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CAPITOLO 4: Epidemiologia di HEV

4.1 PRESENZA DI HEV IN SUINI AL MACELLO IN ITALIA

4.1.4 DISCUSSIONE

Il presente studio è stato pianificato per approfondire le osservazioni emerse da precedenti studi in Italia, che dimostravano un’elevata circolazione di HEV in animali clinicamente sani in allevamento (Caprioli et al., 2007; Di Bartolo et al., 2008). E’ stata quindi valutata la presenza del virus HEV in animali in fase di macellazione, o nella fase immediatamente precedente alla commercializzazione dei prodotti carnei di origine animale. In questo lavoro, il 64,6% (31 di 48 suini esaminati) sono risultati positivi per la presenza del genoma di HEV mediante nested RT- PCR, con alcune differenze in base all’età dei soggetti: nei suini giovani (3-4 mesi d’età), la prevalenza era del 95% (19 di 20), mentre negli adulti (9-10 mesi di età) la prevalenza era più bassa,

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pari al 42,9% (12/28). E’ stato recentemente riportato che in molti paesi Europei, compresa l’Italia (Di Bartolo et al., 2008), animali positivi per HEV sono stati riscontrati in tutte le fasce d’età (Fernandez-Barredo et al. 2006; de Deus et al., 2007; Leblanc et al., 2007; McCreary et al., 2008; Breum et al., 2010). La prevalenza di HEV più elevata dimostrata negli animali giovani rispetto agli adulti è in linea con l’ipotesi che, come accade per altre malattie infettive, gli animali giovani siano più recettivi. Ciò potrebbe essere dovuto ad una immunità passiva di origine materna non completamente o non più protettiva oppure a successive reinfezioni (Fernandez-Barredo et al., 2006). Uno dei risultati più significativi di questo studio è la simultanea identificazione del genoma virale in tessuto (fegato) e escreti (bile e feci) dallo stesso suino. I risultati ottenuti confermano che la bile era il campione più di frequente riscontrato positivo (23/45), seguita da campioni fecali (16/48) e fegato (10/48).

Halbur e colleghi hanno dimostrato che l’RNA di HEV è presente per periodi più lunghi e con frequenza più elevata nella bile rispetto a fegato, feci e siero (Halbur et al., 2001). Questo risultato suggerisce che, in sede di macellazione, la bile possa rappresentare un importante veicolo di trasmissione per il personale che lavora le carni di maiale, e un’importante fonte di cross- contaminazione. E’ da considerare tuttavia che la rottura accidentale della cistifellea in sede di macellazione è un evento non particolarmente frequente.

La prevalenza più bassa riscontrata nei campioni di fegato, rispetto a bile e feci, può essere spiegata ipotizzando che la distribuzione del virus si realizzi in modo differente e non omogeneo all’interno del fegato (infezione focale), e che probabilmente il campionamento non sia stato sempre rappresentativo dell’intero organo, soprattutto in considerazione della quantità modesta (250 mg) prevista al metodo di campionamento, a differenza di quanto avviene per le altre due matrici, bile e feci (Rutjes et al., 2009).

In questo studio, tutti gli animali apparivano clinicamente sani, in linea con i dati presenti in letteratura, i quali sostengono che l’infezione nel suino evolve in maniera asintomatica (Clemente- Casares et al., 2003; Banks et al., 2004a; Zheng et al., 2006; Fernandez-Barredo et a., 2006). L’apparente apatogenicità del virus non esclude, però, la possibilità di una sua evoluzione in forme più virulente, in grado di causare forme cliniche di malattia, in analogia con quanto è accaduto in passato per il PCV2 (Porcine Circo Virus 2) (de Deus et al., 2007; Martin et al., 2007).

La maggiore prevalenza del genotipo 3 di HEV rilevata in questo studio (64,4%) rispetto a quanto osservato precedentemente in Italia (5,8%, Caprioli et al., 2007; 42%, Di Bartolo et al., 2008; 7,3%, Di Martino et al., 2010; 29,9%, Martelli et al., 2010), può essere dovuta in parte al numero di campioni analizzati dallo stesso animale, che ha consentito di incrementare la sensibilità diagnostica

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per l’identificazione di RNA di HEV. La numerosità dei campioni ottenuti ed analizzati dal singolo soggetto potrebbe essere cruciale per l’efficienza della diagnosi molecolare (de Deus et al., 2007; Vasickova et al., 2009). Anche il metodo d’identificazione potrebbe essere cruciale. Infatti, i risultati confermano una differente sensibilità di diversi metodi, suggerendo che l’uso di più protocolli potrebbe aumentare la sensibilità diagnostica molecolare (Vasickova et al., 2009).

Come aiuto alla diagnosi per studi epidemiologici sulla prevalenza di HEV, diversi test immunologici sono stati sviluppati per la ricerca di anticorpi contro HEV. Tuttavia, l’utilizzo di peptidi dei genotipi 1 e 2 come antigeni è probabilmente più idoneo alla diagnosi sierologica nell’uomo che non nell’animale. Studi più recenti suggeriscono che antigene del genotipo 3 derivato da ceppi suini potrebbe essere un migliore candidato per analizzare i sieri di suino (Rose et al., 2010). Infatti, sebbene si consideri la presenza di un solo sierotipo di HEV (Lu et al., 2006), suggerita dalle differenze solo minime tra proteine ORF2 di origini umane e suine (Arankalle et al., 2007), non si può escludere il raggiungimento di una maggiore specificità e sensibilità dall’utilizzo di antigene di origine suina. Ad oggi, i test ELISA commerciali per sieri umani vengono comunemente utilizzati anche per esaminare sieri animali, previa sostituzione dell’anticorpo secondario anti-immunoglobuline con uno specifico per la specie animale in analisi. Con un simile approccio, sono stati investigati i sieri suini in questo studio.

La presenza di anticorpi diretti contro HEV è stata rilevata in 40 dei 46 sieri suini (87%) esaminati, risultando più alta in confronto alla presenza del genoma virale (64,4%). Questo essere può essere giustificato dalla presenza di anticorpi riconducibili a pregresse infezioni. Inoltre, la sieroprevalenza aumenta con l’età, passando da 78,9% nei suini di 3-4 mesi a 92,6% in suini di 9-10 mesi. Come descritto in altri lavori (de Deus et al., 2008; Seminati et al., 2008), la sieroprevalenza di Ig aumenta con la probabilità di contatto con il virus nel corso della vita dell’animale. In questo studio, le due differenti fasce d’età hanno mostrato una moderata differenza nella sieropositività, indicando che già nei suini d’età 3-4 mesi l’esposizione al virus è stata frequente, in linea con una larga circolazione dei HEV negli allevamenti.

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