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Segue. I criteri di scelta dei cassaintegrati

DEL DIVIETO DI ABUSO NEL DIRITTO DEL LAVORO

2. Le applicazioni giurisprudenziali del divieto di abuso del diritto

3.3. Segue. I criteri di scelta dei cassaintegrati

Il tema della sindacabilità causale dei poteri del datore di lavoro, come accennato in premessa, è venuto in considerazione anche rispetto alla complessa e, per un certo periodo particolarmente attuale questione della scelta da parte dell’imprenditore dei lavoratori da porre in Cassa integrazione guadagni201.

                                                                                                               

201 Come noto, l’istituto, di cui si tratta per la sua rilevanza ai fini di un’indagine in merito agli spazi di operatività del divieto di abuso individuati dalla giurisprudenza, è stato recentemente oggetto dell’attenzione del legislatore nell’ambito di un complessivo riordino degli ammortizzatori sociali. Ed invero, in via di estrema sintesi, si ricorda che, partendo

In assenza di una puntuale disciplina legislativa in proposito, la giurisprudenza202 è intervenuta ad esercitare una “supplenza di grande impegno”203, essendo stata infatti chiamata a giudicare la legittimità dei criteri d’individuazione dei dipendenti stabiliti da parte del datore nell’ambito del proprio potere discrezionale di scelta dei soggetti con cui sospendere il rapporto di lavoro.

A tal proposito, i giudici sono pervenuti all’acquisizione di alcuni punti fermi.

Per quanto qui soprattutto rileva, sono giunti ad affermare che la scelta dei lavoratori compiuta da parte del datore, sebbene caratterizzata da un margine di discrezionalità, non possa tuttavia mai sconfinare nell’arbitrio. Si legge invece che tale potere, viceversa, per essere considerato lecito, debba risultare coerente con gli scopi per i quali è stato previsto dal legislatore giacché “come tutti i poteri conferiti dall’ordinamento ai privati, esso non può essere impiegato dal suo detentore a fini diversi da quelli per i quali è stato attribuito”204. Più in dettaglio, si è affermato che, dall’esame della disciplina della Cassa integrazione guadagni, si ricava come il fine specifico cui essa mira sia rappresentato dalla necessità di far fronte a situazioni di momentanea crisi produttiva o ad esigenze di vera e propria riconversione aziendale.

Tale funzione, ad avviso della giurisprudenza, permea necessariamente l’intera procedura che conduce all’operatività della Cassa integrazione e, pertanto, non può non connotare innanzitutto la facoltà del datore di scegliere i lavoratori da porre in Cassa integrazione e, quindi, i criteri di cui questi si avvalga per selezionare i dipendenti con cui sospendere il rapporto.

Questi ultimi, in particolare, per non confliggere con le finalità sottese all’istituto, devono essere coerenti con la valutazione delle condizioni obiettive della produzione. Viceversa, non possono essere in alcun modo legati né a condizioni personali del lavoratore, il cui apprezzamento, del                                                                                                                                                                                                                                                                                                      

dalla c.d. Riforma Fornero, il Governo Renzi, nel quadro del Jobs Act è intervenuto in particolare in materia di cassa integrazione guadagni e contratto difensivo con il d.lgs. n.

148/2015.

202 Per la puntuale indicazione delle pronunce v. supra nota 172.

203 Si esprime in questi termini M.C.TRAVERSO, L’abuso del diritto, in Nuova giur. civ. comm., 1992, II, p. 313.

204 Si è espressa significativamente in questi termini Pret. Milano, 29 luglio 1982, cit.

resto, incorrerebbe nel divieto di atti discriminatori di cui all’art. 15 St. Lav., né, secondo almeno una parte della giurisprudenza, alla scarsa produttività di taluni lavoratori rispetto ad altri.

Numerose pronunce, pur prendendo le mosse dalla richiamata prospettazione, che chiaramente si fonda su un sindacato di tipo causale del potere di scelta, sono tuttavia giunte ad affermare che l’esercizio di quest’ultimo in contrasto con la funzione cui è preordinato si risolva nella violazione della clausola di correttezza205.

Si tratta di un’affermazione che, nell’economia complessiva della motivazione delle sentenze, normalmente riveste il carattere di obiter dictum scarsamente argomentato. Essa non può comunque essere condivisa giacché, come si è ampiamente inteso dimostrare, la buona fede ha carattere tipicamente relazionale, postulando da parte del giudice una valutazione degli interessi contrapposti dei paciscenti.

Peraltro, quanto appena sostenuto potrebbe essere oggetto di critica, laddove si eccepisca che il giudizio di tipo relazionale proprio della clausola di correttezza, a ben vedere, non sia del tutto assente nell’iter motivazionale delle sentenze di cui si tratta. Spesso si legge, infatti, che l’esercizio della prerogativa di scelta dei lavoratori da porre in Cassa integrazione guadagni debba essere effettuato tenendo in debita considerazione la dignità e gli interessi di questi ultimi, in primo luogo quello alla conservazione del posto di lavoro, come richiesto dal dettato costituzionale (artt. 2, 4 Cost.).

Ebbene, l’obiezione è facilmente superabile. Ed invero tali affermazioni rappresentano un mero argomento di contorno, volto a sostenere e rafforzare il nucleo portante delle decisioni, secondo cui, a pena di illegittimità, occorre che vi sia coerenza tra l’atto di esercizio di scelta dei lavoratori e la funzione della Cassa integrazione guadagni. A ciò va ad aggiungersi una conclusione finale relativa ai rimedi applicati in caso di accertamento dell’incongruità causale dell’atto datoriale: nelle pronunce,                                                                                                                

205 Si ricorda a tal proposito che la ricostruzione della fattispecie alla luce del divieto di abuso del diritto in chiave causale è stata esplicitamente accolta in particolare da Pret. Milano, 14 agosto 1982, cit. La maggior parte delle pronunce rilevanti in materia, invece, come si è precisato nel testo, pur realizzando una valutazione di tipo causale in merito all’esercizio della prerogativa datoriale, ha poi poco persuasivamente richiamato la clausola di buona fede.

infatti, il ragionamento non fa mai perno attorno ad una valutazione in termini di responsabilità contrattuale del datore di lavoro, come sarebbe normale in caso di violazione del canone di correttezza; si discute invece dell’atto datoriale e della sua legittimità, per accogliere ricorsi ex art. 700 c.p.c.206 proposti dai lavoratori prescelti o, per vagliarne, la legittimità e dunque l’efficacia in giudizi di merito a cognizione piena207.

3.4. Segue. La libera recedibilità dal rapporto di lavoro alla luce della