Abbiamo osservato come per Harry V. Jaffa il punto di vista sulla filo-sofia politica e segnatamente sulla storia della fondazione americana sia essenzialmente di tipo aristotelico; abbiamo potuto scorgere tra le sue righe la grande ammirazione di Jaffa per la Politica scritta dallo Stagiri-ta. Diversamente, abbiamo notato che per Thomas L. Pangle lo spirito della rivoluzione americana, una rivoluzione politica ma anche una rivo-luzione nella storia della filosofia politica, sarebbe di stampo decisamente contrattualista e lockiano. Già qui si constata come, pur rimanendo en-trambi nel solco della lezione straussiana di Natural right and History e
pur essendo entrambi interessati all’analisi del Founding americano nel-la prospettiva del diritto naturale, i percorsi dei due allievi di Strauss abbiamo intrapreso vie differenti: una aristotelica, l’altra moderna.
Tale differenza di approcci si esprime nelle due forme di giusnaturali-smo, quello antico o classico e quello moderno: il primo, fondato sull’idea di una norma obiettiva e di un ordine vincolante dell’essere, il secondo basato sul primato dei diritti soggettivi, alla vita, uguaglianza, libertà e ricerca della felicità. Se per Jaffa Lincoln è la dimostrazione di come la cultura politica americana abbia fatto propri dei precisi valori morali da realizzare, per Pangle la teoria lockiana – per lui alla base del repubbli-canesimo americano – contrasta nettamente con l’impianto aristotelico, secondo il quale il legislatore mira a realizzare la pienezza degli esseri umani attraverso la promozione di uno “specific way of life”, mentre “in Locke’s scheme there is no basis for supposing that human nature re-quires or inclines toward a government that defines for its subjects their happiness, virtue, or salvation”.130 Ciò più ancora che nei Due Trattati sul Governo risulta particolarmente evidente nella Lettera sulla Tolle-ranza. Con Pangle concorda anche il giurista straussiano Walter Berns, per il quale il padre del costituzionalismo americano deve essere ricono-sciuto in John Locke, ideatore dei natural rights moderni, da distinguere dall’ordine del natural law.131
Sotto altre vesti, la medesima polemica è esplicitata in uno scambio
130 T. Pangle, op. cit., pp. 252-253.
131 Walter Berns, nato nel 1919, è un costituzionalista. Ha insegnato alla Cor-nell University e a Toronto; membro di spicco dell’American Enterprise Institute, ha ricoperto vari uffici di consulenza a Washington, come ad esempio presso l’istituto dell’educazione e la biblioteca del Congresso.
di articoli apparsi su Claremont Review of Books del 1984-1985. Questa volta, i due, Pangle e Jaffa, si contendono l’autentica eredità di Leo Strauss. Ha scritto Jaffa, inauguratore di tale discussione:
According to Pangle then, man is by nature radically hedoni-stic, egocentric, and a-social. But according to the account for which, near the end of his life, Strauss declared himself still to have an unshaken preference (in the September 1970 Preface to the reprinting Natural Right and History) man is by nature so-cial. And by reason of his social nature, he is bound to distinguish between the pleasant and the good. [. . . ]
Pangle’s account of the noble and just things is, however, nothing but an account of the high in the light of the low.132
Lo Strauss interpretato da Jaffa è fortemente avversario della modernità: secondo Harry Jaffa, anche Thomas Pangle parteciperebbe dell’indirizzo filosofico contemporaneo, il quale, avendo la propria base nel pensiero moderno, finirebbe con lo scivolare inevitabilmente nel relativismo tra-dendo la vera natura del diritto naturale. Afferma Jaffa: “seeing the low in the light of the high. Such understanding is the legacy of Leo Strauss”.133
Pangle, in un articolo sulla medesima rivista, accusa Jaffa di averlo frainteso grossolanamente e di aver distorto il suo pensiero. In realtà, Pangle si concentra a spiegare la sua idea su un aspetto specifico della
132 H. V. Jaffa, The legacy of Leo Strauss, in Claremont Review of Books, III, 1984, n. 3.
133 Ibidem. L’espressione si ravvisa in Strauss in Liberalsimo antico e moderno, trad. it., Giuffré, Milano, 1973, p. 278: “È più prudente cercare di comprendere il basso alla luce dell’alto che l’alto alla luce del basso”.
polemica (la relazione tra ragione e rivelazione biblica e il ruolo della filosofia politica) senza rispondere direttamente alle accuse generali di Jaffa.
Da questa ricognizione si evince che dal comune maestro gli straussia-ni hanno appreso delle comustraussia-ni noziostraussia-ni sul diritto naturale e sull’approccio analitico ai testi filosofici, ma i loro esiti filosofico-politici in alcuni casi si differenziano piuttosto chiaramente. Per altro, tale diversità di punti di vista ben si accorda con la più discussa ambiguità della riflessione di Leo Strauss: da un lato, la ciritica alla modernità, dall’altro, l’apprezzamen-to per il modello americano. Secondo la tesi dei due allievi straussiani Catherine e Micheal Zuckert ciò deriverebbe da un sostanziale riconosci-mento della modernità dell’America da parte di Strauss, temperato però dal confronto con gli altri modelli politici moderni e dall’essere gli Stati Uniti “not wholly or uniformly modern”.134 Su tale tema si tornerà nel quarto capitolo.
Queste prime indicazioni sulle divergenze interpretative fra due dei più autorevoli allievi di Strauss già indicano che degli “straussiani” non ha senso parlare come di una setta o un gruppo omogeneo.