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Quarantuno fogli del manoscritto N presentano delle figurazioni nei margini, accanto alle poesie a cui sono collegati. Essi danno vita a 29 scene nella sezione di Folquet de Marseilla, 7 in quella di Arnaut de Maroill, 2 per Richart de Berbezill, 14 per Guiraut de Borneill, 9 per Gausbert de Poicibot, 7 per Pons de Capdoill e infine 3 nella sezione di Raimon de Miraval. L’elenco evidenzia come la sezione del vescovo di Tolosa presenti la serie di gran lunga più numerosa di disegni marginali, l’unica per la quale possiamo effettivamente immaginare un percorso logico-narrativo coerente. Le raffigurazioni sono state poste dove lo spazio era maggiore: nei margini inferiori e in quelli esterni delle pagine, il destro nelle pagine recto, il sinistro per le pagine verso, mentre non compaiono mai raffigurazioni nei margini il cui spazio sarebbe servito per la rilegatura (sinistro per le pagine recto, destro per le pagine verso); l’andamento delle scene segue il testo a cui si riferiscono, sicché esse vanno lette sempre da sinistra verso destra e dall’alto verso il basso. Al fol. 60r, che presenta ben 4 scene marginali, il miniatore ha rispettato anche l’ordine delle colonne, ponendo la prima scena nel margine inferiore sotto la prima colonna, la seconda nell’angolo in alto a destra, poi la terza sotto questa e la quarta nuovamente nel margine inferiore, sotto la seconda colonna, evidentemente con l’intento di porre le immagini il più vicino possibile ai passi di riferimento; diversamente si è comportato al fol. 190r, in cui bisogna leggere prima le due scene nel margine inferiore, da sinistra verso destra, infine quella posta nell’angolo superiore destro. Se ne può dedurre che, a parte le costanti di cui sopra, il

Per l’analisi approfondita dei dati e dei documenti riguardanti la biografia di Folquet de Marseilla 166

miniatore abbia scelto eccezionalmente dove porre le sue immagini anche in base allo spazio che gli sarebbe servito per ciascuna scena167.

Il commento figurato è stato tracciato sulla pagina senza inquadrare le scene in una cornice. Questa caratteristica, tipica dell’uso romanico toscano, richiama da vicino la scelta decorativa di due Lezionari della Biblioteca del Seminario di Padova (mss. 541 e 545) (FIG. 37) , datati alla fine del XII secolo, nei quali pure alle iniziali decorate ed abitate si alternano scene narrative legate ai testi, tracciate e colorate direttamente sulla pergamena. Un piglio più vivace è quello che si ritrova nelle immagini dell’Opus poenitentiale di Pietro il Cantore (Venezia, Archivio di Stato, Scuola di Santa Maria della Valverde o della Misericordia, busta A) (FIG. 51) , assimilabili a quelle che ornano il manoscritto Saibante- Hamilton (Berlino, Staatsbibliothek, ms. Hamilton 390) (FIG. 52) per la fresca quotidianità ritratta; decisamente più tendente al gotico, datato nella seconda metà del XIII secolo, è il codice con la Vita Sancti Georgii et Sancte Margarite (Verona, Biblioteca Civica, ms. 1853), in cui il testo lascia largo spazio alla narrazione figurata, dai colori accesi e dai toni fortemente cortesi168 (FIG. 41). Un altro manoscritto, che presenta soltanto alcune scene incorniciate e che sembra essere accostabile al canzoniere N anche per il modo di costruire le figure marginali, è il codice AD III 48 della Biblioteca Nazionale Braidense, che contiene il Sermone di Pietro da Barsegapè (FIG. 42, 43): esattamente come nel bassorilievo di Wiligelmo sulla facciata del duomo di Modena, la prima miniatura, che possiamo definire introduttiva poiché ritrae Pietro che compone la sua opera davanti a un piccolo pubblico, è incorniciata da archetti pensili e da due mezze colonne alle estremità; le due scene seguenti, raffiguranti soggetti biblici, pur derivando la loro iconografia dallo stesso bassorilievo, sono dotate di una doppia cornice rettangolare. L’uso dell’inquadramento della scena, in questo manoscritto, è servito per differenziare una dimensione quotidiana, terrena che si svolge davanti a un motivo architettonico e nella quale il lettore poteva facilmente ritrovarsi, dalla dimensione del racconto biblico, collocato in una cornice che dà alla scena al suo interno un

Maria Luisa Meneghetti afferma riferendosi al manoscritto in esame: “La sequenza delle immagini procede 167

(come sempre, in questo codice, alle pagine recto) da sinistra a destra e dal basso in alto, concretizzando, in precisa successione, la serie delle metafore, o, più di rado, delle figure di pensiero, che ricorrono nel testo.” Aggiunge poi alla nota 31: “nelle pagine verso, invece, la decorazione regolarmente si svolge, con parziale specularità, da sinistra a destra ma dall’alto al basso, per cui l’aspetto complessivo della mise en page, a codice aperto, è quello di una sorta di glossa figurata continua, che però supporta il testo e non lo “imprigiona” in una cornice completa, com’è per contro tipico delle glosse canoniche”; Maria Luisa Meneghetti, “La tradizione della lirica provenzale ed europea” in Intorno al testo. Tipologie del corredo

esegetico e soluzioni editoriali. Atti del convegno, Urbino, 1-3 ottobre 2001. Roma: Salerno editrice (2003):

96.

Flores D’Arcais, La pittura nel Veneto. Le origini, 226-241. 168

carattere universale pur se presente.169 L’assenza di cornice ci indica anche un certo modo di intendere il rapporto tra testo e immagine e come esso venga fruito dal lettore. Se infatti in numerosi codici della letteratura profana le immagini mirano principalmente a esaltare il testo poetico, rimanendovi subordinate, è nell’ambito di quella sacra che pittura e scrittura tendono a porsi sullo stesso piano: sono specialmente i testi visionari e quelli esegetici a dare importanza all’extra-testo, poiché pittura e scrittura si trovano ad avere la medesima funzione; questo intento descrittivo è, anzi, meglio assolto dall’immagine, che il fruitore del testo può abbracciare in tutti i suoi dettagli con un unico sguardo, compiendo lo stesso atto di chi racconta . In questo senso è particolarmente interessante la decorazione miniata 170

dell’Apocalisse Getty (Los Angeles, The J. Paul Getty Museum, ms. Ludwig III 1 (83.MS. 72)), datata agli anni ’60 del Duecento, che affianca iniziali abitate, scene incorniciate e immagini marginali fuori dalle cornici (FIG. 53). Se le scene entro cornice attirano immediatamente l’attenzione del lettore, ancora prima del testo, e si ritagliano uno spazio virtuale sulla pagina, quelle al di fuori servono da collegamento tra chi guarda e la rivelazione divina: molto spesso il soggetto di queste immagini è san Giovanni stesso, protagonista della visione apocalittica. La sua presenza marginale serve a sancire l’autorialità del testo171 e a guidare il lettore nella sua comprensione grazie alla gestualità, modulata in base a quello che succede; inoltre egli è ritratto isolato fisicamente rispetto alla sua stessa visione, che spesso è obbligato a spiare come da un buco della serratura: in questo modo esalta la barriera costituita dalla cornice che distingue tra il mondo terreno, che la figura di san Giovanni e il lettore condividono, e quello spirituale, che vive

Per il manoscritto e l’analisi delle scena confronta Attilio Bartoli Langeni, Chiara Frugoni et al., Il 169

Sermone di Pietro da Barsegapè. Indagini sul codice AD XIII 48 della Biblioteca Nazionale Braidense, a cura di Giuseppe Polimeni, Roma: Editoriale Artemide (2018).

Per questi temi e per la risonanza che hanno avuto sulla poesia del tempo confronta Marcello Ciccuto, 170

“Guinizzelli e Guittone, Barberino e Petrarca: le origini del libro volgare illustrato” in Atti del IV Convegno

Internazionale di Studi di Storia della Miniatura. “Il codice miniato laico: rapporto tra testo e immagine”, Cortona, 12-14 novembre 1992, a cura di Melania Ceccanti, Firenze: Centro Di della Edifimi (1997): 77-87;

sulle stesse tematiche anche il successivo Marcello Ciccuto, “L’esegesi del testo: lettera e figura” in Intorno al

testo. Tipologie del corredo esegetico e soluzioni editoriali. Atti del convegno di Urbino, 1-3 ottobre 2001,

Roma: Salerno editrice (2003): 243-262.

In un certo senso assolve la stessa funzione dei ritratti contenuti nelle iniziali dei trovatori, di cui si è 171

parlato nel Capitolo I. Tuttavia, se là il ritratto è un compendio delle caratteristiche del poeta e si pone come sigillo di autorialità e attendibilità del racconto al principio delle liriche ma dopo la vida, qui il ruolo di san Giovanni appare più dinamico e interattivo nei confronti del lettore.

all’interno dei “quadri miniati”.172 La sua gestualità si configura come commento indipendente dal testo, diversamente da quanto incorniciato che risulta invece fedele trascrizione figurativa di ciò che è scritto; in questa circostanza l’immagine marginale acquista piena autonomia di commento e manifesta una “profonda fiducia nel potere delle immagini come principi attivi”173. La cornice, prima che delinei un vero e proprio spazio illusionistico che sfonda la pagina creando una sorta di finestra virtuale e allontanandosi definitivamente dallo statuto che la sovrapponeva alla parola scritta, è usata come strumento per inquadrare la trascrizione puramente figurativa del testo e differenziarla dall’immagine marginale, che rimane così su un piano più vicino al lettore, come una proiezione grafica di commenti e interpretazioni personali174.

Tornando al nostro canzoniere N, molte delle figurazioni nei margini sono collegate ai testi, per l’esattezza a specifiche parole contenute nelle poesie, da segni grafici tracciati in inchiostro rosso: questi ultimi si ripetono identici presso il disegno marginale e nello spazio vuoto al di sotto della parola a cui si riferiscono, costituendo un richiamo analogo alle nostre note a piè di pagine. È difficile identificare il momento della produzione grafica durante la quale questi segni sono stati aggiunti: sono presenti variamente all’interno del

corpus dei vari trovatori, a prescindere dal grado di completezza dei disegni. La persona

che li ha tracciati doveva avere in mente il progetto grafico in maniera molto chiara oppure comprendere appieno il significato delle poesie e il loro collegamento alle scene marginali, perché, quando presenti, i simboli sono estremamente precisi e non presentano errori di sorta.

III.3.1. Stile

La critica si è occupata molto poco dello stile dei disegni posti nei margini del manoscritto N, volgendosi maggiormente ad analizzarne il significato e il rapporto con i testi e

Confronta Suzanne Lewis "Beyond the Frame: Marginal Figures and Historiated Initials in the Getty 172

Apocalypse” in The J. Paul Getty Museum Journal, Vol. 20 (1992): 53-76. Esistono ovviamente anche altri esempi dell’uso della cornice come barriera, anche se, forse, meno complessi e significativi; tra questi confronta la miniatura in cui Boezio si rivolge a Dio nel De Consolatione Philosophiae del Codex Vindobonensis Palatinus 84 (Vienna, Osterreichisce Nationalbibliothek, fol. 41v.).

Ciccuto, “Guinizzelli e Guittone”, 80. 173

La questione delle immagini al di fuori della cornice è affrontata ampiamente da Micheal Camille, Image 174

on the Edge. The Margins of Medieval Art, Londra: Reaktion Books (1992). Lo studioso si concentra

particolarmente ad analizzare quelli che sono definiti grilli o drôlerie, ma molte delle sue riflessioni vengono trasposte su un piano più generale: “Things written or drawn in the margins add an extra dimension, a supplement, that is able to gloss, parody, modernize and problematize the text’s authority while never totally undermining it”, 10.

concentrandosi più sullo stile delle iniziali miniate: in generale, tuttavia, gli studiosi sono concordi nel pensare a una mano diversa tra i due tipi di decorazione175, ritenendo i disegni marginali posteriori, anche se non di molto, alla restante decorazione del codice. Una voce fuori dal coro è quella di Giordana Mariani Canova, che propone un’unica mano, attribuendo la diversità di tratto e freschezza alla relativa libertà del margine e alla rigidità del contenimento della figura all’interno della lettera iniziale176.

È necessario innanzitutto precisare che si possono individuare nei disegni marginali quattro stadi di completezza, diversamente dalle iniziali che o risultano concluse o sono completamente assenti; inizio descrivendo l’ultimo stadio, cioè il massimo grado di rifinitura dei disegni, e finisco con il primo, che si identifica nelle immagini rimaste allo stato di abbozzo. Le uniche che sembrano complete di tutti i loro dettagli, appartenenti quindi all’ultimo stadio, sono quelle relative al corpus di poesie di Guiraut de Borneill, compresi tra il fol. 187r e il fol. 190r, e quelle tra i foll. 212r e 212v, comprese invece nella sezione dedicata a Gausbert de Poicibot; i disegni presenti in questi fogli si presentano completi di applicazioni dorate, colore, lumeggiature a biacca e ombreggiature dai toni più scuri; in questi casi si vede il colore applicato anche alle parti di incarnato, una base di rosa pallido su cui delicati tocchi di rosa più scuro e di nero descrivono i lineamenti dei volti e altri dettagli (si notino, per esempio, al fol. 212r, le leggere linee rosa tracciate sopra la base dell’incarnato per rappresentare le pieghe del collo dei personaggi); indicativa la quasi trasparenza del colore dell’incarnato nel secondo disegno marginale al fol. 187v, rappresentante un uomo morto. In queste immagini la stesura del colore copre completamente la base grafica in punta di penna, tanto che a volte il disegno sembra direttamente realizzato con il colore sulla pergamena, come nel caso della figura mostruosa al fol. 188r o del paesaggio al fol. 189v, con un effetto di naturalezza che risulta raffinato e deciso, anche grazie alla brillante gamma dei colori utilizzati; inoltre si nota che, quando è presente l’applicazione dorata, l’artista ha aggiunto dettagli sopra di essa, in particolare contorni neri e puntini bianchi, come si vede nella veste del serafino e nelle aureole. Nonostante la completezza, soltanto al fol. 212r le immagini sono associate ai testi con i segni grafici rossi.

A partire dalla descrizione curatoriale della Morgan Library & Museum del 1947; Harrsen e Boyce, Italian 175

Manuscripts in the Pierpont Morgan Library, 9; la stessa Giordana Mariani Canova nel capitolo “La

miniatura” in Flores d’Arcais (a cura di), La pittura in Veneto. Le origini, 239; Bossetto, Il Maestro del

Gaibana, 92-93.

Mariani Canova, “Il poeta e la sua immagine”, 70-74. 176

Un terzo stadio di realizzazione vede l’applicazione delle parti dorate e del colore sullo schema grafico, mai però nelle parti di incarnato, mai ritoccato di biacca e ombreggiato solo in alcuni casi. A questo stadio appartengono i disegni compresi tra i foll. 56r e 59r del

corpus di Folquet de Marseilla177, con due eccezioni ai foll. 56r e 58v, che si presentano maggiormente incompleti; i foll. 211r, 212v e 214r riferiti ai componimenti di Gausbert de Poicibot; la prima scena del disegno marginale del fol. 216v all’interno della sezione di Pons de Capdoill. I disegni sono tracciati dettagliatamente, ma le sfumature del colore mancano in alcuni elementi, come nei capelli, che si presentano qui come una compatta area di tono marrone od ocra, mentre nelle figure complete sono rifiniti con linee nere; negli abiti dai colori più chiari, come è perfettamente visibile al fol. 56r, in cui è esclusivamente l’abito blu della donna più a destra a essere completo di sfumature più scure a sottolinearne le pieghe, mentre gli altri sono riempiti solo con un velo di colore, talmente leggero da sembrare acquerellato, che lascia trasparire il tracciato grafico sottostante che ne tratteggia le pieghe e i panneggi. Le mani e i volti sono resi solo in punta di penna, rimanendo tuttavia estremamente espressivi; lo stesso accade ad altri dettagli delle scene, come lo strumento musicale al fol. 57v, mentre altri elementi avrebbero previsto certamente un rifinitura ulteriore, come gli ornamenti preziosi al fol. 58r. La differenza tra l’ultima e la terza fase di completamento è maggiormente evidente nei disegni marginali delle poesie di Gausbert de Poicibot, in cui i due momenti si alternano.

Nel secondo stadio possiamo inserire i disegni marginali che presentano esclusivamente le applicazioni d’oro o d’argento, essendo costituiti per il resto dalla sola veste grafica; a questo momento della produzione appartengono le scene del corpus di Folquet de Marseilla ai foll. 58v, 60r, 61v, 64r, 64v, 65r; i foll, 66r, 68r, 69r riferiti alle poesie di Arnaut de Maroill; il secondo disegno marginale al fol. 211r e quelli al fol. 214v nel corpus di Gausbert de Poicibot; le scene ai foll. 215r e 217v nella sezione di Pons de Capdoill. La polvere d’oro è sempre applicata nelle fascia verticale e in quella che sottolinea lo scollo costituenti la decorazione della veste di Amore-serafino (con l’unica eccezione al fol. 73r, nel corpus di Richart de Berbezill, i cui disegni marginali sono però tutti rimasti allo stato di sola veste grafica), nelle corone, nelle aureole e nelle gambe dei letti; la polvere d’argento è invece di solito usata per descrivere oggetti in metallo, come spade, punte di lancia, aghi.

Sono stata indecisa se inserire queste immagini nel gruppo dell’ultimo stadio di completezza o nel terzo, 177

data la presenza, per la maggior parte di essi, dei segni di associazione al testo e di dettagli quali la sfumatura dei panneggi; tuttavia l’emergere della base grafica, la mancanza di colore nelle parti di incarnato e l’assenza dei dettagli sulle applicazioni dorate mi sembrano indizi di incompletezza pittorica.

Il primo stadio è quello rappresentato dalle scene che sono rimaste solo abbozzate in inchiostro, alcune perché probabilmente non necessitavano di applicazioni metalliche, come quelle riferite alla produzione di Folquet de Marseilla (foll. 59v, 60r, 60v, 61r, 63r, 63v), altre perché appartengono alla prima fase del lavoro di decorazione, come i disegni della sezione di Richart de Berbezill ai foll. 72v e 73r. La linea, qui assoluta protagonista, appare fluida e sinuosa, tracciata con decisione e raffinatezza, da una mano sicuramente esperta nel disegno. Alcune tra queste scene appaiono a uno stato di abbozzo estremo, come quella di paesaggio al fol. 216r: la traccia grafica rappresenta in questi casi esclusivamente una indicazione, un suggerimento, per la successiva coloritura: vediamo infatti come nella scena di paesaggio completa al fol. 189v non ci sia alcuna traccia della bozza a inchiostro, essendo costruita esclusivamente da leggere pennellate; altre invece, soprattutto se mettono in scena personaggi, sono descritte dettagliatamente, sia negli oggetti, sia nelle espressioni, risultando così come prodotti giudicabili autonomamente, nel significato come nello stile. Questi quattro stadi rappresentano altrettante fasi di lavorazione attraverso cui il miniatore passava durante la decorazione del codice: dopo la rigatura del foglio e la copiatura del testo, l’artista tracciava direttamente con l’inchiostro le immagini; seguiva l’applicazione delle parti metalliche e poi la stesura del colore, che veniva in seguito ritoccato con toni più scuri per le ombreggiature e, nel nostro caso, con la biacca per le lumeggiature; infine venivano delineati i profili a vista delle figure e le pieghe delle vesti178. Alexander afferma che i vari e lunghi procedimenti per il completamento della decorazione di un codice erano eseguiti da persone diverse, esperte probabilmente nelle varie fasi del disegno, che eseguivano il loro compito quando il manoscritto non era ancora rilegato, riuscendo quindi a spartirsi i vari fascicoli per poter lavorare contemporaneamente ed affrettare i tempi della realizzazione179. Questo metodo, che si applicava anche alla copiatura e alla successiva ornamentazione grafica del testo, era diffuso nel XIII secolo, che aveva visto un incremento della domanda di codici, ornati e non180, e sembrerebbe applicabile al manoscritto in esame. Come si è visto, nel canzoniere N le quattro fasi della decorazione non si susseguono in modo ordinato: i primi disegni marginali che definiamo completi si trovano solo al fol. 187r; possiamo ipotizzare quindi la divisione del manoscritto in varie parti, in cui

Jonathan J.G. Alexander, I miniatori medievali e il loro metodo di lavoro, Modena: Franco Cosimo Panini 178

editore (2003): 63-65. Alexander parla di una fase ancora precedente, in cui l’artista avrebbe tracciato a grafite, prima di ripassarli con l’inchiostro, i disegni; tuttavia, nel manoscritto N, anche quelli più abbozzati sembrano direttamente eseguiti con l’inchiostro.

ibidem. 179

cfr. ibidem, 141-142 e Conti, “Problemi di miniatura bolognese”, 11. 180

ritroviamo oggi i vari tempi della lavorazione. La parziale approssimazione dei disegni è utile per confermare il metodo di lavoro dei miniatori medievali e permette di scoprire dettagli che altrimenti sarebbero nascosti; per esempio i disegni marginali riferiti a Richart de Berbezill sono quelli più abbozzati, con un tratto talmente sottile da risultare quasi trasparente; è quindi con difficoltà che si legge al fol. 72v quella che è certamente un’indicazione per il miniatore: il concepteur scrive, con un tratto rotondo e molto più piccolo rispetto alla grandezza del testo: “leo quom excitat gatulos suos”181. L’indicazione ci suggerisce innanzitutto che l’uomo che ha ideato il progetto decorativo e il miniatore che l’ha eseguito sono due persone diverse; che il primo ha comunicato con il secondo attraverso una frase generica, priva di ogni dettaglio, tracciata direttamente dove doveva

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