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Il diritto naturale dei moderni

Dalla lettura della seconda parte di Natural Right and History emerge come le costituzioni moderne siano per Strauss il derivato della parabola del diritto naturale che l’autore ha presentato e percorso nel volume: da quello antico a quello moderno, sino al relativismo del Novecento.

7 L. Strauss, What is Political Philosophy?, The University of Chicago Press, Chicago, 1988, p. 10.

Il diritto naturale è, per Strauss e per i suoi allievi, prima di tutto, la convinzione nella possibilità di stabilire dei criteri universali di giusto e ingiusto, lo studio dei principi primi ed eterni e quindi qualcosa che si discosta decisamente sia dal relativismo sia dal senso della tradizione di una cultura. Secondo le parole di Strauss:

Esiste una differenza di principio tra la concezione moderna e quella tradizionale della legge naturale. La tradizionale legge naturale è prima di tutto e soprattutto una norma e una misura oggettiva, un ordine vincolante che viene prima ed è indipendente dalla volontà umana, mentre la moderna legge naturale è, o ten-de a essere, prima di tutto e soprattutto una serie di diritti, di rivendicazioni soggettive, che hanno origine nella volontà umana.8

La varietà delle opinioni su cosa è giusto, insegna Strauss, non significa ancora la sua inesistenza, bensì una varietà di errori sulla verità. Nel diritto naturale classico, quello iniziato da Socrate, tutto ciò trova la sua essenza nell’idea del bene e del tendere naturale dell’uomo al proprio per-fezionamento in quanto uomo. Il diritto naturale classico è quindi quello che opera in vista del perfezionamento e della vita buona dell’uomo, dove per buono si intende un bene metafisico. La natura è l’ordine imperituro dell’essere. L’uomo è per natura un essere sociale e si perfeziona solo in società. Gli uomini non sono per natura uguali, nel senso che non tutti hanno la stessa capacità di tendere al bene. Il miglior regime è quello al-l’interno delle cui istituzioni governano gli uomini buoni, un’aristocrazia della sapienza e della virtù, che difficilmente potrà essere sostenuta dal

8L. Strauss, La filosofia politica di Hobbes, in Che cos’è la filosofia politica?, trad. it., ed.Argalia, Urbino, 1977, p. 120.

consenso dei meno sapienti. La politica pratica si pone così il problema di conciliare sapienza ed esigenza del consenso, ma “per il diritto naturale classico è la sapienza che prevale”,9 anche se la realtà dei governi mostra la necesità di conciliare le due tendenze.

Secondo Strauss, durante la modernità il diritto naturale ha conosciu-to un graduale quanconosciu-to inesorabile declino secondo tre successive “ondate di modernità”.10 Dopo l’inaugurazione cinquecentesca tramite il pensie-ro di Niccolò Machiavelli, fu nel Seicento che per Strauss tpensie-rovò il suo sviluppo una nuova forma di diritto naturale, quella moderna, il diritto naturale di cui John Locke fu “il più influente maestro”, insieme a Hobbes il responsabile della rottura con la tradizione classica.11 Nel filosofo bri-tannico il diritto naturale è tale in quanto fondato sulla natura dell’uomo intesa nel senso delle capacità fisiche umane, la capacità di ragionamento e le passioni. Tra di esse, il motore che darebbe benzina al meccanismo creando lo stato moderno sarebbe la paura, ovvero sia l’istinto di auto-conservazione, un impulso proveniente dal basso. Non vi è più spazio nel diritto naturale moderno per la ricerca del bene ultimo o di un fine superiore. I doveri di perfezionamento dell’uomo cedono alla potenza dei diritti individuali.

L’interpretazione straussiana di Locke gioca un ruolo primario nel dibattito fra i suoi allievi a proposito delle origini culturali della nascita degli Stati Uniti d’America. Si è già notato come differentemente da altri straussiani per Thomas L. Pangle gli Stati Uniti siano il frutto moderno

9 Ibidem, p. 131 e segg. La citazione è a p. 153.

10 L. Strauss, Three Waves of Modernity, Detroit, 1989.

della dottrina politica di Locke.

Un primo elemento nell’analisi straussiana di Locke consiste nell’af-fermare che, anche senza stabilire l’uguaglianza di diritto tra gli uomini, poiché la libertà consiste nella tutela del diritto all’autoconservazione co-me inalienabile diritto di natura, la schiavitù è contro la legge naturale; solo il consenso conferirebbe legittimità a qualsiasi potere di un uomo su un altro. Elementi rivoluzionari del pensiero lockiano appaiono, come per Pangle, anche per Strauss la netta affermazione del diritto del popolo alla resistenza e l’accento sul diritto di proprietà:

La dottrina lockiana della proprietà e, con essa, tutto il suo pensiero politico sono rivoluzionari non solo rispetto alla tradizione biblica, ma ugualmente rispetto a quella filosofica. Attraverso lo spostarsi dell’accento dai doveri e dalle obbligazioni naturali ai diritti di natura, l’individuo, l’ego, era divenuto il centro e la fonte del mondo etico, poiché l’uomo – come distinto dal suo fine – era divenuto ormai quel centro e quella fonte. [. . . ]

Locke identifica la vita razionale con la vita dominata dal dolo-re che libera dal dolodolo-re. Il lavoro pdolo-rende il posto dell’arte imitatrice della natura. [. . . ] Il cammino verso la felicità è un allontanarsi dallo stato di natura, cioè dalla natura: la negazione della natura è la via della felicità.12

Nella prospettiva di Leo Strauss, prima con Hobbes e poi con Locke, la fondazione del diritto naturale sulle passioni, specie sull’istinto di autoconservazione, apre lo spazio per la crisi del diritto naturale antico.

Nella lettura di Strauss, la crisi del diritto naturale sarà acuita nella cosiddetta “seconda ondata di modernità” da pensatori come Rousseau:

il filosofo di Ginevra, infatti, riduce la legislazione ad un atto di volontà. In Burke, il diritto naturale come criterio per la valutazione del miglior regime cede per Strauss lo spazio all’esperienza accumulata in generazioni di applicazioni di una costituzione, che nel conservatorismo tradizionale diventa il principale modo per valutare la bontà di un regime politico-istituzionale.13 Inizia a diffondersi lo storicismo. Assieme a ciò, anche la tesi di Max Weber che tende a scorporare dalla scienza sociale i giudizi di valore, per Strauss, “conduce di necessità al nichilismo, ossia alla veduta che ogni preferenza, per malvagia o pazza che sia [. . . ] ha i suoi titoli di legittimità alla pari di ogni altra”, “accompagnando questo processo fino alle ultime concezioni, inevitabilmente giungeremo a un punto, oltre il quale la scena è oscurata dall’ombra di Hitler”14. Il nichilismo, dun-que, rappresenta la terza fase, la “terza ondata”, di modernità. In sede filosofica esso viene proposto soprattutto in Germania da autori come Nietzsche e Heidegger.

È per evitare il tracollo nella follia della tirannide totalitaria che, per la scuola di Strauss, va mantenuta viva la tradizione del diritto naturale. Il senso della crisi dell’Occidente sotteso alle pagine di Natural Right and History e insito nel pericolo dell’oblio del diritto naturale è sostanzial-mente il medesimo di Harry Jaffa, di Thomas Pangle e di Allan Bloom, sebbene tale sentimento di crisi appaia più evidentemente negli scritti di Jaffa e di Bloom. Si potrebbe forse affermare che nell’esperienza degli

13 Nel contesto del pensiero politico americano, il conservatorimo tradizionale a cui Strauss non riconosce gran valore in quanto lo considera alla stregua di una forma di storicismo è rappresentato per esempio da Russel Kirk; si veda R. Kirk, The conservative Mind, ed. Chicago, 1986.

straussiani la crisi stava procedendo così velocemente e gravemente da ri-chiedere loro, filosofi, un più attivo impegno anche nell’agone dell’azione politica. Tuttavia, stante il quadro qui tratteggiato sull’evoluzione del di-ritto naturale nel senso di una grave crisi di significato, per comprendere pienamente la riflessione filosofico-politica straussiana, è necessario ana-lizzare più da vicino il giudizio di Strauss (e fondamentalmente dei suoi studenti più noti) sull’assetto costituzionale degli Stati Uniti d’America.