V. SOCIETA’ IN HOUSE E SOCIETA’ MISTE NEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI
5.2. La disciplina: il criterio di riparto delle competenze tra Stato e Regioni
Per ricostruire il criterio di riparto delle competenze tra Stato e Regioni,
292
Corte giu., 22 gennaio 2002, Inail, in causa C-218/00, nonché 21settembre 1999, Albany, in causa C-67/96.
293 È un’eventualità ben presente nei documenti comunitari in materia: cfr. Commissione, Libro verde
sui servizi di interesse generale, COM (2003) 270 del 21 maggio 2003, punto 44.
294
Cfr. V. Molaschi, La gestione dei servizi pubblici locali «privi di rilevanza economica»: prospettive
e problemi in materia di servizi sociali a seguito di Corte cost. n. 272 del 2004, in Foro it., 2005, I,
occorre prendere in considerazione l’art. 117 della Costituzione, secondo la lettura che ne ha fatto la Corte Costituzionale in seguito alla riforma di cui alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
Tra le materie attribuite alla potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni sono previsti i “porti e aeroporti civili”, le “grandi reti di trasporto e di navigazione”, “l’ordinamento della comunicazione” e la “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia elettrica” 295.
Alla luce dell’art. 117, comma 3, della Costituzione, la disciplina delle infrastrutture e dei grandi servizi a rete è riservata allo Stato per quanto attiene ai principi fondamentali, mentre alle Regioni è rimessa l’attuazione delle scelte nazionali, attraverso una legislazione di dettaglio e l’eventuale emanazione dei regolamenti attuativi, che nelle materie di legislazione concorrente non possono più essere adottati dallo Stato.
In particolare, la Corte ha statuito che, soprattutto nella fase di transizione dal vecchio al nuovo sistema di riparto delle competenze, la legislazione regionale concorrente è tenuta a “svolgersi nel rispetto dei principi fondamentali comunque risultanti dalla legislazione statale già in vigore” 296. Tale soluzione è stata, infine, accolta, dal legislatore ordinario all’art. 1, comma 3, della legge 5 giugno 2003, n. 131, di attuazione del Titolo V (cosiddetta legge “La Loggia”).
L’art. 117 della Costituzione non individua invece i servizi pubblici locali come materia da attribuire alla legislazione esclusiva dello Stato, né da assegnare alla legislazione concorrente. Per tale motivo la Corte Costituzionale è stata chiamata a definire in questo ambito i limiti e i rispettivi confini tra potestà legislativa Statale e regionale.
Con la sentenza n. 272 del 27 luglio 2004, originata da una questione di legittimità costituzionale relativa alla disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, la Corte ha collocato i servizi pubblici locali nel quadro delle competenze legislative fissato dall’art. 117 definendo i confini tra potestà legislativa statale e regionale nella relativa materia. La Corte, nel caso di specie, ha sostanzialmente confermato l’impostazione della citata pronuncia n. 14 del 13 gennaio 2004 per poi
295 Si tratta di quelle che gli economisti chiamano “network industries” a sottolineare la presenza
dell’elemento comune e tipizzante costituito dalla rete, il “network”.
296 Così nelle sentenze della Corte costituzionale n. 282 del 26 giugno 2002 e, n. 120 del 25 marzo
chiarire ulteriormente i contenuti delle competenze statali al riguardo.
La sentenza non ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale relativa all’articolo 113 del d.lgs. 267/2000, se non nei riguardi del suo comma 7.
Secondo la Corte la disciplina censurata non è riferibile né alla competenza legislativa statale in tema di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” (art. 117, comma 2, lett. m), della Costituzione), poiché riguarderebbe “servizi di rilevanza economica” e comunque non atterrebbe “alla determinazione di livelli essenziali”. Non rientrerebbe neppure nell’ambito delle “funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane” (art. 117, comma 2, lett. p), della Costituzione) poiché la “gestione di detti servizi non può certo considerarsi esplicazione di una funzione propria e indefettibile dell’ente locale”. Tale disciplina “può essere agevolmente ricondotta nell’ambito della materia “tutela della concorrenza”, riservata dall’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, alla competenza legislativa esclusiva dello Stato”.
La Corte, come in parte anticipato, ha però stabilito che tale riconduzione vale solo per i servizi cosiddetti “a rilevanza economica”, mentre per quelli privi di tale rilevanza il titolo di legittimazione costituito dalla “tutela della concorrenza” non è applicabile proprio perché in riferimento ad essi non esiste un mercato concorrenziale.
Già in passato, la Corte ha affermato che “la tutela della concorrenza”, come d’altronde “la tutela dell’ambiente” o “la determinazione dei livelli essenziali”, assume una portata trasversale: essa, infatti, non individua una materia in senso proprio, imponendo piuttosto la promozione di un fine e la cura di un valore che ha ricadute trasversali anche in materie attribuite alle Regioni a titolo di competenza legislativa concorrente o esclusiva.
Ciò vale soprattutto per la materia dei servizi pubblici, rispetto ai quali la tutela della concorrenza spiega efficacia sia nei confronti dello Stato, sia nei confronti delle Regioni e degli enti locali.
Sul punto la Corte costituzionale si era già espressa osservando che la nozione adottata nel diritto interno riflette quella operante in ambito comunitario. Pertanto, essa non si esaurisce negli interventi propriamente antitrust, che si traducono perlopiù nel divieto di condotte anticoncorrenziali (intese, concentrazioni e abusi di posizione dominante), ma abbraccia anche le misure di regolazione e la disciplina degli aiuti, nella misura in cui questa sia volta a promuovere un mercato aperto e in libera
concorrenza297.
Nella sentenza n. 272 del 27 luglio 2004, la Corte ha respinto la tesi della Regione ricorrente298 e ha affermato di non poter accogliere la “distinzione di competenze legislative tra Stato e Regioni in ordine rispettivamente a misure di “tutela” o a misure di “promozione” della concorrenza”, poiché “la tutela della concorrenza riguarda nel loro complesso i rapporti concorrenziali sul mercato e non esclude perciò anche interventi promozionali dello Stato”.
La Corte ha precisato che, “l’indicato titolo di legittimazione statale è riferibile solo alle disposizioni di carattere generale che disciplinano le modalità di gestione e l’affidamento dei servizi pubblici locali “di rilevanza economica” e dall’altro lato che solo le predette disposizioni non possono essere derogate da norme regionali”.
Inoltre, richiamata la sentenza n. 14/2004 laddove ha stabilito che i “vari strumenti di intervento siano disposti in una relazione ragionevole e proporzionata rispetto agli obiettivi attesi”, la sentenza n. 272/2004 riconosce il criterio di “proporzionalità” e “adeguatezza” come “essenziale per definire l'ambito di operatività della competenza legislativa statale attinente alla “tutela della concorrenza” e conseguentemente la legittimità dei relativi interventi statali”299.
In un'altra decisione300, la Corte ha affrontato il rapporto tra le competenza generale dello Stato e quella residuale delle regioni in una fattispecie non regolata da una norma statale. La Corte ha affermato che “versandosi pur sempre in materia riservata alla competenza residuale delle Regioni, nel silenzio della legislazione statale al riguardo, può ritenersi ammissibile che queste ultime, esercitando la loro discrezionalità legislativa, integrino la disciplina dettata dallo Stato”. Il caso riguardava una norma regionale secondo cui le società a capitale interamente pubblico, alle quali sia stata conferita dagli enti locali la proprietà di reti, impianti e dotazioni patrimoniali, destinati all'esercizio dei servizi pubblici, non possono partecipare alle gare ad evidenza pubblica indette per la scelta del soggetto gestore del
297
Corte costituzionale, 13 gennaio 2004, n. 14.
298 La Regione Toscana, nel ricorso distingueva tra “tutela” (di competenza statale) e “promozione” della concorrenza (spettante invece alle regioni nel concreto svolgersi dei servizi pubblici locali)
299 Nel caso di specie, dunque, ha ricevuto l’avallo del Giudice delle leggi una disciplina delle modalità di organizzazione dei servizi pubblici locali che mira a conservare pressoché intatta la posizione dominante che l’ente locale attualmente ricopre.
servizio o del socio privato delle società a capitale misto pubblico/privato. La Corte, al riguardo, ha evidenziato che la scelta della regione non solo non era in contrasto con specifiche disposizioni nazionale ma era stata altresì “coerente con il principio d'ordine generale, pure se derogabile, che postula la separazione tra soggetti proprietari delle reti e soggetti erogatori del servizio”.
Nell’ambito dei servizi pubblici locali di rilevanza economica il rispetto dei principi posti dalla legge statale per la salvaguardia della concorrenzialità del mercato costituisce dunque un limite alla potestà legislativa regionale residuale, cui deve aggiungersi, in ossequio all’ art. 117, 1° comma, della Costituzione, la conformità alla disciplina comunitaria dei servizi di interesse economico generale.
Tali limiti, invece, non possono essere opposti alle Regioni nella disciplina dei servizi pubblici privi di rilevanza economica. Rispetto a tale tipologia di servizi, infatti, la Corte ha in precedenza sostenuto la non applicabilità del “titolo di legittimazione per gli interventi del legislatore statale costituito dalla tutela della concorrenza [poiché] in riferimento ad essi non esiste un mercato concorrenziale” sicché deve essere riconosciuto un congruo “spazio per una specifica ed adeguata disciplina di fonte regionale e anche locale” (di qui l’incostituzionalità conseguenziale dell’art. 113-bis). Altrettanto deve dirsi per la disciplina comunitaria, stante la rilevanza che in essa assume il carattere economico dell’attività. In questo settore non può però ritenersi esclusa una più incisiva incidenza della competenza esclusiva statale in materia di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, di cui all’art. 117, 2° comma, lett. m) (come invece è accaduto con riguardo alla questione oggetto della sentenza n. 272 relativa ai servizi dotati di rilevanza economica).
Le argomentazioni utilizzate dalla Corte costituzionale con riferimento ai servizi pubblici a rilevanza economica, giustificano, con le cautele di cui si è detto (v. supra supra 5.1.), un differente assetto normativo per i servizi privi di rilievo economico, per i quali non sussistono ragioni di tutela della concorrenza. In relazione a questo tipo di servizi, alla luce del Titolo V della Costituzione novellato, la disciplina regionale e locale acquista maggiori spazi anche in ossequio ai principi di sussidiarietà verticale e orizzontale.
pubblici che può assumere vesti flessibili e articolate in grado di bilanciare i principi della concorrenza con le esigenze sociali e di interesse generale.
Con specifico riferimento al settore dei servizi pubblici locali, allo Stato dovrebbe spettare la definizione delle condizioni generali di concorrenza da garantire in modo uniforme, nonché degli standard qualitativi e quantitativi delle prestazioni da assicurare su tutto il territorio nazionale; alle Regioni, invece, spetterà la disciplina dei singoli settori attribuiti alla propria competenza, con l’introduzione di quei margini di flessibilità in ordine alla scelta degli strumenti in grado di superare le asimmetrie del mercato interessato.
Le Regioni dispongono di una competenza legislativa esclusiva-residuale sia nei servizi pubblici privi di rilevanza economica che in quelli di rilevanza economica limitatamente, in quest’ultimo caso, alla disciplina dei criteri di aggiudicazione delle gare e a quelli di scelta del socio privato nelle società a capitale misto. Ad ogni modo, in base al principio di autonomia organizzativa, la scelta in concreto del modulo organizzativo del servizio spetta all’ente territoriale titolare del servizio che, nel rispetto dei principi generali fissati con norme di principio di fonte statale, potrà con normativa di dettaglio disporre l’affidamento della gestione di servizi pubblici locali a rilevanza economica, mediante procedura ad evidenza pubblica.
Sia a livello comunitario che in ambito nazionale, è lasciata agli enti territoriali competenti la scelta sul concreto modulo gestionale con cui affidare il servizio. Inoltre, è opportuno sottolineare che, mentre l’affidamento diretto del servizio costituisce eccezione al principio generale di espletamento della gara per l’affidamento del servizio, l’utilizzo della procedura ad evidenza pubblica rappresenta la regola.
Tali conclusioni sono state confermate, come si vedrà, con la pronuncia della Corte costituzionale n. 325/2010 sulla legittimità costituzionale dell'art. 23-bis d.l. n. 112/2008 (v. infra 5.6).