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La questione delle società ad oggetto misto

III. LIMITI ALLA COSTITUZIONE E ALL’ATTIVITÀ

3.3. La questione delle società ad oggetto misto

Una questione particolare ha riguardato in passato le società ad oggetto misto, cioè quelle che al contempo hanno come oggetto lo svolgimento di servizi ed attività strumentali e la gestione di servizi pubblici locali.

Sul punto è intervenuto il TAR Sardegna, rammentando che in base al secondo

148 Si veda, in particolare, la Comunicazione della Commissione europea sui partenariati

pubblico-privati e sul diritto comunitario in materia di appalti pubblici e concessioni (Bruxelles, 15 novembre 2005) e, prima ancora, il Libro verde della Commissione relativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni (documento COM (2004) 327 del 30 aprile 2004).

comma dell’art. 13, le società strumentali devono avere oggetto esclusivo.

Secondo il tribunale amministrativo, peraltro, l’obbligo dell’oggetto sociale esclusivo si estende anche alle società di gestione dei servizi pubblici locali: “se, infatti, sono assoggettate a tale prescrizione ... le società che svolgono (attività di produzione di beni e servizi strumentali, le quali pertanto non possono comprendere nel loro oggetto sociale lo svolgimento di servizi pubblici locali, ne deriva come conseguenza che anche le società miste, le quali intendano dedicarsi alla gestione di questi ultimi, devono prevedere quale loro oggetto esclusivo la gestione dei servizi pubblici locali”150.

Quindi l’obbligo per le società strumentali di avere un oggetto esclusivo, comporta, in forza del principio della proprietà transitiva, che le società di gestione dei servizi pubblici locali non possano avere come oggetto anche attività di produzione di beni e servizi strumentali: secondo il TAR sardo anche queste debbono essere ad oggetto esclusivo.

A tal fine, il medesimo TAR, a sostegno della propria tesi, invoca il principio pro-concorrenziale sotteso alla norma in esame, evidenziando come il divieto dell’oggetto misto deriva dal fatto “della presenza di soggetti pubblici nella struttura della partecipazione societaria ... in grado di provocare quelle “alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di (alterare) la parità degli operatori”, che le norme di cui all’art. 13, commi 1 e 2, cit. intendano evitare”.

Tale soluzione, è stata criticata in dottrina151 conducendo a conseguenze sproporzionate rispetto al fine da perseguire ossia la tutela della concorrenza e, comunque, sarebbe una conclusione non conforme all’art. 97 Cost.. Sul punto, peraltro, un parere della Corte dei Conti, seppur espresso per altri fini, ha segnalato i problemi delle norme che impongono l’obbligo di un oggetto sociale esclusivo.

Il giudice contabile, in una situazione in cui vi era un obbligo normativo di costituire una società di gestione farmaceutica ad oggetto sociale esclusivo, ha evidenziato come detta prescrizione possa essere superata “al fine di salvaguardare i costi pubblici e di limitare il proliferare di nuove ed onerose società”, tramite il conferimento dei vari servizi in un’unica partecipata “mantenendo ben distinte le

150

T.A.R. Sardegna, sez. I, 11 luglio 2008, n. 1371.

151 v. A.BARTOLINI, Società di gestione dei servizi pubblici locali tra art. 13 del “decreto Bersani”ed

rispettive contabilità”152.

L’orientamento della Corte dei conti rappresenta uno sforzo interpretativo volto ad evitare inutili duplicazioni e, quindi, sprechi delle risorse pubbliche, ferma restando la necessità di osservare le discipline comunitarie ed interne in materia di concorrenza per il mercato.

La sentenza del Tar Sardegna n. 1371/2008 è stata riformata dal Consiglio di Stato in sede di appello153. Secondo il Consiglio di Stato la norma dettata dall'art. 13, comma 1, ha carattere eccezionale e deve essere interpretata in stretta aderenza al suo dato letterale e senza possibilità alcuna di applicazione oltre i casi in essa previsti. La disposizione esclude espressamente dal proprio ambito di applicazione il settore dei servizi pubblici locali e pertanto deve essere applicata esclusivamente alle “società costituite o partecipate dalle amministrazioni ... locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti, in funzione della loro attività”.

Contrariamente all’assunto del primo giudice, rileva il Consiglio di Stato che le società che svolgono servizi pubblici locali, partecipate integralmente o in parte dagli enti locali per altri fini, non devono avere un "oggetto sociale esclusivo" e non sono soggette alle limitazioni imposte dall'art. 13 per sua espressa previsione; pertanto non era consentita alcuna differente interpretazione.

Ed invero, continua il Consiglio di Stato, l'assimilazione fatta dalla sentenza tra le società “strumentali” e quelle miste non troverebbe riscontro nelle norme vigenti.

Le società “strumentali” costituirebbero una “longa manus” delle Amministrazioni, tant'è che l'affidamento delle attività "strumentali" avviene in via diretta (ovvero secondo il c.d. "in house providing"). Le società "strumentali" quindi operano in deroga ai principi di concorrenza, non discriminazione e trasparenza (tutti costituenti canoni fondamentali del Trattato istitutivo della Comunità europea) e l'affidamento diretto è stato ritenuto ammissibile solo nel rispetto di alcune condizioni, individuate dalla giurisprudenza comunitaria ed elaborate anche da quella nazionale.

Le società miste per la gestione di servizi pubblici locali, invece, sarebbero un soggetto imprenditoriale di diritto privato, operante sul mercato in regime di

152 Corte Conti, sez. Controllo, Lombardia, parere 13 novembre 2008, n. 85

concorrenza.

Il Consiglio di Stato ricorda che il Trattato di Roma (art. 86) e la direttiva Cee 92/50 art. 1, lett. c), prevedono che le società pubbliche possano agire in regime di parità di trattamento con le imprese private e che tra i prestatori di servizi sono inclusi i soggetti pubblici che forniscono servizi; con il che è esclusa ogni limitazione alla facoltà dei soggetti pubblici fornitori di servizi di partecipare alle gare pubbliche154.

La totale diversità delle attività svolte dalle predette società escluderebbe che, come affermato dal TAR Sardegna, esse debbano avere un "oggetto sociale esclusivo". Se questo appare giustificato – secondo il Consiglio di Stato - per le società "strumentali", non altrettanto avviene per le società miste che, oltre ai pubblici servizi, possono svolgere altre attività imprenditoriali, sia pure con limitazioni volte a non snaturarne il loro ruolo istituzionale.

In conclusione, l’interpretazione data dal giudice di primo grado alle disposizioni dettate dai comma 1 e 2 dell'art. 13 del decreto Bersani non troverebbe riscontro né nella lettera della norma, né in norme comunitarie e statali che regolano i contratti pubblici e disciplinano la concorrenza ed il mercato.

Le conclusioni del Consiglio di Stato hanno ad oggetto una pronuncia (quella del Tar Sardegna) che, a sua volta, è maturata rispetto ad un contesto normativo antecedente alla riforma dei servizi pubblici locali.

Oggi l’art. 23-bis (v. più specificamente Capitolo V) sembra prefigurare un modello di società mista con oggetto esclusivo e con gli stessi divieti all’attività extra moenia previsti per la società in house. Le ragioni di siffatti divieti non sarebbero da individuare nella tutela della concorrenza quanto nella peculiarità del modello creato dal legislatore italiano. La questione rimane aperta visto che una parte del giurisprudenza (TAR Calabria n. 561/2010) sembra superare il dato testuale per garantire una maggiore libertà alla società mista. Certo è che se la volontà del legislatore dovesse essere intesa per quella che è, la possibilità di società ad oggetto misto sarebbe preclusa proprio come aveva affermato il Tar Sardegna nella sentenza n. 1371/2008 riformata in sede di appello dal Consiglio di Stato.

3.4. I divieti legali alla costituzione di società a partecipazione pubblica