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Segue. L’abuso del diritto quale violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede (intesa nella sua accezione

correttiva). Critiche.

Ad avviso della minoritaria e già accennata concezione correttiva43, la buona fede rileva in sede di attuazione del rapporto, fondando e legittimando un giudizio di secondo grado da parte del giudice. Ed invero quest’ultimo, secondo tale diversa impostazione è innanzitutto chiamato a                                                                                                                

42 Si esprime icasticamente in questi termini C.SALVI, Abuso del diritto, cit., p. 3. Condivide questa impostazione C.RESTIVO, Contributo ad una teoria dell’abuso del diritto, cit., pp. 153-154.

43Sembrano attribuire una vera e propria funzione correttiva alla buona fede F. ASTONE, L’abuso del diritto in materia contrattuale. Limiti e controlli all’esercizio dell’attività contrattuale, in Giur.

merito, 2007, suppl. al fasc. 12, p. 10;A.A.DOLMETTA, Exceptio doli generalis, in Banca, borsa, tit. cred., 1998, I, pp. 161 ss.

valutare la rispondenza dei comportamenti delle parti al programma negoziale originariamente messo a punto (c.d. strictum jus) ed a tutto quanto previsto imperativamente dalla legge (art. 1374 c.c.); in un secondo momento - ed in ciò risiederebbe l’elemento discretivo rispetto alla buona fede intesa in senso integrativo - avrebbe la possibilità di ricorrere ad un criterio elastico, quale è appunto la buone fede, al fine di stabilire, se le parti si siano adeguate alle circostanze del caso concreto, come avrebbe fatto, in base al disposto dell’art. 1375 c.c., un agente modello.

In tal modo la buona fede assurge a strumento per conformare ovvero correggere, se del caso, lo stesso accordo contrattuale, secondo la dizione impiegata dagli interpreti.

Per confutare la tesi integrativa, i fautori di questa impostazione sostengono che la configurazione di obblighi ulteriori rispetto a quelli assunti con la conclusione del negozio sia un’operazione del tutto superflua, una superfetazione44. In primo luogo, infatti, con riferimento alla posizione del debitore, tali obblighi costituirebbero una mera specificazione del contenuto della prestazione e, pertanto, risulterebbero già compresi in una concezione di quest’ultima quale comportamento esecutivo, diretto alla completa realizzazione dell’interesse creditorio, in tutti i suoi profili. Quanto invece agli obblighi di protezione che non è possibile ricollegare al contenuto della prestazione, primi fra tutti quelli che attengano alla posizione del creditore, essi, secondo tale prospettazione, trovano il proprio fondamento in specifici obblighi di legge (cfr. art. 1206 c.c.); pertanto, sarebbe inutile il richiamo alla più generale clausola della buona fede.

Tanto chiarito, l’accezione correttiva della buona fede appare concettualmente più affine al divieto di abuso del diritto di quanto non lo sia quella integrativa: essa sembra, infatti, estranea alla logica dell’osservanza di obblighi che, se non rispettati, determinano una violazione di legge e più vicina, invece, a quella, propria anche del divieto di abuso, di una verifica

                                                                                                               

44 V. le osservazioni di U.NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio, in Tratt. dir. civ. comm.

Cicu-Messineo , XVI, I, Milano, 1974, pp. 12 ss; U. BRECCIA, Diligenza e buona fede nell’attuazione del rapporto obbligatorio, Milano, 1968, passim; L.BIGLIAZZI GERI, Buona fede nel diritto civile, in Dig. disc. priv., sez. civ., II, Torino, 1988, pp. 172 ss.

compiuta ex post da parte del giudice in merito alla conformità dell’esercizio di una posizione soggettiva ad un paradigma comportamentale astratto.

Tale osservazione potrebbe dunque far propendere l’interprete per un’assimilazione del divieto in parola alla buona fede e, conseguentemente, all’affermazione per cui attraverso il canone di correttezza sia possibile compiere anche la verifica in merito alla congruenza dell’esercizio del diritto all’interesse che ad esso è sotteso.

L’assunto, tuttavia, può essere agevolmente smentito.

Ed invero la buona fede correttiva, che in via puramente teorica appare nettamente distinguibile da quella integrativa, in realtà non si dimostra tale allorchè si considerino i due concetti in una logica applicativa.

Identificare la buona fede quale parametro di valutazione della condotta delle parti in executivis si traduce inevitabilmente nell’individuazione da parte del giudice di obblighi di comportamento ulteriori rispetto a quelli di fonte negoziale. In altri termini, considerare la buona fede come fondamento di una valutazione della condotta delle parti, ultronea rispetto a quella relativa all’osservanza dell’accordo contrattuale, significa presupporre che, accanto alle clausole contrattuali, vi siano regole ulteriori cui le parti debbono conformarsi, giacché, a ben vedere, non è concepibile una valutazione che non rimandi, quale parametro di giudizio, ad una regola, per quanto non esplicitata45.

Se solo si riflette su questo profilo, si coglie allora la sostanziale convergenza tra le due concezioni della buona fede le cui differenze, quanto al modus operandi del canone di correttezza, tendono dunque ad elidersi fino a scomparire. Ciò che, semmai, continua a distinguere le due impostazioni è il diverso punto di vista assunto: da un canto, infatti, quanti propendono per l’attribuzione alla buona fede di una funzione integrativa, ne considerano eminentemente l’incidenza sulla struttura genetica del rapporto obbligatorio, vale a dire nel momento in cui esso sorge; dall’altro, i fautori della tesi

                                                                                                               

45 C.RESTIVO, Contributo ad una teoria dell’abuso del diritto, cit., p. 151.

correttiva focalizzano piuttosto l’attenzione sulla fase di attuazione dell’obbligazione46.

In entrambi i casi, tuttavia, per tutto quanto detto, la buona fede si risolve nell’individuazione di regole da parte del giudice. Sicché, l’eventuale statuizione in merito all’assunzione di una condotta ad essa contraria si traduce, al pari di quanto già dimostrato con riferimento alla concezione integrativa, in una violazione di diritto e non, invece, in un abuso del medesimo.

3.3. Segue. La buona fede solo eccezionalmente è criterio di governo