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II.2.1 I mosaici della laguna

Durante l’affermazione del proprio controllo marittimo nell’Adriatico, Venezia ospitava uno dei più fervidi cantieri dell’Italia di allora, quello che riguardava la decorazione, principalmente musiva, della Basilica di San Marco, riconsacrata nel 1094. Il XII secolo era stato il periodo più importante per la decorazione a mosaico della basilica, il cui stile variava, anche se non così radicalmente, in base ai rapporti che la Serenissima aveva intrattenuto con Bisanzio. La conquista di Costantinopoli nel 1204 diede un nuovo vitale impulso alla decorazione, che si rinnovava guardando a nuove fonti bizantine, alcune delle quali arrivavano direttamente a Venezia attraverso gli spogli della città sul Bosforo, mentre numerosi artisti orientali si trasferivano nella laguna; l’inizio del XIII secolo vide il fiorire della scuola di mosaico, che divenne l’arte-guida per questa zona e questo periodo. La sempre maggiore notorietà del cantiere marciano fece sì che i suoi artisti venissero mandati, o chiamati, a lavorare altrove, come accadde con San Paolo fuori le Mura a Roma. Con l’andare del secolo la situazione cambiò: il terremoto del 1222 e l’incendio del 1231 rallentarono i lavori: venne così impedito agli operai di accettare committenze al di fuori di quella riguardante San Marco e venne loro imposto di prendere due assistenti a cui

insegnare l’arte del mosaico, per velocizzare il completamento dell’opera. Nel 1270 circa la decorazione musiva duecentesca doveva essere terminata.71

Ad oggi, in seguito a restauri e integrazioni, solo un terzo della superficie musiva può considerarsi originale; tuttavia sembra che il programma iconografico sia rimasto fedele al progetto medievale. Esso si presenta smisurato: i mosaici marciani costituiscono una sorta di enciclopedia iconografica, un vastissimo repertorio di modelli, a cui tutti gli artisti guardavano con ammirazione e stupore, non solo per quanto riguarda l’ambito sacro: gli episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento, le Storie della vita della Vergine e dei santi, nonché le immagini più iconiche, come i ritratti dei personaggi biblici o le numerose personificazioni che popolano le pareti della basilica, sono così numerosi, diversificati e ricchi che doveva risultare molto semplice e naturale estrapolarne dettagli da coniugare anche in contesti profani. Gli esempi sarebbero moltissimi, ma mi limito a citarne tre che ritengo utili all’esame dell’iconografia di alcuni disegni marginali contenuti nel canzoniere N. Nel transetto sud della basilica, nel contesto del racconto evangelico, è rappresentata la scena in cui Zaccheo si arrampica sul sicomoro per poter vedere Cristo (FIG. 23); senza 72

voler ipotizzare alcuna discendenza diretta, la stessa scena diventa metafora della condizione sentimentale del poeta nel canzoniere di New York al fol. 57v: l’iconografia rimane praticamente la stessa, è il contesto che fa traslare il suo significato dal sacro al profano. Le scene relative alla Creazione, nel cupolino della Genesi dell’atrio di San Marco, così come quelle riferite alla vicenda di Noè (FIG. 24), sempre nell’atrio, costituiscono un repertorio ricchissimo per qualsiasi rappresentazione animale: la somiglianza tra il leone appena sbarcato dall’arca e quello al fol. 72v è innegabile. L’ultimo esempio, che forse più di ogni altro può chiarire la ricchezza e l’inventiva dei mosaici della basilica marciana è la parata dei popoli e delle tribù, nel contesto della discesa dello Spirito Santo, situati tra le finestre della cupola della Pentecoste nella navata centrale (FIG. 25): sono rappresentati 32 personaggi divisi a coppie, ognuna delle quali appartenente a un diverso gruppo etnico; non solo ogni gruppo mostra evidenti diversità di tratti fisici e abbigliamento, ma anche all’interno della coppia ogni personaggio è personalmente

Confronta l’imprescindibile studio di Otto Demus, The mosaics of San Marco in Venice. I: The Eleventh 71

and Twelfth Centuries, Chicago: The University of Chicago Press (1984): 1-19. Per una raccolta, praticamente

completa, delle immagini si veda Maria Andaloro, Maria Da Villa Urbani, Ivette Florent-Goudouneix, Renato Polacco, Ettore Vio (a cura di), San Marco. I mosaici, le iscrizioni, la Pala d’Oro, Milano: Gruppo Editoriale Fabbri, Bompiani (1991), mentre per la parte saggistica Otto Demus, Wladimiro Dorigo, Antonio Niero, Guido Perocco, Ettore Vio (a cura di), San Marco. I mosaici, la storia, l’illuminazione, Milano: Gruppo Editoriale Fabbri, Bompiani (1991).

Demus afferma che l’iconografia non è particolarmente diffusa e si distingue in scene in cui Zaccheo è 72

caratterizzato. Demus ha affermato che non esisteva alcuna opera, occidentale o bizantina, che presentasse una tale attenzione (e curiosità) nei confronti della varietà di costumi e tipologie umane . Una rappresentazione del genere offriva, ovviamente, esempi e modelli 73

formidabili per progetti profani e in particolare narrativi .74

Anche i mosaici della basilica di Santa Maria Assunta di Torcello costituiscono un piccolo repertorio, molto variegato sebbene meno esteso, di stilemi e iconografie. La decorazione musiva della basilica conobbe due fasi: una risalente alla seconda metà dell’XI secolo, mentre la seconda si data alla seconda metà del secolo successivo, durante la quale si fa forte l’influsso dell’arte comnena e vengono ulteriormente stretti i rapporti con il cantiere di San Marco, da cui certamente arrivano numerose maestranze. A iconografie prettamente liturgiche e concettuali, si affianca la parte narrativa e vivacissima del Giudizio Universale, posto nella facciata interna della basilica di Torcello (FIG. 26). Qui troviamo, in particolare, due figure che possiamo accostare a dettagli dei disegni del canzoniere N: il Satana di colore blu, che sarà citato nell’analisi del fol. 188r proprio in relazione al suo colore, di probabile matrice bizantina, e, nel registro inferiore della facciata interna è presente l’immagine di un serafino che brandisce una lancia a difesa della porta del Paradiso: questo è l’unico confronto iconografico che io abbia trovato per l’immagine al fol. 64r, in cui Amore/serafino trafigge il poeta con la lancia.75

II.2.2 La scultura a Venezia e nella Marca trevigiana

La ricchezza iconografica di San Marco non si esaurisce con i suoi mosaici: dal 1215 al 1245 circa era infatti in costruzione anche il portale maggiore della basilica, nei cui tre arconi si dispiega una grande quantità di temi a carattere profano: Virtù, Allegorie dei Mesi e dei Mestieri, scene con animali e creature fantastiche; queste immagini sono traslate all’interno di un contesto sacro: la decorazione degli arconi faceva infatti parte di un complesso allegorico, di cui il culmine era rappresentato dal Giudizio Universale ospitato

ibidem, 148-159. 73

Non approfondisco, non essendo questa la sede, la spinosa questione riguardante le fonti delle immagini dei 74

mosaici di San Marco, che hanno un’importanza probabilmente cruciale nella ricezione delle iconografie qui utilizzate. Considero in questo caso la basilica piuttosto come “sorgente” di modelli, mettendo consapevolmente tra parentesi il fatto che essa si trovi, in realtà, nel mezzo di un “flusso” artistico molto più complesso di quanto delineato.

Per la basilica di Torcello si veda Renato Polacco, La Cattedrale di Torcello, Venezia: L’Altra Riva (1984); 75

per la decorazione musiva: Clementina Rizzardi, “La decorazione musiva: Torcello e la cultura artistica mediobizantina” in Torcello, alle origini di Venezia tra Occidente e Oriente. Catalogo della mostra, Venezia,

29 agosto 2009-10 gennaio 2010, a cura di Gianmatteo Caputo e Giovanni Gentili, Venezia: Marsilio (2010):

nella lunetta, che alludeva al superamento del male attraverso il lavoro e la virtù. Poiché la costruzione dell’opera sarebbe durata circa trent’anni, il suo linguaggio formale è molto variato, sicché l’intensa commistione di stili e radici culturali differenti, unita però a una sostanziale omogeneità complessiva, ha reso difficile un’indicazione sicura delle maestranze che lavorarono alle sculture. Le fonti stilistiche e iconografiche delle sculture del portale appaiono numerose, anche se nessuna identificabile con precisione, se non quella costituita dalle immagini dei mosaici all’interno della basilica: si avvertono modi bizantini, modulati in particolare a partire dai mosaici e dall’arte suntuaria , nonché, 76

probabilmente, dai taccuini di modelli che avevano ampia diffusione; è chiarissima, poi, nello stile, la discendenza antelamica delle sculture, soprattutto per quanto riguarda le raffigurazioni dei Mesi e dei Mestieri, che hanno però un’iconografia tratta da modelli bizantini: oltre al vigoroso plasticismo dei personaggi, si nota un gusto tipico per l’aneddotico e il particolare; si riscontra infine, nella fase terminale di completamento dell’opera, l’influenza del gotico francese e un rafforzamento delle matrici orientali, che si nota soprattutto nel ciclo dei Profeti e poi nelle opere del Maestro di Ercole e dei suoi seguaci . La scultura degli arconi di San Marco è stata definita, infatti, come un’opera di 77

transizione tra il romanico e il gotico, che appare, se vogliamo, in “ritardo” culturale sull’esperienza artistica parigina, ma che certamente ha superato il romanico: questo tipo di arte, che caratterizza in particolare l’Italia del Nord, la Spagna e in parte la Germania, è definita “stile Duecento” . Il progetto iniziale del portale ovest di San Marco avrebbe 78

previsto un protiro di tipo emiliano, elaborato dal Maestro dei mesi di Ferrara (1220 circa), allievo di Benedetto Antelami, del quale rimangono due leoni stilofori, ora nella cappella Zen, e un gruppo con l’Adorazione dei Magi del Museo del Seminario Patriarcale: queste opere presentano un forte carattere occidentale, che certamente avrà fornito una fonte stilistica importante per la successiva decorazione degli arconi, che infatti prosegue la tradizione antelamica, declinata però attraverso lo sguardo di artisti veneziani . 79

È possibile che la doratura del portale, fatto nuovo sia in Occidente sia in Oriente, potesse essere stata 76

suggerita dall’utilizzo di tali fonti; confronta Guido Tigler, Il portale maggiore di San Marco a Venezia.

Aspetti iconografici e stilistici dei rilievi duecenteschi, Venezia: Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti

(1995): 45-59. ibidem, 427-434. 77

ibidem, 444. Tigler afferma, giustamente, che la definizione è però limitante nei confronti delle “multiformi 78

manifestazioni dell’arte occidentale del 1200”.

Si veda anche: Guido Tigler, “Cronologie e tendenze stilistiche della prima scultura veneziana” in Torcello, 79

alle origini di Venezia tra Occidente e Oriente. Catalogo della mostra, Venezia, 29 agosto 2009-10 gennaio 2010, a cura di Gianmatteo Caputo e Giovanni Gentili, Venezia: Marsilio (2010): 132-147.

Oltre alle sculture legate a San Marco rimangono a Venezia pochissime testimonianze dell’arte lapidea del secolo XIII; tra queste, ancora meno numerose sono quelle i cui temi presentino un lato profano o comunque applicabile a un contesto laico : una volta esaurita 80

la spinta del cantiere scultoreo di San Marco, ultima testimonianza di una grande scuola locale che aveva visto il suo apice intorno al 1230, la produzione plastica veneziana sembra subire un arresto .81

È soprattutto nei cicli scultorei di Wiligelmo e dei suoi seguaci a Modena, con la Porta dei Principi e quella della Pescheria in particolare, e di Benedetto Antelami a Parma, artista che, come si è visto, ha fortemente contribuito allo sviluppo dello stile della scultura a Venezia, che è possibile ritrovare un ampio programma iconografico dal quale attingere esempi utili al nostro scopo. In particolare, la decorazione del Battistero di Parma, che ebbe inizio intorno al 1196, con la sua unione di modi fieramente romanici mutuati appunto da Wiligelmo e stilemi derivati dalla conoscenza delle nuove cattedrali francesi e della loro decorazione scultorea costituisce un fondamentale aggiornamento stilistico, certamente per la scultura, come già si notava parlando degli arconi marciani, ma anche per le altre arti, grazie alla straordinaria ricchezza inventiva dello scultore e al suo nuovo modo di guardare la natura . Il Fregio zooforo, che ospita uno straordinario bestiario, il ciclo dei Mesi e delle 82

Stagioni e quello dei Segni Zodiacali offrono, all’interno di un programma iconografico che guarda alla storia della Salvezza, un’attenzione connotata da grande freschezza al mondo contemporaneo, ai suoi costumi e alle sue usanze, a cui qualunque artista dell’epoca avrebbe potuto attingere. La statua raffigurante la Primavera, per esempio, rappresenta una perfetta unione tra la vigorosa costruzione delle forme romanica, che dona alla figura una linearità e una semplicità che saranno profondamente modificate dal gotico, e moduli iconografici francesi, che si risolvono nella contenuta eleganza del panneggio e nel gesto cortese di tirare il cordoncino del mantello, che sarà ripreso dal miniatore del canzoniere N. La stessa riflessione emerge guardando la statua della Regina di Saba (FIG. 27), che compie il medesimo gesto, sebbene si sia tentati di avvicinarla maggiormente a una fonte francese, per la maggiore ricchezza dell’abito o per gli evidenti resti della policromia originaria.

Ricordo esclusivamente in nota come, dopo la morte del doge Jacopo Tiepolo, dal 1249, iniziò a Venezia la 80

cultura dei monumenti funerari pubblici, come affermato da Debra Pincus, The Tombs of the Doges of Venice, Cambridge: Cambridge University Press (2000).

Questo è ciò che emerge dagli studi sulla scultura veneziana del periodo, in particolare si veda Wolfgang 81

Wolters, La scultura veneziana gotica (1300-1460), Venezia: Alfieri (1976).

Si vedano, tra le numerose pubblicazioni: Georges Duby, Giovanni Romano e Chiara Frugoni (a cura di), 82

Battistero di Parma, Milano: Franco Maria Ricci (1992); per le immagini e i confronti: Joachim Poeschke, Die Skulptur des Mittelalters in Italien. Vol. 1: Romanik, Monaco: Hirmer Verlag GmbH (1998)

Anche i cicli scultorei più propriamente sacri, come quelli nelle lunette dei portali del Battistero, potevano fornire dei modelli, grazie alla vitalità e alla fresca invenzione che mostravano.

Geograficamente più prossima all’ambito di produzione artistica a cui siamo interessati è Verona, dove nel 1138 venne avviata una campagna costruttiva a opera di maestranze locali nella basilica di San Zeno: molto importante è la costruzione del protiro, progettato e decorato da Nicolò; a decorazione dell’architrave, egli pone un ciclo dei Mesi, di poco posteriore a quello della Porta della Pescheria del duomo di Modena, che conserva tuttora larghe tracce della policromia. Le personificazioni dei Mesi sono inquadrate da arcatelle che si reggono su piccole colonne variamente decorate; nei pennacchi degli archi, sopra i capitelli, sono inoltre presenti rappresentazioni di edifici, uno fantasiosamente diverso dall’altro. Le figure, dal gusto estremamente vivace, sono nuovamente un’occasione per rappresentare scenette di genere che ritraggono attività e mestieri quotidiani; un esempio, rimanendo nell’ambito dell’iconografia già riscontrata nei mosaici di San Marco, è la personificazione di Giugno come un uomo arrampicato su un albero che è intento a raccoglierne i frutti (FIG. 28). Sono significative per noi anche altre figure, dal forte carattere cortese, come le personificazioni di Aprile e Maggio, che si presentano rispettivamente come un’elegante figura che tiene in mano due fiori e come un cavaliere armato di tutto punto, in atto di procedere a lancia sguainata. Ai lati del protiro lo stesso Nicolò pone due serie di rilievi marmorei con la Genesi e la vita di Cristo; la fascia più bassa di questi rilievi ospita da un lato due scene di duello, a cavallo e a piedi, intervallate da un’elegantissima figura femminile denominata Mataliana: l’intera fascia, purtroppo molto rovinata, dimostra un forte gusto cortese; dall’altro lato del protiro si vede invece la famosa scena con la caccia infernale di Teodorico, anch’essa non in buone condizioni, nella quale si nota un deciso richiamo all’antico . Questa vasta campagna di lavori prevedeva 83

anche l’innalzamento del livello pavimentale per fare posto a un’immensa cripta a nove navate; l’ingresso al presbiterio venne preceduto da un pontile, demolito poi nel Cinquecento, costituito da un alto muro affrescato. Sono rimasti lacerti delle pitture nel muro di fronte alla cripta che presentano figure assai disinvolte, dalle linee eleganti, aggiornate sullo “stile Duecento” e accostate a quelle del canzoniere N; è probabile che gli affreschi fossero stati realizzati come allestimento cerimoniale in occasione del matrimonio

Confronta Gianni Lorenzoni e Giovanna Valenzano, Il duomo di Modena e la basilica di San Zeno, Verona: 83

tra Selvaggia, figlia di Federico II, ed Ezzelino III. A questa nuova fase dei lavori 84

appartiene anche la costruzione del rosone sulla facciata, probabilmente completato nel 1214, chiamato Ruota della Fortuna e realizzato da Brioloto de Balneo. Il rosone è decorato con una serie di rilievi dalle pose plastiche e dinamiche, il cui stile si inserisce perfettamente all’interno di quella corrente che abbiamo visto agire a Venezia e a Parma; tuttavia la posizione inaccessibile delle figure rende molto più difficile un’ipotetica presa a modello da parte di un artista che visita la chiesa . Si discostano dallo stile che possiamo 85

definire “padano” le statue del gruppo dell’Incredulità di San Tommaso, poste sopra il pontile, sempre all’interno di San Zeno, datate agli anni ’20 del 1200: sebbene non credo possano aver tramandato alcun motivo profano, mi sembra importante citarle perché il loro stile, dai pesante panneggi e dai volti geometrici ed espressivi, costituisce uno dei gruppi scultorei più interessanti del periodo in questa zona, accostabile a certe opere tedesche dell’inizio del secolo.86

II.2.3. Aspetti della pittura di stampo profano sulla terraferma

La pittura del Duecento sulla terraferma fornisce, purtroppo, scarse testimonianze. In generale si può affermare che nelle città più importanti si sviluppano linguaggi specifici, determinati dall’autonomia politica di ognuna di esse; in particolare, anche grazie alla sopravvivenza di un maggior numero di testimonianze pittoriche, sono Treviso e Verona che dimostrano lo sviluppo di un’arte pittorica caratteristica, principalmente muraria. Questa presenta moduli meno bizantini rispetto a quella veneziana dello stesso periodo, con segni di apertura verso l’esperienza pittorica oltremontana, e un’attenta osservazione della realtà quotidiana, che si traduce spesso in un realismo allineato alla nascente arte gotica; nelle parole di Carlo Bertelli: “la sorpresa è che nulla dell’elaborazione precedente è andato perduto; non la sottigliezza teologica della pittura bizantina, né la chiarezza semplificatrice dell’Antelami e degli altri lombardi, eppure una linfa nuova vivifica le figure e, senza che si

Giovanna Valenzano, “Cultura architettonica e decorazione lapidea nelle città della Marca tra XII e XIII 84

secolo”, in Ezzelini, 91-97.

Lorenzoni , Il duomo di Modena e la basilica di San Zeno, 186-200. 85

ibidem, 209-210. 86

possa mai citare direttamente questa o quella fonte, risponde a impulsi inediti attingendo a vie lontane, piuttosto nei bacini della Mosa e del Reno che nell’Ile-de-France.”87

Troviamo le prime pitture murali profane nel territorio in edifici ecclesiastici: all’interno di una chiesa l’unico luogo che poteva essere adibito all’illustrazione di tematiche laiche è la zona inferiore dell’abside, che presenta spesso una figurazione che mima il tessuto dei velari; sopra di essa si trovano spesso raffigurazioni di animali tratte dai Bestiari, allegorie con i Mesi dell’anno e i Mestieri dell’uomo, oppure immagini più narrative, tratte dalla letteratura. Probabilmente l’esempio più antico è costituito dalla pittura della zona basamentale dell’abside nella chiesa di San Michele Arcangelo a Pozzoveggiani, nei dintorni di Padova, datata alla metà del XII secolo : essa raffigura una scena di 88

combattimento fra due cavalieri armati di scudi e lunghe lance, divisi da una pianta sottile e circondati da animali reali o fantastici (FIG. 29). È possibile che, accanto alla destinazione estetica, scene come questa, che ritroviamo, per esempio, anche nella cripta di Aquileia (1170-1180), possano alludere non solo alla lotta tra il Bene e il Male, ma anche alla tipica raffigurazione del cavaliere armato connessa al Salmo CXI.

Esperienze figurative profane di più ampio respiro e poste in contesti laici si trovano soprattutto a Treviso, urbs picta, ricchissima di affreschi di questo tipo, che confermano il ruolo della città come un centro fondamentale di elaborazione e trasmissione della cultura cortese e trobadorica in età ezzeliniana . Prima di tutto vorrei menzionare, per 89

l’importanza iconografica, la derivazione dai mosaici di San Marco e lo stile vivace dai colori squillanti, i due affreschi staccati dal Palazzo arcivescovile di Treviso, ora al Museo Diocesano di Arte Sacra, con l’Ingresso di Cristo a Gerusalemme, sovrastante l’Anástasis (FIG. 30), e la lunetta con il Martirio di san Tommaso Becket, entrambi datati intorno al 1260. Ma sono soprattutto le decorazioni dei palazzi comunali di Treviso a presentare una grande varietà di temi a sfondo profano; il Palazzo della Ragione, in particolare il salone presente al piano terra, presentava un’ampia decorazione pittorica esterna e interna,

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