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Il distretto industriale

BOX DI APPROFONDIMENTO

1.3 LA NUOVA GEOGRAFIA ECONOMICA E LE TEORIE DELLO SVILUPPO LOCALE

1.3.2 Il distretto industriale

La nozione di distretto industriale si è formata in Italia, per opera dell’economista fiorentino Giacomo Becattini. È pur vero che i fondamenti intellettuali del distretto si trovano nel pensiero economico e sociale dell’economista inglese Alfred Marshall (1842-1924), ma senza la rilettura che ne

67 Ibidem, p 221 68 Ibidem.

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ha fatto Becattini – a partire dagli anni sessanta – oggi non vi sarebbe alcun dibattito sul distretto industriale, né come modello di industrializzazione (Becattini 2003) né come paradigma dello sviluppo locale (Becattini et alii 2003)69. Per una migliore comprensione dell’interpretazione che G. Becattini fa dell’opera di A. Marshall intitolata “Principles of Economics” può risultare utile il

confronto della definizione di distretto data dai due autori.

La definizione Marshalliana del distretto è la seguente: “quando si parla di distretto industriale si fa riferimento a un’entità socio economica costituita da un insieme di imprese, facenti generalmente parte di uno stesso settore produttivo, localizzate in un’area circoscritta, tra le quali vi è collaborazione ma anche concorrenza70”. Mentre per G. Becattini è “Un’entità socio territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva in un’area territoriale circoscritta, naturalisticamente e storicamente determinata, di una comunità di persone e di imprese industriali; nel distretto le comunità e le imprese tendono, per così dire, a interpretarsi a vicenda71”.

Dal confronto, risulta in entrambi l’importanza della concentrazione delle attività economiche, ma Becattini pone in primo piano l’importanza di una comunità che interagisce e si relaziona con se stessa e con le imprese. Quest’aspetto è di notevole importanza e ci aiuta a comprendere meglio la differenza che passa fra lo sviluppo locale endogeno e nuovi approcci che utilizzano una concezione di spazio diversificato – stilizzato. Nei prossimi paragrafi, infatti, ci occuperemo di indagare una nuova teoria chiamata NEG (Nuova Geografia Economica) che trova in Marshall una fonte di ispirazione cogliendone uno degli aspetti più interessanti, cioè, la possibilità di ottenere vantaggi economici dalla concentrazione delle attività.

Gli studi sui distretti industriali prendono l’avvio in seguito all’evidente successo economico delle regioni Italiane del centro e del nord-est a partire dagli anni settanta. Bagnasco si riferì ad esse con uno scritto pubblicato nel 1977, intitolato “Le tre Italie: la problematica territoriale dello sviluppo italiano”. Questo lavoro evidenzia la necessità di una diversa interpretazione del modello di

69 Sforzi, Fabio, IL DISTRETTO INDUSTRIALE: DA MARSHALL A BECATTINI, «Il pensiero

economico italiano» is a Peer-Reviewed Journal, xvi/2008/2, p 1

70 Marshall, Alfred. (1890). Principles of Economics, reprinted 8th ed., London: Macmillan and

Co., Limited, 1938.

71 Becattini G., Riflessioni sul distretto industriale Marshalliano come concetto socio-economico,

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sviluppo adottato fino ad allora in Italia. Mette in risalto “l’inadeguatezza del modello dualistico nord/sud in cui si identifica fino a quel momento lo sviluppo economico italiano, e indica la nascita di una nuova (terza) macroarea di sviluppo economico72”. Saremmo, quindi, in presenza di tre macroaree (nor-ovest, sud e nord-est/centro o NEC) che rappresentano tre grandi formazioni socio- economiche, con rapporti di produzione e relazioni sociali diverse fra di loro.

Tra gli aspetti più interessanti, che fece risaltare la particolarità del modello di sviluppo della Terza Italia, vi fu l’elevata concentrazione diimprese di piccole dimensioni, gestite da un’imprenditorialità locale diffusa. Inoltre le regioni del nord est e del centro “presentano inaspettati tassi di crescita in un periodo caratterizzato da una crisi economica generalizzata, causata da condizioni macroeconomiche tutt’altro che favorevoli (shock petrolifero, inflazione, disoccupazione, ristagno dei consumi e degli investimenti, svalutazione della moneta nazionale)73”.

Seguendo lo schema di R. Capello (Tab. 3) in Economia Regionale analizziamo le condizione economico-territoriali che caratterizzano il distretto industriale. Queste sono individuate attraverso la seguente tabella:

72 Capello, R. 2004, Economia regionale, Bologna, il Mulino. 73 Ibidem.

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Tabella 3 – Condizioni genetiche e vantaggi del distretto: una tassonomia74.

VANTAGGI CONDIZIONI GENETICHE

Prossimità Prossimità Concentrazione Specializzazione spaziale sociale e piccole imprese industriale culturale

Riduzione dei costi

di produzione

Ridotti costi di trasporto dei beni intermedi Struttura di agenti locali Ricorso a manodopera esterna Esternalizzazione di fasi della produzione Flessibilità della produzione Disponibilità di manodopera specializzata Divisione interindustriale del lavoro Riduzione dei costi di transazione Incontro domanda/offerta di lavoro Ampio mercato locale a monte e a valle Reti di relazioni interpersonali Sistema di istituzioni e di regole condivise Codici di comportamento comune Senso di appartenenza Capacità di cooperazione esplicita tra attori Contratti informali Rapporti tra imprese elastici, non burocratizzati Conoscenza tecniche adeguate per la scelta dei fornitori

Aumento efficienza dei fattori produttivi

Esistenza di una massa critica per servizi specializzati e infrastrutturali Ampio mercato di input specializzati Cultura industriale diffusa Mobilità dell’informazione tacita Know-how imprenditoriale diffuso Flessibilità nella quantità e qualità degli input nel processo produttivo Servizi informativi rivolti ai settori di specializzazione Aumento della capacità innovativa Accumulazione localizzata di conoscenze Socializzazione del rischio associato all’attività innovativa Accumulazione di conoscenza comuni Stimolo concorrenziale all’innovazione Accumulazione di conoscenze specifiche

Fonte: Roberta Capello, 2004.

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Come si evince dalla tabella le condizioni genetiche sono rappresentate dalla prossimità spaziale e dalla prossimità sociale e si riferiscono, rispettivamente, alla distanza in termini fisici fra le imprese che risulta essere molto ridotta, e alla vicinanza sociale tra gli agenti che operano nel distretto, intesa come “un sistema di istituzioni, codici e regole condivisi dall’intera comunità75” che rappresenta il substrato senza il quale le azioni intraprese dai singoli operatori economici sarebbero più costose e meno produttive.

Le altre due condizioni genetiche sono la concentrazione di piccole

imprese accompagnata dalla marcata specializzazione industriale dell’intera area

in tutte le fasi del processo produttivo, dalla concezione del prodotto alla sua commercializzazione. Da queste condizioni genetiche scaturiscono i rendimenti crescenti per le imprese, e si creano le condizioni affinché si manifestino le economie di localizzazione o “economie di distretto”.

I vantaggi che scaturiscono dalle condizioni genetiche, come da tab 3.1, o economie del distretto sono la riduzione dei costi di produzione, la riduzione dei

costi di transazione, l’aumento dell’efficienza produttiva e l’aumento della capacità innovativa. Il modo in cui le singole condizioni genetiche influiscono sui

vantaggi economici è spiegato all’interno della tabella, nella quale è semplice vedere il grande ruolo assunto dalla prossimità sociale e culturale.