizioni di vantaggio è un

                                                                                                               

216 Il comma in esame è stato ripetutamente modificato, dapprima dall’art. 1, comma 339, lett. b), l. 24 dicembre 2012, n. 228 e, successivamente, dall’art. 7, comma 1, lett. c), d. lgs. n.

15 giugno 2015, n. 80. In particolare, giova ricordare che in origine il termine di preavviso previsto era di 15 giorni.

principio acquisito nella teoria generale, vale a dire che non si può abusare rapporto contrattuale di lavoro, in una condotta contraria a buona fede la quale può tradursi, come nella specie, in una privazione ingiusta della prestazione di lavoro per il datore, tale da compromettere la fiducia che quest’ultimo nutre nei confronti del lavoratore ed idonea, in definitiva, ad integrare una giusta causa di licenziamento218.

Sulla scorta di tale articolata premessa, la sentenza è passata ad enucleare lo specifico interesse sotteso al diritto alla fruizione del congedo parentale a partire dall’esame dell’art. 32 e di una più ampia riflessione in merito all’evoluzione dell’ordinamento in questo ambito, anche alla luce

                                                                                                               

217 La posizione espressa dalla Suprema Corte, a ben vedere, non è poi molto distante da quella condivisa da chi scrive nel Capitolo I (spec. § 4.1). Ed invero si è detto in quella sede, e giova ribadirlo ora, che l’art. 833 c.c. costituisce una specificazione nell’ambito della materia proprietaria del principio del divieto di abuso del diritto nella quale si è resa necessaria l’introduzione, quale elemento costitutivo della fattispecie, del profilo dell’animus nocendi (pur via, via interpretato in maniera sempre meno restrittiva) in quanto la proprietà rappresenta il diritto assoluto per eccellenza, dal contenuto amplissimo. Pertanto, se ne può immaginare in astratto e ravvisare in concreto un abuso e, dunque, una deviazione dall’interesse meritevole per il quale è stato previsto dal legislatore soltanto quando ricorra la consapevolezza del dominus di recare danno ad altri.

218 La Corte di Cassazione è pervenuta allo stesso esito decisorio, ma con minore intento esplicativo, nella recentissima pronuncia 25 gennaio 2016, in Banca dati De jure. In essa i giudici, infatti, hanno affermato che la condotta del lavoratore pubblico che eserciti prerogative di cui sia effettivamente titolare al solo fine di creare una situazione di malfunzionamento e di disagio nell’ufficio e di ottenere un trasferimento già denegatole legittimamente (nella specie continue istanze di accesso agli atti, ricorsi e domande di ogni tipo) configuri un abuso del diritto, tale da integrare una giusta causa di licenziamento. La Suprema Corte sembra dunque accogliere fin qui una nozione funzionalistica del divieto di abuso del diritto. Successivamente, però, individua inaspettatamente un collegamento del divieto di abuso con la violazione del canone di buona fede, laddove afferma infatti che l’abuso si configura allorchè il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo esercita non solo al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali le prerogative sono attribuite dall’ordinamento, ma anche con modalità tali da causare uno sproporzionato sacrificio della controparte contrattuale.

Il percorso motivazionale della sentenza desta più di una perplessità. In particolare, il collegamento tra divieto di abuso e canone di buona fede appare equivoco giacché porta l’interprete a confondere il piano della funzione della prerogativa con quello della salvaguardia degli interessi dell’altro paciscente i quali devono invece rimanere distinti e, come noto, comportano conseguenze diverse sul piano rimediale.

della giurisprudenza costituzionale219. Più in dettaglio, tale interesse secondo la Suprema Corte s’indentifica nell’appagamento dei bisogni affettivi e relazionali del minore e non invece, come pure aveva affermato la Corte d’Appello, in una più lata esigenza di organizzazione della famiglia.

Sicché, i giudici di legittimità hanno ritenuto di poter ravvisare nella condotta del soggetto che si reca nella pizzeria di titolarità della moglie durante la fruizione del congedo parentale una chiara deviazione dagli interessi per il quale questa prerogativa è riconosciuta nell’ordinamento, con conseguente sussistenza della giusta causa di licenziamento intimato dal datore di lavoro.

La pronuncia è stata oggetto di osservazioni, spesso critiche, da parte della dottrina.

Alcuni Autori220 hanno ritenuto che si tratti di un’ipotesi di vera e propria inesistenza della posizione di vantaggio: il fatto che il lavoratore si sia dedicato alla gestione della pizzeria piuttosto che alla cura della figlia sarebbe sintomatico dell’insussistenza del presupposto di fruizione del congedo, identificato nella necessità di dedicarsi alla cura del figlio. Proprio il difetto di tale presupposto determinerebbe, a valle, l’insussistenza del diritto.

Secondo altri221, invece, il richiamo all’abuso del diritto per sviamento della funzione sua propria non appare convincente giacché il comportamento assunto da parte del prestatore non sarebbe abusivo, ma propriamente illegittimo perché contrario alla ratio legis della disposizione normativa.

Attenta dottrina222 tuttavia ha evidenziato, assai persuasivamente, come la stessa configurazione della fattispecie da parte del legislatore si presti, almeno in taluni casi, al ricorso al principio del divieto di abuso del diritto.

                                                                                                               

219 La Suprema Corte ricorda le importanti pronunce 19 gennaio 1987, n. 1 e 21 aprile 1993, n. 179 con le quali la Consulta, ben prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 151/2001, aveva già avuto modo di affermare che le garanzie costituzionali di cui all’art. 31 Cost. debbano essere assicurate anche in situazioni indipendenti dall’evento della maternità naturale, tali da comprendere dunque la paternità, sulla base del presupposto per cui la tutela prevista dalla norma costituzionale è funzionale al soddisfacimento di esigenze non solo della madre, ma altresì del bambino.

220 M.C.CATAUDELLA, Risposta, in L’abuso dei diritti del lavoratore - Colloqui giuridici sul lavoro, cit., pp. 11 ss.

221 Così L.CORAZZA,S.CIUCCIOVINO, Risposta, in L’abuso dei diritti del lavoratore - Colloqui giuridici sul lavoro, cit., pp. 17 ss.

222 R.DEL PUNTA,Risposta, in L’abuso dei diritti del lavoratore - Colloqui giuridici sul lavoro, cit., § 2.

L’assenza di una specifica puntualizzazione all’interno della disposizione normativa delle finalità esclusive per cui il congedo possa essere goduto consente all’interprete di individuare una gamma di comportamenti “al limite” nei quali non si può certamente parlare di un “non diritto” del lavoratore, bensì di un parziale sviamento dello stesso. Nel caso del congedo parentale, infatti, l’art. 32 non richiede che il genitore che ne usufruisca stia materialmente accanto al proprio figlio per tutto il tempo del teorico orario di lavoro. Pertanto, si richiede necessariamente al giudice di valutare se il comportamento assunto dal lavoratore, pur nel rispetto formale della disposizione normativa, sia stato effettivamente coerente con l’interesse sotteso a quest’ultima oppure no. In tale ultimo caso si ritiene allora utile il richiamo al divieto di abuso, nella consapevolezza che l’apprezzamento richiesto al giudice postula l’impiego di un parametro di ragionevolezza che senz’altro si allontana dai canoni più radicali del positivismo giuridico.

Ad avviso di chi scrive il riferimento al principio del divieto di abuso del diritto appare pertinente.

In primo luogo, infatti, non si tratta di un’ipotesi d’inesistenza del diritto posto che nella specie non era in discussione il fatto che il ricorrente fosse nelle condizioni di usufruire del congedo parentale, avendo una bambina di età tale da consentire il godimento della suddetta prerogativa. In definitiva, non si ritiene possibile affermare un’inesistenza del diritto laddove nella fattispecie concreta se ne possano ravvisare i presupposti di esercizio.

Più delicato è il profilo relativo alla possibilità di ravvisare nella specie una vera e propria violazione di legge piuttosto che un abuso.

Per risolvere la questione, come si è già avuto modo di precisare in termini più generali223, occorre considerare la tecnica di redazione della norma attributiva della posizione di vantaggio.

Ebbene, il legislatore 224 nella specie richiede semplicemente che il lavoratore comunichi al datore la decisione di usufruire del congedo non oltre 5 giorni dal momento del suo godimento; non impone invece al prestatore alcun onere motivazionale, né, tantomeno, consente al datore un sindacato ex ante                                                                                                                

223 V. supra Capitolo I, §5.

224 V. supra nel testo e nota n. 148.

sull’opportunità della scelta compiuta in proposito da parte del lavoratore.

Se si tiene in debita considerazione questo aspetto, si deve pervenire alla conclusione per cui non sussiste una radicale e diretta violazione di legge quando il lavoratore, che astrattamente soddisfi i requisiti richiesti dalla norma applicabile, ne frustri lo scopo, soddisfacendo interessi altri rispetto a quello cui la prerogativa esercitata è preordinata. Tra la fattispecie, astratta e ovviamente lecita, tratteggiata dalla norma e quella in concreto realizzata dal lavoratore non è invero possibile individuare, se non in via interpretativa, una difformità immediata, tale per cui si possa parlare di violazione di legge;

è invece ben possibile ravvisare quello che in senso tecnico si è più volte definito abuso del diritto.

Si riscontra in definitiva proprio in relazione alla fattispecie in esame l’utilità del principio del divieto di abuso quale argine all’esercizio arbitrario di posizioni di vantaggio.

Non appare invece condivisibile il collegamento che i giudici compiono con il canone di buona fede contrattuale: in primo luogo, infatti, nell’economia della pronuncia esso appare poco più di un omaggio formale, giacché non risulta in alcun modo argomentato; inoltre, e soprattutto, come si è avuto modo di dimostrare, stride sia con la definizione funzionalistica del divieto di abuso sia con lo stesso contenuto della buona fede obiettiva225. Peraltro la Corte non perviene, come sarebbe normale ipotizzare in caso di violazione del canone di correttezza, ad una condanna del lavoratore al risarcimento del danno da inadempimento. Giunge invece ad una più radicale configurazione della giusta causa di licenziamento, sembrando così comprendere la duttilità del principio del divieto di abuso anche sul piano rimediale.

                                                                                                               

225 V. supra Capitolo I, §§ 3.1. ss.

4.2. L’abuso del diritto alla fruizione di permessi per assistenza a