FEDERALISMO E CRESCITA IN ITALIA
5.4. La distribuzione regionale delle entrate e delle spese pubbliche in Italia
Durante il dibattito parlamentare per l’approvazione della Legge 42/2009 si è spesso palesata la mancanza di “dei numeri del federalismo”163
, accendendo così
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polemiche circa l’impossibilità di valutare l’influenza del nuovo modello federalista sugli equilibri generali della finanza pubblica e sulla distribuzione delle risorse pubbliche tra le varie regioni italiane.
Occorre dire, però, che alcuni elementi consentono di fornire un riferimento empirico all’analisi della distribuzione regionale delle entrate e delle spese pubbliche.
Figura 15 - Residui pro-capite e percentuale dei residui pro-capite sul PIL per regione(media anni 2004-2006)
Fonte: Staderini e Vadalà, 2009; ISTAT
Attraverso la misurazione del saldo tra le entrate e le spese degli enti regionali (fiscal residuum) si può analizzare la redistribuzione delle risorse sul territorio italiano e una recente analisi di Staderini e Vadalà164 (vedi figura 15) conferma quanto già emerso durante gli anni ’90 in numerose ricerche165
in riferimento alla
163
Relazione Copaff all. 2, sez.1, 8giugno 2010.
164
AMBROSANIO-BORDIGNON E CERNAGLIA (2008); STADERINI E VADALA’ (2009).
165
direttrice della redistribuzione territoriale delle risorse ad opera delle amministrazioni pubbliche.
Come si evidenzia dalla Fig. 15, a beneficiare maggiormente di flussi redistributivi positivi sono le Regioni a statuto speciale, quelle geograficamente più piccole (es. Liguria, Umbria) e quelle con livelli di reddito inferiori.
La Fig. 16 ribadisce questi risultati attraverso una matrice di coefficienti di correlazione.
Si può osservare dalla matrice, che i residui regionali pro-capiti relativi che indicano le regioni che trasferiscono risorse alle altre, sono associati a dinamiche e livelli di reddito maggiori e si può osservare inoltre che i residui positivi sono legati negativamente con la popolazione, ossia, le regioni di minor numero di abitanti ricevono, in termini pro-capite, maggiori spese per motivazioni legate a economie di scala e di scopo nella fornitura di servizi pubblici.
Figura 16 - Coefficienti di correlazione tra il residuo fiscale pro-capite (residuopc) l’incremento del PIL regionale (incrPIL)e il PIL pro-capite (PILpc)e la popolazione
IncrPIL Residuopc PILpc Popolazione
IncrPIL 1
Residuopc -0,41782 1
PILpc 0,482147 -0,66638 1
Popolazione 0,23049 -0,64824 0,10688 1
Fonte: Per i residui dati tratti da Staderini e Vadalà, 2009; per gli altri dati ISTAT
Sottolineando, con prudenza, che una semplice correlazione non può indicare direttrici univoche sul rapporto di casualità tra distribuzione e sviluppo occorre, altrettanto onestamente sottolineare come l’essere beneficiarie di
consistenti trasferimenti dal resto del paese, non aiuti automaticamente le regioni a sviluppare le loro economie.
Anzi, come ha segnalato anche il Governatore della Banca d’Italia166, il residuo positivo di cui godono le regioni meno sviluppate è soprattutto segno di dipendenza economica: “ la spesa pubblica è tendenzialmente proporzionale alla
popolazione, mentre le entrate riflettono redditi e basi imponibili pro-capite che nel Mezzogiorno sono di gran lunga inferiori. Si stima che il conseguente afflusso di risorse intermediate dall’operatore pubblico, escludendo gli interessi sul debito pubblico, sia dell’ordine del 13 percento del prodotto nel Mezzogiorno (ovvero sia questo è il finanziamento garantito dai cittadini del Centro Nord), il 3 percento di quello nazionale.
E’ un ammontare imponente; per il Sud è anche il segno di una dipendenza economica ininterrotta.”
Rispetto a quanto indicato dal governatore della Banca d’Italia occorre anche evidenziare che l’ammontare della redistribuzione era più “imponente” fino a due decenni fa quando raggiungeva il livello del 20% del PIL delle Regioni Meridionali167.
Questa riduzione dell’ammontare della ridistribuzione è dovuta proprio alle riforme istituzionali-legislative accorse dagli anni ’90 ad oggi che hanno aumentato l’autonomia tributaria e finanziaria delle regioni e degli enti locali e contestualmente hanno provocato una diminuzione della spesa pubblica centrale finalizzata a trasferimenti verso le amministrazioni locali.
Come si può intuire da quanto appena indicato è comprensibile il motivo per cui nella definizione della Legge 42 del 2009 la polemica politica si sia concentrata sulla funzione perequativa dei trasferimenti statali prevista dall’art. 119 della Costituzione e soprattutto le modalità operative per la sua messa in opera rispetto all’analisi della Legge dal punto di vista dello sviluppo.
In questo paragrafo non affronteremo la problematica della redistribuzione di risorse tra le aree forti e le aree deboli del paese e, in particolare, delle politiche
166
BANCA D’ITALIA (2008).
167
per lo sviluppo del Mezzogiorno perché lo sviluppo regionale dell’Italia è molto più articolato rispetto a quello che può evidenziare un semplice confronto tra centro nord e sud.
Alcuni dati aggregati, infatti nascondono importanti differenziazioni regionali, soprattutto, ci sono diversi indicatori che evidenziano come, persino all’interno delle zone più sviluppate, la posizione relativa delle regioni sia, nell’ultimo quarto di secolo, profondamente mutata.
Se osserviamo il tasso di crescita del PIL delle regioni italiane in relazione a quello medio nazionale fatto uguale a 100 nel periodo 1980-2004, si può notare come il Piemonte e la Liguria abbiano, in modo molto netto, perduto posizioni tra il 1980 e il 2004 (Fig. 17).
Figura 17 - I divari relativi delle regioni italiane
Fonte: Elaborazione su dati ISTAT. Tasso di crescita del P§IL delle regioni italiane nel periodo 1980-
Figura 18 – Residui fiscali pro-capite delle regioni del Nord in percentuale sul PIL (media anni 2004-2006)
Fonte: Staderini e Vadalà, 2009; ISTAT
Queste tendenze strutturali sono confermate anche dalle analisi dei fiscal residum precedentemente analizzati (Fig. 18).
Se prendiamo in considerazione il Piemonte, esso risulta la regione con il residuo negativo in percentuale del PIL più alto e in aumento, mentre la regione Liguria presenta un valore positivo del residuo fiscale, quasi pari a quello delle Province a statuto speciale di Trento e Bolzano.
In considerazione di questi fenomeni e di queste tendenze, risulta di fondamentale importanza a scelta del modello di federalismo fiscale compatibile con la recente legge delega di attuazione (legge n. 42 del 2009).
E’, appunto, strategico, scegliere un corretto modello di federalismo fiscale in considerazione dei differenti scenari di sviluppo/declino economico che si possono prospettare e al ruolo che avranno le politiche regionali e degli enti locali all’interno di una potenziale struttura con competenze rafforzate e maggiori quantità di risorse manovrabili a livello decentrato.
In considerazione di ciò è opportuno ricanalizzare i tratti salienti delle Legge delega n. 42 del 2009 focalizzandoci sulla logica di sviluppo.